La sveglia ha continuato imperterrita a suonare e io a spegnerla fino a quando, non so perché, si è arresa.
Quando mi sveglio di soprassalto e vedo l'orologio segnare le undici e cinquantasette mi viene un accidente. Tra un'ora (e tre minuti) devo essere a lavoro e con l'autobus non ce la farò mai. Maledetti incubi del cazzo!
Impreco scalciando le coperte, salto fuori dal letto e continuo a imprecare, cercando i vestiti nel casino della stanza, senza riuscire a trovarli. Trovo la camicetta sotto un asciugamano. Che accidenti ci fa qui? Mi riprometto di fare ordine anche se non è la prima volta che non mantengo questa promessa. Il mio reggiseno? Trovo una gamba dei pantaloni e tiro fino a quando non riesco a estrarli dalla pila. Cerco ancora e nel frattempo faccio mente locale sui turni di Nina. Se mi presta lo scooter ce la posso ancora fare. Ritardo il mio secondo giorno di prova! Che cazzo! Non va bene per niente, ho bisogno di tenermelo, questo lavoro.
L'appartamento è immerso nel silenzio e questo non va bene. La stanza di Nina è vuota, lo stesso quella di Dado. Chiamo e non ottengo risposta, piombo in cucina ancora in mutande – parte dei vestiti ancora dispersi – e la trovo vuota. Non va bene per niente! Cazzo!
Sono nella merda: niente Nina, niente scooter. Torno di corsa verso il bagno, inciampo nella bicicletta di Dado, piazzata nel mezzo, e quasi finisco a terra. «Eccheccazzo!» impreco contro di lui e la sua bici del cavolo.
Meditando vendetta, mi libero della maglia. Subito dopo noto sullo specchio, sopra il lavandino, un post-it con la calligrafia di Nina "Buon divertimento stasera!". L'appuntamento con Simo! Mi era passato completamente di mente.
«Ecchecazzo!»ripeto disperata. Non avrò mai il tempo di trovare anche qualcosa di carino da mettere per stasera.
Mi do una lavata veloce, infilo la prima biancheria pulita che trovo: degli slip azzurri che col reggiseno rosso sono un accostamento da schifo. Rinuncio alla camicetta, metto una t-shirt verde e i pantaloni morbidi fantasia, sull'azzurro. Ficco qualcosa a caso nello zainetto per cambiarmi dopo. Mi guardo allo specchio sistemandomi alla bene e meglio i capelli che sembrano un groviglio di sterpi. Risolvo con una pinza. Sono vestita come un turista americano, ma devo accontentarmi. Infilo al volo i miei vecchi sandali e controllo il tempo. Mezzogiorno e venti, sono fottuta!
Esco di camera e urto di nuovo la bici di Dado. Le do un calcio innervosita per rimetterla al suo posto, poi cambio idea. Dado mi ucciderà, ma con quell'affare infernale dovrei farcela.
Alle una e tre – con solo tre minuti di ritardo – entro nel bar per annunciare il mio arrivo. Sono sudata, col fiatone e ho il culo dolorante per il sellino della bici.
«Sei in ritardo» mi saluta fiscale Anatoliy.
Io annuisco mordendomi la lingua. Ha ragione, ma non sono nella disposizione d'animo per prendermi una partaccia. Sparisco nel retro per darmi una sistemata. Mi guardo allo specchio del minuscolo spogliatoio e faccio il conto delle ore di sonno. Poche, troppo poche. Realizzo che lui, per ora, non si è visto né sentito. Almeno questo è positivo. Se si può considerare un progresso non avere allucinazioni per un giorno.
Anatoliy è molto diverso da Gaetano come metodo di insegnamento. Per tutto il pomeriggio il suo obiettivo non sembra tanto spiegarmi come vuole che faccia le cose, piuttosto, tra nomignoli sessisti e battute grossolane, intenzionato a farmi saltare i nervi. Non so se immagina quanto vicino ci stia andando. E poi ogni tanto torna il pensiero di lui. Allora mi tengo impegnata, parlo con i clienti, alzo la musica quando non c'è troppo movimento, tutto per non sentire la sua voce. Per tutto il tempo cerco anche di non guardare nelle ombre o nei vetri delle porte. Non lo voglio nemmeno vedere.
STAI LEGGENDO
Crepe
HorrorE se dopo la morte ti trovassi a morire di nuovo nel corpo di qualcun altro? E poi di nuovo, senza aver nessun controllo sulle tue azioni? Così succede al protagonista di "Crepe". Almeno, fino a quando il suo ultimo compagno di viaggio verso la mort...