Chapter Thirteen

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POV Stash

Mi svegliai con il naso solleticato da un groviglio di capelli arruffati e da una delicata traccia del profumo di Valentina.

Gradualmente, iniziai a rendermi conto del suo corpo sdraiato su un fianco accanto a me. Del braccio con cui la stringevo attorno alla vita, della sua schiena premuta contro il mio petto, fino al suo fondoschiena ancora fasciato nei jeans e del modo in cui pressava perfettamente sul mio inguine. Nel momento stesso in cui presi del tutto coscienza di quel contatto, sentii immediatamente il cavallo dei miei pantaloni gonfiarsi più del dovuto.

Cazzo, sarebbe stato così facile infilare la mano sotto al suo top e percorrerne la pelle liscia, per poi farla scivolare dentro ai suoi jeans e scoprire se fosse eccitata quanto me ... A quel pensiero, mi indurii al punto di rimanere a corto di fiato, e non ero neanche troppo sicuro che la cosa fosse di natura puramente fisica.

Dovevo andarmene da lì, e al più presto.

Valentina si mosse leggermente nel sonno nell'attimo in cui ritirai il braccio per scostarmi da lei, ma per fortuna non accennò a svegliarsi. Avrei avuto poche difficoltà a giustificare la mia presenza lì, soprattutto considerando che non avrei saputo spiegarla neanche a me stesso.

Scivolai fuori dal letto, mi ripresi giacca e scarpe bene attento a non fare il minimo rumore, e me ne andai velocemente dirigendomi verso l'uscita.

Come rientrai a casa, feci appena in tempo a mollare le chiavi nell'ingresso con un leggero tintinnio, prima che Alex comparisse scrutandomi con espressione perplessa.

"Dove sei stato?"

"Fuori," risposi con una scrollata di spalle, incamminandomi verso la cucina dalla quale proveniva un invitante profumo di torta. Ne presi una generosa porzione e mi versai del caffè, lanciando un sorrisetto in direzione di Alex. "Mi hai preparato la colazione? Sei così dolce."

Alex, che mi aveva seguito, alzò gli occhi al cielo e si riprese infastidito la sua colazione, senza perdere il suo autocontrollo.

"Devo preoccuparmi?"

"Perché me lo chiedi?" chiesi con noncuranza iniziando a sorseggiare il caffè.

"Perché mi ricordo cosa voleva dire quando passavi intere notti fuori casa."

"Ti prego," replicai scocciato, "Sembri mio padre. Magari ero semplicemente con una ragazza" la buttai là con un ammiccamento malizioso.

Alex scosse la testa e sembrò particolarmente divertito.

"L'unico altro posto in cui tu ti sia mai fermato a dormire è il divano di Giorgio. E ti ho visto io stesso cacciare ragazze fuori dal letto nel bel mezzo della notte."

"Così mi fai sembrare uno stronzo," commentai con aria fintamente offesa, "Mi sono sempre preoccupato di far chiamare un taxi."

Alex sorrise appena, ma senza lasciarsi sfuggire una smorfia di vaga disapprovazione. "Perché infatti quella sì che è una cosa da gentiluomo."

"Si vede che siamo totalmente diversi."

"Lo so che stai combinando qualcosa, Stash." Il tono di Alex era tornato completamente serio. "Sparisci nelle ore più impensate, a me e Daniele ci dai spesso buca e adesso frequenti quelle feste e quelle persone che non hai mai sopportato, e vedo che te la stai passando piuttosto bene. Credi che sia così stupido da non notarlo?"

"Onestamente?" domandai fingendo di pensarci. "Ho seriamente pensato che tutto quel gel, prima o poi, avrebbe finito con il fare qualche danno."

Alex non si lasciò scalfire minimamente dal mio sarcasmo, accennando invece un sorriso piuttosto amaro. "Ancora non ti va giù l'idea che io voglia guardarti le spalle, non è vero?"

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