"Eccoci di nuovo al punto di partenza!" pensai, mentre correvo frettolosamente sull'asfalto di quella triste città, che mi ricordava grandissima parte della mia infanzia. Era una giornata di pioggia e le gocce mi rigavano il viso, miste a lacrime.Amavo la pioggia, per il semplice motivo che mi permetteva finalmente di poter esternare le mie emozioni, senza suscitare alcun dubbio nei passanti. In breve, potevo tranquillamente piangere senza che nessuno se ne accorgesse. Odiavo esprimere ciò che provavo, per questo evitavo risate gioiose e lacrime in pubblico.
Probabilmente la pioggia era l'unica cosa bella della giornata. Mentre mille pensieri diversi mi frullavano per la mente, il suono acuto delle grida di mia madre mi riportò alla realtà. Mi trascinò, tenendomi per mano, con in braccio il povero Bazz, fino al taxi più vicino.
Arrivati al taxi, si precipitò dentro, senza preoccuparsi minimamente di quale impressione il tassista potesse avere di noi. Appena entrati fissò l'uomo al volante, e le prime parole che le uscirono di bocca furono "ci porti il più lontano possibile da qua, la
prego!". L'uomo, con espressione a metà tra la preoccupazione e l'incredulità, di ciò che era appena accaduto sulla sua auto, partì, senza porre tante domande.Solamente in seguito domandò a mia madre se avesse una minima idea di quale voleva che fosse la destinazione. Mia madre si voltò, ancora traumatizzata, e pronunciò con voce balbettante
"Ho-o-o-boken."
Si schiarì la voce e ripeté"Hoboken, gentiluomo. Ci porti ad Hoboken."
Mia madre sembrava non averci ancora fatto l'abitudine eppure era successo così tante volte, ormai. Questa volta, però ce ne stavamo andando sul serio, sembrava davvero volesse porre fine a questa terribile sofferenza che mi accompagnava da più di metà della mia breve vita.
Io ormai me ne ero fatta una ragione e la mia espressione pareva impassibile, fino a quando notai un terribile livido viola scuro, tra il collo e la clavicola di mia madre. A quel punto, devo esser sincera, mi preoccupai parecchio, e d'istinto feci scivolare la mia mano sulla sua e, senza dire alcuna parola, le strinsi le dita, più forte che potevo, aggrovigliandole nelle mie. Era una delle poche volte in cui lasciavo trasparire qualche mia emozione.
Subito dopo vidi un segno di tranquillità trasparire sul viso di mia madre e questo fu sufficiente a farmi sentire ripagata dello strappo che avevo appena attuato alla mia costante regola: REPRIMERE LE EMOZIONI.
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La mia luna nuova
RomansaCharlotte, una ragazza apparentemente molto normale, è arrivata da poco nella città di Hoboken. Una ragazza sui 17 anni, di media altezza, capelli lunghi color pel di carota, viso pieno di lentiggini e occhi chiari. Niente di così straordinario pens...