Sangue.

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"Dispara, cojudo, dispara!

Cierra los ojos y dispara!"


"Spara, codardo, spara!

Chiudi gli occhi e spara!"








«Fidel! Attento!»

Ernesto fa appena in tempo a fargli da scudo con il suo corpo, abbassandogli la testa a forza dietro i sacchi di sabbia.

L'esplosione squarcia l'aria e il cielo si ribalta sopra le loro teste.

Brandelli di carne carbonizzata e pezzi di stoffa piovono loro addosso dall'alto, come coriandoli.

Fidel vaga nel vuoto, in un luogo dove lo spazio e il tempo non hanno ragione di esistere.

Sangue dalle orecchie, le mani ferite dalle schegge.

La sabbia ad accecargli gli occhi.

Tossisce: forse riesce ancora ad ansimare.

Di muoversi, per ora, non se ne parla neanche.

Ernesto sta muovendo le labbra, ma ogni suono è stato strappato via dalla bomba.

Fidel lo guarda come incantato, mentre l'inferno brucia tutt'intorno a loro.

Soldati già cadaveri rotolano sull'asfalto per spegnere le fiamme.

C'è odore di benzina.

Ma certo, il vecchio distributore manuale...

Sarebbero dovuti essere più prudenti.

Forse qualcuno dei loro compagni si sarebbe salvato, e ora starebbe gridando insieme a loro.

Gli aerei di Batista perforano le nubi e si gettano in picchiata verso il rogo.

Fidel avverte le mani di Ernesto intorno al viso, sulla fronte.

Sta ancora urlando? Fidel non può sentirlo.

Ricomincia la scarica.

Proiettili perforanti, una dozzina al secondo.

I superstiti vengono falciati come bestie impazzite.

Sembra di guardare uno di quei vecchi film americani, quelli che Fidel adorava vedere al cinema, mano per mano con suo padre.

Gli indiani venivano sempre uccisi, alla fine.

Gli americani erano i buoni.

«...el!»

Gli aerei planano di nuovo, ormai sarà già la settima volta.

Fidel fissa Ernesto, a bocca spalancata di fronte a lui, gli occhi iniettati di sangue e il fucile stretto nella destra.

«...del!»

Si sente strattonare.

La pelle brucia, la guancia va a fuoco.

Ernesto abbassa la mano.

L'ha schiaffeggiato?

«Fidel!» strilla Ernesto. Le raffiche sovrastano la sua voce. «Mi senti?! Dobbiamo andare via da qui!»

Fidel si porta la mano allo stomaco e la ritrae lorda di sangue.

Un maledetto proiettile.

Uno solo.

Colpito in pieno.

Fidel la mostra ad Ernesto.

«La... lasciami qui...» balbetta.

La fanteria di Batista scavalca il muro di cinta inneggiando alla gloria di Cuba.

Nient'altro che uno sciame di insetti neri, le antenne straordinariamente simili alle canne dei Thompson.

«Non dire idiozie!»

Ernesto afferra l'amico per il colletto dell'uniforme.

Se lo issa sulle spalle, senza perdere la presa sul fucile.

Prima di scappare, spara ancora un paio di colpi.

Negli ultimi istanti di lucidità, Fidel vede uno degli ufficiali che guidano la carica accasciarsi a terra senza un grido.

Poi tutto prende il colore del sangue e dell'erba.

Tutto.

Tranne il fucile di Ernesto che continua a sparare, e la sua voce d'argentino che non smette di sbraitare contro il nemico.

Mi mejor enemigoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora