Chapter Six.

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POV Valentina.

Tre ore.

Ovvero quanto durò per me quella notte, il tempo che intercorse tra l'ultimo sguardo che mi aveva rivolto Stash e il momento in cui mi svegliai il mattino seguente. Tre ore durante le quali non dormii veramente. Piuttosto, rimasi ad agitarmi nel letto in un perenne stato di semi-incoscienza, immersa nelle stomachevoli onde della mia sbronza, mentre la realtà degli eventi si mescolava e si ridefiniva, perseguitata da un'inafferrabile sfumatura di colori.

Tornai del tutto alla realtà intorno alle 7.30, quando un inconfondibile rumore proveniente dal bagno mi svegliò completamente dal mio stato. La mia testa dolorante e stordita. Il mio corpo svogliato e pesante.

Nonostante tutto, mi alzai per andare in soccorso di Mattia, molto probabilmente aveva esagerato anche lui ieri sera. Lo trovai accasciato sul pavimento del bagno, la schiena contro il muro, le gambe abbandonate distese e le mani in grembo, pallido e con gli occhi arrossati. Mi sedetti accanto a lui e gli circondai le spalle con un braccio.

"Mi sento uno schifo," mormorò con un sorriso.

"Lo so."

Anch'io, avrei voluto dirgli.

Appoggiai la testa contro la sua e la strinsi leggermente. "Meglio adesso?"

Annuì impercettibilmente.

"C'è per caso una presenza maschile nel tuo letto per cui dovrei preoccuparmi?" mi chiese con un piccolo brillio malizioso negli occhi.

"No, via libera."

Mi guardò come se gli stessi nascondendo qualcosa. Ma rivivere i momenti della sera precedente, e soprattutto esprimerli ad alta voce, era l'ultimo dei miei desideri.

"Sul serio," insistetti, "Non è successo niente. Andiamo, su." Lo invitai ad alzarsi, così da cambiare discorso. "Un po' di caffè, un'aspirina, molta acqua e sarai come nuovo."

Mentre in cucina armeggiavo per preparare il caffè, Mattia iniziò a smanettare con il suo cellulare, gettando occhiate nervose verso l'orologio.

"Non posso essere in studio tra meno di due ore. Pensi che se scrivo un messaggio e faccia finta di essere malato, quel rompipalle del mio manager mi lascerà in pace?" Senza attendere risposta iniziò a scrivere un messaggio con un sospiro melodrammatico - "Vorrei una vacanza."

Dio solo sa quanto avrei voluto fare lo stesso. Ma nel pomeriggio avrei avuto la mia prima prova di lavoro in un bar , considerate le condizioni in cui ero la sera prima, non presentarmi sarebbe stata una perdita per me.

Avevo appena iniziato a versare il caffè nelle tazze, quando Mattia mi chiamò.

"Valentí."

Il suo sguardo era impietrito sullo schermo del suo telefono, mentre la sua faccia era diventata, se possibile, ancora più bianca di quando pochi minuti prima l'avevo trovato afflosciato sul pavimento del bagno.

"Matti?" lo chiamai incerta.

"Oh merda." Un'espressione sconvolta si diffuse sul suo volto sempre più terreo. Alzò lentamente lo sguardo su di me, e si limitò a dire "Tu, Stash , alcol e foto su Facebook, te dico solo questo."

Del tutto allibita, lo raggiunsi alla velocità della luce e quasi gli strappai di mano il cellulare. Avrei potuto restare a guardarlo tutto il giorno e ancora avere seri dubbi che quello non fosse altro che un altro stato di allucinazione provocato dai troppi alcolici e dalla mancanza di sonno.

Una foto sgranata e di pessima qualità di me, Paola, Giorgio e Stash mentre brindiamo con in mano dei piccoli bicchierini. Click. Di nuovo una mia foto nel momento in cui soffoco una risata con la mano, mentre Stash mi sussurra qualcosa in un orecchio con un mezzo sorriso. Click. Questa volta un'immagine di spalle e del tutto fuori fuoco mentre stiamo per lasciare il locale.

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