Omicidio.

91 18 2
                                    


"Para los hombres que no hay

otro infierno que la estupidez

y la maldad de sus compañeros."


"Per l'uomo non c'è

altro inferno che la stupidità

e la malvagità dei suoi simili."



«No...No. No. N-No.» Fidel andava avanti a ripetere quella monotona cantilena da ormai cinque minuti, dondolandosi avanti e indietro sulle ginocchia, la bocca premuta sulle mani giunte. «No. Non può essere... non può... essere...»

«Fidel, smettila. Impazzirai.» Se solo avesse potuto, Ernesto l'avrebbe preso a schiaffi, pur di toglierlo da quello stato. «Fidel!»

Fidel alzò la testa, il viso sconvolto e gli occhi gonfi dal pianto.

«Smettila, mi hai sentito?» Una lacrima sgorgò dall'occhio sano di Ernesto, attraversando il fiotto di sangue che gli aveva dipinto la faccia. «Non concluderai niente così. Niente.»

«Ma cosa... vuoi che faccia...?» singhiozzò Fidel.

«Te l'ho detto...» Ernesto gettò per un'istante la testa all'indietro, appoggiando la nuca allo schienale della sedia. Una cascata di luce acida lo investì dall'alto. «Devi uccidermi... è l'unico modo che hai per uscire da qui.»

«C-Cos'è successo, Ernesto?» balbettò Fidel. «Che cosa hai fatto? Io... io non capisco...»

«Ti renderò le cose più semplici, allora» rispose Ernesto, voltando la testa in direzione della porta sprangata come a volerla superare con lo sguardo. «Mi sono rifiutato di eseguire un ordine. Ho... mandato all'aria una missione... e ho disobbedito al colonnello. Ti basta?»

«No!» Fidel batté il pugno a terra. Inginocchiato sul pavimento, si fermò ad osservare le lacrime che cadevano tintinnando sulle piastrelle incrostate di sangue. «Io non ti credo! Tu... tu eri il mio esempio, Ernesto! Eri un esempio per tutti noi, e lo sei ancora!»

«Ti stai sbagliando...» mormorò l'argentino, scuotendo la testa. «Io non sono mai stato l'esempio di nessuno.»

«Ti ho sempre ammirato...» proseguì Fidel, senza aver il coraggio di guardarlo dritto negli occhi. «In tutti questi anni, non c'è stata mai nessuna persona che abbia stimato più di te, e tu questo lo sai bene!»

«Tu stai delirando, Fidel.»

«No, Ernesto, sei tu quello che sta delirando!» ribatté Fidel con voce strozzata. «Credimi, è la verità. Tu sei... mio fratello, Ernesto, e mi stai chiedendo di ucciderti!»

«Se non lo fai, uccideranno anche te per diserzione!» sbraitò Ernesto. «Non l'hai ancora capito?! Ti uccideranno per colpa mia!»

Ma Fidel non lo stava più ascoltando. Si era alzato, dirigendosi a grandi passi verso la porta della cella, e aveva alzato il pugno pronto a bussare.

«Che diavolo stai facendo?» Ernesto cercò di muoversi per fermarlo, forzando le gambe della sedia, che rimasero ovviamente attaccate al pavimento. «Fermati, non farlo!»

Fidel batté tre volte, facendo riecheggiare il suo grido lungo le pareti della cella: «Voglio parlare con il colonnello!» Vedendo che nessuno gli rispondeva, cominciò a prendere a calci la porta. «C'è nessuno?!»

Improvvisamente, lo spioncino si aprì. Fidel si lanciò verso il pertugio e infilò gli occhi attraverso l'apertura. La prima cosa che vide fu la bocca della pistola, un baratro nero puntato dritto verso di lui.

«Voltati e fai tre passi indietro» gli ordinò una ben nota voce al di là della porta

Fidel digrignò i denti. «Cienfuegos. Devo parlare con il colonnello. Mi hai sentito?»

«Fai tre passi indietro, o giuro che ti apro un buco in testa.»

«Fidel, ti prego...» supplicò Ernesto. «Fai come dice.»

«Io non mi muovo da qui!» gridò il cubano, per tutta risposta.

Si sentì distintamente il suono della pistola a cui veniva tolta la carica.

«T-Tre passi indietro, soldato!» intimò Cienfuegos.

«Non sono un soldato!» replicò Fidel, ancora attaccato allo spioncino. «Sono il tuo comandante e pretendo di parlare con il colonnello!» Era come essere precipitati in un incubo, un sogno deforme dai contorni sempre più angosciosi e precisi.

«Soldato! Conterò fino a tre!» Il dito di Camilo Cienfuegos si preparò a premere il grilletto. «UNO!»

«Fidel!» strillò Ernesto. «Dannazione, levati da lì!»

Fidel vide la canna della pistola tremare attraverso le sbarre.

«Due!»

«Fidel!»

«Tre!»

Fidel chiuse gli occhi in attesa del colpo. Che tardò ad arrivare. E che infine non giunse mai.

Fidel riaprì gli occhi. La pistola era ancora lì, puntata sulla sua fronte. Poteva vedere i bagliori argentati del proiettile brillare dentro il tunnel nero della canna.

Nel silenzio, si udiva soltanto l'ansimare di Ernesto.

«Come immaginavo» sbottò Fidel, rivolto alla voce sconosciuta «il colonnello non ti darebbe mai l'ordine di spararmi, dico bene? Sono troppo prezioso, per lu...»

Non riuscì a terminare la frase, e l'ultima lettera venne tranciata dal fischio del proiettile oltre le sbarre di ferro del pertugio.

Fidel udì il grido disperato di Ernesto, e il suono del sangue che gocciolava sul pavimento.

Barcollò all'indietro, portandosi istintivamente la mano alla tempia sinistra. La sentì rovente, stranamente appiccicosa. Quando ritrasse la mano e se la mise davanti agli occhi, la scoprì rossa di sangue.

«Fidel! Nooo!»

Mi mejor enemigoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora