"La sangre del pueblo
es nuestro tesoro más sagrado,
pero hay que verterlo para evitar
que en el futuro será más dispersa."
"Il sangue del popolo
è il nostro tesoro più sacro,
ma è necessario versarlo per impedire
che in futuro ne venga sparso di più. "
Si risvegliò bocconi sul pavimento, la faccia schiacciata contro la ceramica ghiacciata. Non ricordava come avesse fatto a finire laggiù. Di sicuro, però, Cienfuegos c'entrava qualcosa. Cienfuegos e la sua maledetta pistola.
Si rimise seduto e si domandò perché mai non fosse già morto. Dopotutto, il proiettile l'aveva preso in pieno. Aveva visto il sangue scorrere. Per sincerarsene, lanciò di nuovo uno sguardo al palmo della sua mano destra. Macchiata di rosso, ovviamente.
«Fidel...! Fidel, stai bene? Fidel! Rispondimi!»
Era Ernesto - e chi altri, se no? Stava urlando nella sua direzione, ancora incatenato alla sedia. Ah, già. La sedia. E le manette. E l'occhio trasformato in un livido insanguinato.
Fidel si alzò. Avvertiva come un formicolio vicino alla tempia sinistra. Un calore innaturale si spandeva dall'orecchio fino alla nuca, e aveva il colletto dell'uniforme bagnato di sangue.
L'orecchio.
Cienfuegos l'aveva preso solo di striscio; l'aveva forse fatto apposta?
Il proiettile aveva squarciato la cartilagine inondandogli il timpano di sangue. Ecco perché le urla di Ernesto gli giungevano ovattate, distanti, assolutamente false.
«Fidel! Mio Dio, sei vivo!» Ernesto era troppo sconvolto per mettersi a sorridere. «Avevo creduto che ti avesse preso in pieno, come quella volta...»
«Ernesto» disse Fidel. «Che cosa hai fatto?»
L'argentino ritrasse la testa. «C-Cosa...?»
«Che cosa hai fatto?» ripeté meccanicamente Fidel, premendosi la mano sulla ferita.
«Cosa ti prende?» Ernesto sgranò gli occhi. «Sei impazzito del tutto?»
«Er-nesto. Fi-del» sillabò l'amico. «Er-nesto. Fi-del. Salutate gli eroi.»
«Fidel...» ringhiò Ernesto. «Ma che diavolo dici? Non è il momento di scherzare, questo!»
«Sì che lo è, invece!» sbottò all'improvviso Fidel. Le lacrime ripresero a scorrere copiose sul suo viso. Per qualche secondo, lui ed Ernesto si fissarono in silenzio, a labbra serrate, come due cani in attesa di azzannarsi alla giugulare. Poi Fidel ricominciò a parlare, ma con un tono completamente diverso: «Non... non ti sembra divertente, Ernesto? Non ti fa ridere? A me sì, e anche parecchio.» E si mise a sghignazzare, voltandosi di scatto verso la parete.
Ernesto lo vide poggiare la testa contro il muro, la schiena scossa dai lugubri spasmi del riso.
«Sai una cosa?» domandò Fidel, asciugandosi le lacrime con la mano libera. «È questo posto che rende tutto così assurdo... così... così illogico...» Si girò verso Ernesto, ma fece finta di non aver colto la sua smorfia basita. «Te lo ricordi, vero? Ah, e come potresti aver dimenticato...? Tu... tu hai spento la torcia per non farmi più vedere il cadavere... non è così, Ernesto?»
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Mi mejor enemigo
Historical FictionCuba, 1958. Ormai niente può più ostacolare la sua avanzata verso L'Avana. Il dittatore è caduto, e la notizia dei preparativi per la sua fuga in Portogallo sembra essere tutt'altro che falsa. A Fidel Castro resta solamente un'ultima missione da por...