Mitsuki conosceva la città come il palmo della sua mano, a partire dalla piazza maggiore fino alle collinette sperdute che si affacciavano sulle strade dalle casupole di periferia per le quali stava passeggiando. I graffiti e le facciate dei negozi dall'intonaco sbeccato gli trasmettevano più nostalgia che tristezza. Rifletteva sempre, osservandoli, su quali persone avevano dipinto quei muri, o deciso i colori delle scritte. Lasciata la strada principale si trovò ben presto a vagare per le strade deserte di quel quartiere di periferia. Si perdeva nei pensieri per non annoiarsi ma, quando arrivò a scorgere la sagoma della casa di Komorebi, non ce ne fu più bisogno. Camminava avanti e indietro sul prato, indeciso. Si sentiva fremere, l'adrenalina della giornata sembrava non volersi staccare dalla sua pelle, il respiro ancora affannato gli seccava la gola, i suoi muscoli chiedevano ancora ancora ancora, ma lui voleva solo stringere il ragazzo tra le braccia ancora sudate, sentire il suo tepore fin nelle ossa. Immaginava il momento in cui gli avrebbe comunicato la sua vittoria. La sua finestra era l'unica ancora illuminata, dal piano di sotto si sentiva il rumore della televisione sulla quale qualcuno stava guardando un film d'azione con le macchine. Non servì neanche che si muovesse, Komorebi passò davanti la finestra e si fermò all'improvviso, voltandosi verso l'esterno. Lo aveva visto con la coda dell'occhio e corse ad aprire la finestra. Lo guardò con occhi sgranati e ferini, Mitsuki lo osservò sorridendo, i battiti del cuore in gola gli mozzava il fiato come aveva fatto l'aria fino a poco prima. Komorebi, dal canto suo, non si aspettava di vederlo. Lo aveva desiderato, si, ardentemente. Aveva desiderato con tutto se stesso di poterlo abbracciare quella sera, ma non voleva avvicinarglisi. Non voleva che vedesse, e lui non voleva dover osservare lo sguardo di pietà che gli avrebbe rivolto, quello non poteva sopportarlo. Poteva capire la rabbia, ma non quello. Le nuvole rischiavano di coprire la luna. Komorebi gli era mancato, realizzò. Non era certo passato molto tempo da quando si erano visti l'ultima volta, ma tra gli spettatori aveva cercato assiduamente il suo sguardo. I loro sguardi si incrociarono timidamente, Komorebi lo fissava con sguardo assente dalla finestra che poco dopo aprì.
<<Posso entrare?>> chiese piano Mitsuki. Lui gli indicò una scala posata vicino alla macchina, con la quale avrebbe potuto raggiungere la già bassa finestra della sua stanza. Poi sedette sul bordo del letto, tenendosi la testa tra le mani. Cosa stava facendo? Cosa aveva appena fatto? Gli aveva permesso di salire, per non ferirlo. Ma così lo avrebbe ferito ancora di più.
Quando Mitsuki afferrò il cornicione della finestra, per Komorebi fu troppo. Non poteva sopportare quello sguardo, non poteva sopportare di renderlo partecipe del suo lato oscuro. Gli aveva già mostrato di essere un codardo, ma mostrargli quanto si sentisse feccia era diverso. Indietreggiando finì per sbattere la schiena contro l'angolo dell'armadio, e non diede al ragazzo il tempo di guardarlo, mentre posava un piede sulla scrivania, perché decise di voltarsi. Il respiro che aveva fatto tanto a calmare dopo il piano si spezzò di nuovo, facendolo annaspare in cerca di aria. Non voleva essere debole, ma non voleva lasciare che lui lo pensasse. Ma era troppo tardi.
Sentii che Mitsuki si avvicinava, finché non gli posò una mano sulla spalla, poi l'altra, ed infine lo strinse in un caldo abbraccio che gli sciolse ogni grammo di paura, facendo scorrere in lui una rassicurante linfa. Il rumore dei suoi pensieri sovrastava tutti i rumori esterni, per un istante gli parve di non sentire più la televisione urlare.
<<Mi dispiace che tu debba vederlo.>> mormorò infine lui, voltandosi lentamente e scostandosi piano dal suo corpo, era arrivato il momento. Era pronto, o almeno pretendeva di esserlo.
STAI LEGGENDO
Acquamarina
AdventureUn ragazzo problematico, in un ambiente problematico, cerca Acquamarina, così da farsi insegnare i valori, l'amore, la capacità di reagire.