Ricordi.

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"La guerra nunca ha luchado

por las razones expuestas a la gente.

La guerra siempre es la más grande

de ficción humana.

Los motivos de guerra detrás

de significados plausibles

inaceptables para la humanidad."


"La guerra non è mai combattuta

per i motivi dichiarati al popolo.

La guerra è da sempre, la più grande

finzione umana.

La guerra cela dietro motivi plausibili

significati inaccettabili per l'umanità."





Fidel poggiò la testa contro il finestrino del camion. Ad ogni buca nel terreno era costretto a sollevarla, ma era così assonnato che finì presto per dimenticarsene e restò lì, la fronte premuta contro il vetro, a guardare la strada che si disfaceva sotto i suoi occhi.

Accanto a lui, Machado girava il volante quel tanto che bastava a non far uscire il camion dal sentiero sterrato. La ghiaia batteva come grandine contro l'unico specchietto rimasto, e le zanzare non mancavano di perseguitarli.

Fidel odiava i camion. Preferiva di gran lunga la motocicletta che Ernesto gli aveva prestato una volta soltanto, quando erano stati costretti a nascondersi in quel villaggio senza nome per non essere trovati dagli uomini di Batista. Ernesto la chiamava "La poderosa II", e la trattava come un'anziana amante con qualche acciacco di troppo.

Fidel ricordava ancora la faccia dell'argentino quando l'aveva visto cadere insieme alla moto, giù nella polvere. Gli era corso incontro con le mani nei capelli e gli occhi sgranati, bestemmiando contro "il dannato cubano che aveva ucciso per sempre la sua cara, vecchia Poderosa". A ripensarci, era stata una delle rare volte in cui aveva visto Ernesto davvero arrabbiato.

«Raul, Ernesto ti ha detto qualcosa?»

Suo fratello parve riscuotersi improvvisamente dal torpore. Si passò la mano sulla bocca, aveva la voce impastata dal sonno. «Eh? Ernesto...?»

Fidel si voltò, scrutando oltre il cuscinetto del sedile. «Sì. Sei tu che l'hai visto per l'ultima volta, no? Prima che il colonnello gli affidasse la missione...»

«No...» Raul scosse vigorosamente la testa. «L'ho visto, questo sì, ma stava andando via.»

«Speriamo che sia già tornato» mormorò Fidel, girando la manovella della portiera. Una nube di polvere entrò dal finestrino abbassato, insieme a quel poco di aria fredda che l'estate consentiva ancora.

«Di sicuro, comandante» esclamò Machado, distogliendo momentaneamente lo sguardo dalla strada. «Quel diavolo di argentino rispunta fuori dove e quando meno te lo aspetti.»

Fidel annuì col sorriso sulle labbra. Quasi involontariamente, sfiorò la cicatrice che portava a mo' di ricordo all'altezza dello stomaco. Un souvenir della loro prima missione, sua e di Ernesto. Quanti anni passati ad affinare le tattiche, quanti anni a studiare le migliori strategie da adottare a seconda dei casi, quanti anni a spaccarsi la schiena sotto il sole cocente per dare alle reclute un futuro, oltre che un fucile rubato...

Quanti anni di guerrilla. Quanti.

Fidel ormai ne aveva irrimediabilmente perso il conto.

E si addormentò, cercando, per l'ennesima volta, di ritrovare il filo dei suoi pensieri ingarbugliati.

Mi mejor enemigoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora