"Si Dios no tenía canciones que yo canto,
me gustaría cantar ninguna canción.
Las canciones vienen de Dios, de todo. "
"Se Dio non avesse avuto canzoni da farmi cantare,
io non avrei cantato nessuna canzone.
Le canzoni vengono da Dio, tutte."
Canta con voce stentata, come un ragazzino timido al suo primo appuntamento: «Cuando sepas que he muerto, no pronuncies mi nombre... porque se detendrá la muerte y el reposo...»
Fidel solleva di poco la visiera del cappello di paglia e socchiude le palpebre.
Ernesto è ancora lì a lavorare, nonostante l'ora della siesta sia scoccata già mezz'ora fa. Scava a più non posso per fabbricare altre fosse, una accanto all'altra, di fronte alle capanne del villaggio. Scava e canta, col sole che brucia la schiena ma non la voglia di seppellire i caduti in azione: «Cuando sepas que he muerto di sílabas extrañas... pronuncia flor, abeja, lágrima, pan, tormenta...»
Fidel lo interrompe con la sua solita educazione: «Ehi, l'hai scritta tu?»
Ernesto alza la testa, lo guarda, affonda il badile nella terra nera e ricomincia a scavare.
«Ehi, sto parlando con te!» grida Fidel.
Ernesto conficca la punta del badile nella montagna di terriccio rivoltato di fresco. «Sì, e allora? Ho per caso disturbato il sonno di mademoiselle Castro?»
«Vaffanculo.» Fidel si rimette a dormire con la schiena addossata alla staccionata.
Dopo qualche minuto di silenzio, la voce di Ernesto ricomincia a intonare la melodia sconosciuta: «No dejes que tus labios hallen mis once letras... tengo sueño, he amado, he ganado el silencio...»
Fidel riapre gli occhi di tanto in tanto. Sbircia Ernesto al di sotto della visiera per controllare che lui non stia facendo la stessa cosa. Quando lo coglie in flagrante, si rimette seduto e punta il dito contro Ernesto. «Ma che cazzo guardi?!»
«Non guardo un cazzo» ribatte l'argentino, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Guardo un coglione che è troppo stanco per continuare a lavorare.»
«Ho diritto alla mia pausa!» borbotta Fidel. «E tu piantala di cantare quella canzone!»
«Che c'è, è troppo colta per te?» ridacchia Ernesto.
«No» mormora Fidel. «È solo che...»
Ernesto inarca un sopracciglio. «Che?»
«Che mi spaventa...» Fidel sposta involontariamente lo sguardo sulle fosse appena scavate. «Mi fa pensare alla morte.»
«Dovresti esserci abituato, ormai.» Ernesto ricomincia ad infilzare il cuore della terra con il badile.
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Mi mejor enemigo
Historical FictionCuba, 1958. Ormai niente può più ostacolare la sua avanzata verso L'Avana. Il dittatore è caduto, e la notizia dei preparativi per la sua fuga in Portogallo sembra essere tutt'altro che falsa. A Fidel Castro resta solamente un'ultima missione da por...