12-1 terapia

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Ho una stanza tutta mia. Non mi capitava da un bel po' di avere quattro mura, un soffitto e un pavimento tutti per me. Il mio quadrato esclusivo di suolo, il mio cubo di aria.

Non mi capitava da tempo nemmeno di avere un corpo che rispondesse a me. Posso fare due passi quando ne ho voglia, girare su me stesso, tornare indietro, oppure stare fermo. Seduto, in piedi, sdraiato, appoggiato contro il muro; la mia stanza è comoda ovunque io voglia stare e qualunque cosa voglia fare. Ho anche una voce, profonda, stentorea, da uomo. A volte, quando urlo mi sorprende quanto sia potente, allora mi zittisco e ascolto il silenzio che cala tutt'intorno. Me ne sto spesso in silenzio a girare tra pensieri, tutti frutto della mia testa. Nessun pensiero estraneo, solo cose mie. Ho anche i ricordi a farmi compagnia. Tanti ricordi, allegri e tristi, di tante persone che non ci sono più. A volte il dolore di tutte queste perdite è così forte che mi viene da piangere e allora piango e mi dispero per loro che non ci sono più e per me che invece ci sono ancora. Per quanto ancora? A volte invece rido di niente, sghignazzo fino a quando non mi rendo conto che non c'è niente di cui essere allegri. Subito dopo mi prende una fifa nera. E se un giorno mi rendessi conto di non riuscire più a smettere?

Da quanto sono qui? Difficile dirlo. Ho provato a contare i giorni, contare i pranzi e le cene, contare le volte che sono uscito dalla stanza, contare i passi che mi separano dall'esterno, contare le persone, gli infermieri, i fili dell'ordito dell'imbottitura della mia maledetta stanza. Perché sono qui? Perché me lo merito, perché le persone come me vanno rinchiuse, perché non sono riuscito a fare niente, perché ho fallito anche con Genni. È mai esistita una Genni di Gennaro? E tutti gli altri? La verità è che non ho una risposta a niente. Non ricordo nemmeno il mio nome.

Oggi la chiave entra nella toppa, gira, la serratura scatta, la porta si apre. Silenzio apre la porta. Silenzio è un infermiere, un omone gigantesco con spalle larghe, braccia come travi e un'espressione così assente che mi sono domandato spesso perché non indossi una bella giacca bianca come la mia, con le fibbie sulla schiena. Silenzio non è il suo nome, ma non ha mai detto una sola parola da quando ci siamo conosciuti così mi sono arrogato il diritto di dargli io questo nome. Lui non ha mai protestato quindi suppongo che non gli dispiaccia.

«Silenzio buongiorno» dico affabile e nel contempo arretro. Esperienze precedenti mi hanno insegnato a tenere una certa distanza da Silenzio.

«Dove mi porti di bello quest'oggi?»

Silenzio mi fa cenno di uscire e mi indica il lato destro del corridoio. Odio il lato destro del corridoio, molto meglio il sinistro.

«Ti trovo bene. Sai se prima o poi ci sarà il pollo arrosto per pranzo?» la mia domanda è inutile, ma mi piace parlare con Silenzio; è l'unico qui dentro con cui riesco a scambiare due chiacchiere.

«Cavoli quanto mi andrebbe» dico uscendo nel corridoio. «Arrostito bene, caldo appena sfornato, la pelle bella croccante, magari con due patate arrosto. A te piace?»

Ci incamminiamo. Sul lato destro del corridoio ci sono solo le stanze degli altri ospiti e in fondo lo studio del dottore. Non mi piace andare là e se non fosse che Silenzio mi riprende ogni volta, proverei a scappare. Così faccio passi corti, cercando di ritardare il momento e mi guardo attorno per non dover fissare la porta che si fa sempre più vicina. È come voltare la testa quando stanno per farti un'iniezione, sai che sta arrivando, ma non vedere lo rende meno terribile. Mi guardo attorno, leggo i numeri sulle porte dei pazienti – la mia stanza è la 313, come la targa di Paperino –, noto come ogni volta il naspo antincendio srotolato e sparso in parte sul pavimento e subito dopo la locandina ingiallita di un "fantastico spettacolo di magia". Non riesco mai a leggere niente più del titolo. Alle pareti la vernice verde salvia è scrostata e in più punti è venuta via, sul soffitto le luci baluginano, i vetri pieni di sporcizia e insetti morti, a terra le piastrelle sono consunte, in più punti scheggiate e rotte. Questo posto cade a pezzi, sembra che si siano dimenticati di fare manutenzione negli ultimi settant'anni.

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