"Quando saprai che sono morto
non pronunciare il mio nome
perché si fermerebbe la morte e il riposo.
Quando saprai che sono morto di sillabe strane.
Pronuncia fiore, ape, lacrima, pane, tempesta.
Non lasciare che le tue labbra trovino le mie dieci lettere.
Ho sonno, ho amato, ho raggiunto il silenzio."
«Cuando sepas que he muerto, no pronuncies mi nombre...»
Fidel udì la flebile voce di Ernesto intonare le note della canzone. Non si voltò: non ne aveva la forza, non avrebbe sopportato ancora la sua vista.
«...porque se detendrá la muerte y el reposo...»
«Smettila» disse Fidel.
Ernesto lo ignorò, continuando a cantare: «Cuando sepas que he muerto di sílabas extrañas... pronuncia flor, abeja, lágrima, pan, tormenta...»
«Stai zitto.» Si portò le mani alle orecchie. Aveva ancora in mano la Colt, e finì col premerla contro la pelle madida di sudore freddo. «Stai zitto!»
«No dejes que tus labios hallen mis once letras...» sussurrò Ernesto. «Tengo sueño, he amado, he ganado el silencio...»
Fidel gli puntò addosso la pistola. «Ti ho detto di stare zitto!»
Ernesto lo trapassò con lo sguardo. Fidel non l'aveva mai visto così calmo come lo era ora: nonostante fosse ricoperto di ferite e legato ad una seggiola, era completamente padrone di sé stesso. «Sparami, Fidel. Devi farlo tu.»
Fidel si coprì il viso con le mani.
«Fidel» chiamò il colonnello. «Conterò fino a dieci. Se allo scadere del tempo non l'avrai ammazzato, farò entrare i soldati...» Tossì: non aveva ancora terminato la frase. Quando lo fece, a Fidel si gelò il sangue nelle vene: «Con le baionette.»
Si voltò verso Ernesto, che annuì una volta soltanto.
«Va bene così.»
Fidel si rimise in piedi. Barcollò fino alla sedia. Controllò il caricatore: inutile, i due proiettili erano ancora lì, dove li aveva lasciati un attimo prima.
«Fidel...» disse Ernesto. «È stato un onore.»
«C-Ci rincontreremo» balbettò Fidel, puntandogli la Colt alla tempia.
«Sei uno sporco bugiardo» sorrise Ernesto. «Come sempre.»
«E-Er... Ernesto...»
«Sì, Fidel?»
«N-Non voglio diventare lìder...» La mano gli tremava troppo: non sarebbe stato un tiro pulito. «Non voglio... ho paura...»
«Non devi aver paura.» Ernesto si sforzò ancora di sorridere, ad un passo dalla morte. La guardò negli occhi e le sorrise, così, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. «Raddrizza la schiena.»
Fidel obbedì.
Nessun dolore, nessuna cicatrice ad impedirgli il movimento, ora.
«Prendi la mira.»
Fidel prese la mira.
«Raddrizza il braccio.»
Fidel raddrizzò il braccio.
Ernesto lo guardò. Poi abbassò la testa. «Ricordati di me, quando sarò morto.»
«S-Sempre...» balbettò Fidel. Si asciugò le lacrime con la manica dell'uniforme.
«Ora, premi il grilletto»
Fidel sparò.
Il proiettile non deviò.
Il sangue di Ernesto gli schizzò negli occhi.
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Mi mejor enemigo
Historical FictionCuba, 1958. Ormai niente può più ostacolare la sua avanzata verso L'Avana. Il dittatore è caduto, e la notizia dei preparativi per la sua fuga in Portogallo sembra essere tutt'altro che falsa. A Fidel Castro resta solamente un'ultima missione da por...