"El hombre nace para sufrir
y logra muy bien."
"L'uomo è nato per soffrire
e ci riesce benissimo."
Zoppica, il dolore al ventre è insostenibile.
Aggrappato alla parete della capanna, Fidel tenta di avvicinarsi al pozzo.
Ha la gola riarsa, come se il sangue si fosse mangiato qualsiasi cosa, dentro il suo corpo.
«Aahh...» Cade in ginocchio, le mani premute sull'uniforme e ancora più sotto, sulla fasciatura che non smette di grondare rosso. «Er... nesto...»
L'argentino arriva dopo una manciata di secondi, infuriato come non mai. «Che cosa ti avevo detto?! Di restare in casa. In c-a-s-a. Mi capisci, quando parlo?»
Fidel vede la terra fiorire di lacrime scarlatte, mentre le mani di Ernesto lo rimettono in piedi e lo guidano verso la capanna. «Non... voglio restare in casa... devo camminare... camminare...»
«Ho avvertito il colonnello» replica Ernesto, adagiandolo sul materasso sventrato. «Gli ho detto che tu sarai fuori uso per almeno due settimane a partire da oggi.»
Fidel tossisce incredulo. «Che... che cosa hai fatto?»
Ernesto non risponde. Estrae una scodella dal suo zaino, poi esce e ritorna dopo qualche minuto. Porge la scodella a Fidel: è piena fino all'orlo dell'acqua del pozzo.
Fidel cerca di afferrarla con due mani, ma le dita gli tremano, e minaccia di rovesciarne il contenuto prima ancora di esserselo avvicinato alle labbra.
«Da' qua.» Ernesto quasi gliela strappa di mano. Gli mette una mano dietro la nuca e lo fa bere senza versare nemmeno una goccia.
Fidel si ritrae pago, addossando la schiena alla parete.
Il dolore non accenna a diminuire.
È come un coltello perennemente conficcato nello stomaco.
Come avere addosso le fiamme dell'inferno e non essere in grado di spegnerle.
E Fulgencio Batista y Zaldívar è il diavolo.
«Devo... camminare...»
«Fra un mese, forse, potrai farlo» risponde Ernesto, incrociando le braccia sul petto. «Prima, è impossibile.»
Fidel gli artiglia una spalla. «Ma tu sei medico, no? Devi aiutarmi...»
«E cosa credi che abbia fatto?!» Ernesto si libera dalla stretta scrollando le braccia. Avvicina il viso a quello di Fidel, gli occhi neri simili a saette. «Cosa credi che abbia fatto, quando mi sei svenuto sulle spalle e i soldati hanno cominciato a braccarmi come cani?! Cosa credi che abbia fatto?! Cosa, Fidel?!»
Fidel fronteggia l'amico senza distogliere lo sguardo, coi denti digrignati dallo strazio. «Dovevi lasciarmi lì... te l'ho detto...» Tutto d'un tratto, il suo cuore ha ripreso a battere come una volta. «Dovevi lasciarmi lì.»
Ernesto gli afferra il braccio, immobilizzandolo. Ha visto le macchie di sangue. Senza attendere oltre, apre l'uniforme di Fidel con dita febbrili.
Fidel si morde la lingua, pur di non mettersi ad urlare. Guarda Ernesto disfare la fasciatura senza alcuna grazia o riguardo, come un vero medico da campo.
«Devo ricucire tutto d'accapo» sbotta. «Te l'avevo detto di non muoverti.»
Fidel cerca debolmente di allontanare da sé la mano dell'argentino. «Non... fare niente... sto bene.»
«Morirai entro stanotte se non fermo l'emorragia.» Ernesto fruga nelle tasche della divisa, estrae un rocchetto di filo di sutura con un lungo ago infilato al suo interno. Si leva il berretto, lo tasta, lo getta per terra.
«Cosa c'è?» biascica Fidel.
«I fiammiferi. Devo averli persi durante la fuga.»
Fuga.
Quella dannata parola.
Fuga.
Quel marchio indelebile, quella macchia insanguinata sull'uniforme.
Fuga.
Fidel si preme le mani sulle tempie.
Ora esploderà.
Ora la sua testa scoppierà in milioni di pezzi.
«Fidel, respira.» Ernesto lo costringe a sollevare il capo e ad aprire gli occhi. «Calmo. Respira.»
Fidel gli mette in mano una scatola di fiammiferi. La sua. Il tesoro da cui sperava di non doversi mai separare. «È questa che ti serve?» La scrolla strafottente davanti agli occhi dell'argentino.
Ernesto la prende senza dire una parola. Accende il primo fiammifero e lo usa per arroventare la punta dell'ago.
«Devo camminare» ripete Fidel. «Devo tornare a camminare. Dobbiamo vincere, per Dio. Dobbiamo ucciderli tutti.»
Continua a ripetersi quegli ordini anche quando Ernesto affonda l'ago rovente nella carne, sporcandosi le mani del sangue del compañero.
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Mi mejor enemigo
Historical FictionCuba, 1958. Ormai niente può più ostacolare la sua avanzata verso L'Avana. Il dittatore è caduto, e la notizia dei preparativi per la sua fuga in Portogallo sembra essere tutt'altro che falsa. A Fidel Castro resta solamente un'ultima missione da por...