Chapter Twenty-Three

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POV Valentina

"Morirò da sola. Sai, come quelle zitelle che non sono capaci di tenersi un uomo perché non sono mai soddisfatte di niente. Sono un pessimo partito, chi sarebbe così folle da voler stare con me?"

Sollevai le palpebre ancora intorpidita dal sonno per focalizzarmi a poco a poco sugli occhi dolci che, affianco a me, mi stavano fissando con insistenza.

"Vale, mi stai ascoltando?"

Allungai a tentoni una mano sul comodino per dare una sbirciata, con gli occhi ancora semichiusi, all'ora sul mio cellulare.

"Pao, sono le sei e mezza del mattino," mugolai posando nuovamente il telefono e tornando ad affondare la testa nel cuscino. Sentii il letto ballare sotto ai movimenti della mia amica, che si fece più vicina tornando a sistemarsi in quella che aveva tutta l'aria di essere una posizione di assalto.

"Non mi hai ancora risposto."

Sbuffai scostandomi i capelli dal volto. "Come mai sei qui, esattamente?"

"Per darti una svegliata, è ovvio!"

Le rivolsi un'occhiata a metà tra la confusione e la furia assassina, alla quale rispose tirandomi un pizzicotto sul braccio.

"Ahi!"

"Hai una vaga idea di quanto sei stata musona negli ultimi due giorni? Direi che è ora di fare qualcosa."

"Sono le sei! E comunque, non sono io quella che parla di restare zitella."

"Hai visto che allora mi stavi ascoltando!" puntualizzò vittoriosa.

Sospirai rassegnata e mi girai su un fianco, andando ad incrociare il suo sguardo attraverso la penombra della stanza, non ancora rischiarata dalla luce leggera del mattino.

"Non finirai da sola, Pao," la rassicurai.

"Dici?" domandò con una leggera smorfia. Si voltò sulla schiena abbandonando la testa sul cuscino accanto a me e proseguì con lo sguardo perso verso il soffitto. "Guarda che casino che ho combinato. Chi mai potrebbe volermi? Mi sono fatta prendere così facilmente da Cristian, e quel suo fascino, le belle parole, i regali ... Pensavo ... che significasse qualcosa, che queste cose avrebbero dovuto farmi sentire importante. Solo a dirlo ad alta voce mi rendo conto di avere la profondità di una pozzanghera. Insomma, era tutto così perfetto con Mattia, ed io invece vado a rovinare le cose solo perché sono una stupida insicura. Sempre con la sensazione che mancasse qualcosa ..."

Paola fece una pausa ed esalò un profondo sospiro. "Non lo so. Immagino che quando le cose si spingono troppo oltre per poter rimediare ... Forse, è vero che, a volte, l'amore non è abbastanza."

Abbassai lo sguardo, per mascherare il piccolo tuffo al cuore che mi aveva colto alla sprovvista, accorgendomi solo in quell'istante che le mie dita avevano nervosamente preso a torturare le estremità di una ciocca di capelli abbandonata sul cuscino.

Quasi come se avesse intuito ciò neanche io stessa ero in grado di concepire come un pensiero compiuto, Paola tornò ad osservarmi con un punta di curiosità. "Era così anche per te con Stash?"

Un'altra stretta al petto accompagnò la marea di emozioni che quella domanda immediatamente provocò.

Niente era perfetto, con Stash, né lo era mai stato. Non il tempismo, non le parole, non ciò che mi legava a lui, qualsiasi cosa fosse. Era un casino inestricabile, del quale iniziavo a pensare che non sarei mai riuscita a venirne a capo. Ma, nonostante quello, mai mi aveva sfiorato il pensiero che potesse mancare qualcosa.

Forse era per quello che non ne avevo ancora parlato con Paola. E, forse, era sempre per quello che avevo passato le ultime due notti ad ignorare con costanza ogni telefonata di Stash, solo per poi ascoltare, uno dopo l'altro, i messaggi muti che mi lasciava in segreteria, con solo i rumori di una strada o di un locale affollato a fare da sottofondo alla distanza tra noi.

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