"Cada vez que mires
el cielo y veas
una estrella moverse,
acuérdate de mi."
"Ogni volta che guardi
il cielo e vedi
una stella muoversi,
ricordati di me."
Camminano fianco a fianco nell'erba alta, circondati dal verde.
Le suole chiodate degli anfibi schioccano nel terriccio umido di pioggia e rugiada.
Solo il ritmico battere dei fucili contro la schiena a scandire il tempo, a dare un senso al silenzio.
«Fidel! Ernesto!»
Il cielo di Cuba pare aver pietà di loro, una volta tanto. Di nuvole, nemmeno la minaccia. Del diluvio che si è scatenato la notte in cui hanno preso la caserma di Arroyo Naranjo, neanche l'ombra.
«Fidel! Ernesto!»
Si voltano quasi nello stesso istante, stessa barba, stessi capelli, stessa uniforme. Entrambi con l'irrinunciabile mozzicone di sigaretta che pende all'angolo della bocca, con quella smorfia indolente stampata sul viso, tipica delle reclute fresche di addestramento.
«Dove pensate di andare?» Il colonnello solleva la mano: stringe fra le dita due scatole di proiettili grandi ciascuno quanto un pacchetto di cicche americane. «Non vi sembra di aver dimenticato qualcosa?»
Il più alto fra i due fulmina il compagno con lo sguardo. Sputa a terra il mozzicone e lo calpesta con la punta dello stivale. «Pezzo d'idiota!» Gli dà una spinta, già, ma senza alcuna convinzione. «Era il tuo compito prendere le munizioni!»
L'altro avanza d'un passo, fermandosi a pochi centimetri dal volto del compare. «Ma che cazzate vai dicendo, sporco bugiardo?» replica. Il forte accento argentino è per sua natura poco autoritario, e ancor meno credibile. «Eri tu che avevi detto...»
Non riesce a terminare la frase: il pugno del compagno lo atterra seduta stante, facendolo cadere di schiena in una delle pozzanghere d'acqua putrida.
Fidel ha abbandonato a terra il fucile per non danneggiarlo, e gli si è gettato addosso urlando: «Nessuno mi chiama "sporco bugiardo"!»
«Fidel! Fidel!» Il colonnello fa appena in tempo a lanciarsi verso i due contendenti prima di vederli azzannarsi a vicenda. «Lascialo stare!» Riesce a separarli a forza di braccia, e a deviare il pugno di Fidel scaraventando il sottoposto nel fitto del campo.
Ernesto si puntella coi gomiti nel fango, gli occhi fissi in direzione dell'amico.
O del nemico.
O di chiunque diavolo sia per lui.
«Se hai così voglia di fare a botte» ansima il colonnello, voltandosi verso Fidel, «perché non te la prendi con i soldati di Batista?»
Fidel, in ginocchio nel grano, fruga negli occhi di Ernesto a labbra serrate. «La colpa è sua.»
«La colpa è di entrambi» ribatte il colonnello, porgendo la mano ad Ernesto e aiutandolo a rialzarsi. Una volta in piedi, mostra di nuovo i due pacchetti di cartucce per i New-Springfield di contrabbando. Ne fa sparire uno nella tasca dell'uniforme, e lancia il secondo nelle mani di Fidel. «Ed ora vi meritate una bella punizione»
«Cosa?!» ruggisce Fidel. «Uno solo?!» Lancia un'occhiata in tralice all'argentino. «Non dirmi che...»
«Esatto» sorride il colonnello. «Dovete dividervi quel pacchetto e farvelo bastare per l'intera esercitazione.»
Fidel non crede alle sue orecchie. Squarcia il pacchetto e ne rovescia il contenuto sul palmo della mano. Dieci miseri proiettili tintinnano sulla sua pelle. «Ma...»
«Sì, Fidel. Dovrai dividere le munizioni con Ernesto.» Il colonnello s'aggiusta la visiera del berretto, soffia per scacciare una zanzara. «È tutto abbastanza chiaro?»
«Sì, colonnello» grugnisce Fidel, raccattando il fucile da terra.
Ernesto gli si avvicina, una mano premuta sulla guancia arrossata e l'altra tesa in avanti. «Forza. I miei cinque proiettili.»
Fidel glieli lascia cadere nel palmo senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
«Chiedigli scusa» ordina il colonnello.
Fidel deglutisce a vuoto, è troppo domandare un sorriso. «Scusa, Ernesto.»
L'argentino fa lentamente scivolare i proiettili nel caricatore, uno ad uno, come stesse riponendo dei maledetti pesos nello scrigno di famiglia. D'un tratto solleva la testa, e scruta Fidel al di sotto delle tese del cappello.
Si sentono i passi del colonnello lungo il sentiero del ritorno.
«Amici?» domanda Ernesto, porgendo il palmo.
Fidel allunga la mano sudicia di mota.
Nonostante tutto, è la migliore stretta del mondo.
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Mi mejor enemigo
Ficción históricaCuba, 1958. Ormai niente può più ostacolare la sua avanzata verso L'Avana. Il dittatore è caduto, e la notizia dei preparativi per la sua fuga in Portogallo sembra essere tutt'altro che falsa. A Fidel Castro resta solamente un'ultima missione da por...