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<<Komorebi, spero non ti sentirai a disagio, e ci tenevo a prepararti, ecco...>> sembrava un discorso difficile, quello che l'uomo si stava apprestando a fare. Lui si era già preparato, in effetti. Aveva creato la bolla protettiva: oltre il suo sguardo non c'era la macchina, il padre di Acquamarina, un viale alberato dal quale si intravedeva un portone, ma alberi, prati, un cielo nuvoloso e dei conigli che gli facevano cenno con lo sguardo di andare a giocare con loro. La capacità che Komorebi aveva acquisito di estraniarsi completamente dal mondo circostante lo faceva sentire spesso invulnerabile. Alcuni secondi dopo si rese conto che sia l'uomo, che Acquamarina lo stavano fissando in attesa della risposta ad una domanda che non aveva ascoltato. Lui li guardò con semplicità ed annuì, sperando bastasse quello a farli smettere con quegli sguardi. I due si guardarono e sorrisero, scendendo dalla macchina, e così fece lui. Acquamarina gli prese la mano, intrecciando le dita alle sue dietro la macchina.

<<Sei ancora in tempo per andare via, se vuoi.>> gli sussurrò all'orecchio, ma Komorebi scosse energicamente la testa. Il padre aprì la porta di casa e loro si avviarono, lasciandosi le mani come se non fosse successo nulla. Komorebi, sempre così calcolatore, non ci fece quasi caso; in fondo non sapeva ancora cosa fossero loro due, non era il caso di stare così vicini davanti ad altre persone.

Entrarono in una piccola casa molto curata, e Acquamarina, con suo padre al seguito salutarono il nonno, che subito si rivolse a Komorebi con un sorriso. <<Giovanotto, ho sentito dire che sei diventato il migliore amico di mio nipote, trattalo bene mi raccomando!>> esclamò l'uomo, accendendo una pipa e ridendo. Era molto anziano, ma sembrava anche arzillo, giovanile, e simpatico. Lo fece accomodare in cucina e preparò del tè, ma Komorebi voleva vedere dove stava andando il padre di Acquamarina, che camminava così velocemente, e seguì i due in una camera in penombra. Gli occhi del padre erano scuri per la preoccupazione, mentre osservava la donna anziana in stato vegetativo, inerte sul letto. Komorebi vide la cura con cui Acquamarina prendeva le salviette per pulire il viso e le braccia della nonna, mentre controllava il catetere. La gola parve bloccarsi, annaspava per cercare un po' d'aria ma non voleva darlo a vedere. Tutte quelle volte in cui era arrivato ad orari diversi dagli altri agli allenamenti... era stato per prendersi cura della nonna. Chissà da quanto andava avanti così, chissà da quanto quel terrore schiacciante dell'inevitabile gli aveva premuto contro il petto senza che lo avesse mai lasciato intravedere. Una fitta lanciante trapassò il cuore di Komorebi, vedendo i gesti meticolosi e precisi con cui il ragazzo eseguiva i movimenti quotidiani, in modo così naturale, così delicato. No, lui non sarebbe mai riuscito a farlo senza piangere incontrollabilmente ad ogni secondo. Prendersi cura di una persona malata è una missione senza ritorno che ti logora dentro. Il tuo obiettivo è di dargli forza quando non ne hai più, strappare sorrisi quando vorresti piangere, pensare di poter fare di più anche dando il massimo. Prendersi cura di una persona in attesa che essa si spenga, perché non c'è più speranza, ti fa sentire inerme, inutile, per questo Komorebi si ripromise di essere la sua ancora. Di non farlo sprofondare nel dolore, non lasciarlo solo con se stesso e con i suoi pensieri. Senza neanche rendersene conto iniziò a piangere, perso nei suoi ragionamenti, le guance iniziarono a pizzicare, gli occhi a bruciare sfocandosi, il respiro lento mentre sbatteva le palpebre guardando negli occhi Acquamarina a bocca aperta. Il padre gli diede una pacca sulla schiena, mormorando: <<Mitsuki sembra forte, ma è solo un ragazzo. Stagli vicino quando succederà.>> e non c'era bisogno che aggiungesse altro, perché Komorebi aveva capito perfettamente.

Il padre raggiunse una sedia della cucina e si mise a sorseggiare il tè al mirtillo come se niente fosse, Acquamarina invece aveva gli occhi stanchi e si avvicinava a lui lentamente, Komorebi non era più padrone del proprio corpo, che non voleva rispondere ai suoi suggerimenti, e rimase lì sull'uscio in attesa che fosse lui ad avvicinarsi.

Gli prese la mano e lo guidò nel cortile sul retro, facendolo sedere su una panchina di granito e scosse la testa. Komorebi lo vede chiudere gli occhi con una forza tale che prova dolore. Gli posa la mano che non è già intrecciata sull'altra. Acquamarina socchiude gli occhi e lo guarda, mettendogli una mano sul braccio.

<<Ecco il segreto. Vengo qui ogni volta che posso.>> Komorebi lo ascolta, senza dire niente. Stringe la mano nella sua.

<<Ho paura. So che non c'è nulla da fare, ormai. Ma fa così male.>> continua, portandosi una mano al petto.

<<Grazie di essere venuto, oggi.>> finalmente lo guarda negli occhi.

Komorebi sentì la gola bloccarsi, tutto intorno apparire fioco. Cercò di riprendere fiato nonostante si sentisse galleggiare in una marea di punti interrogativi ed onde alte e tumultuose.

Contrariamente a tutto ciò che il suo corpo era pronto a fare, nonostante il luogo in cui si trovassero, Komorebi sentì un fuoco crescergli dentro ed inumidirgli gli occhi. Slacciò le dita da quelle di lui e gli afferrò le spalle, per poi dargli un bacio gentile sulla testa, sulla fronte, sul naso, e stringerlo al suo petto con le lacrime che gli scorrevano lungo le guance.

<<Sarò al tuo fianco, qualunque cosa accada. Sono con te. Non dovrai più avere paura.>> bisbigliò, con voce rotta dal pianto. Acquamarina affondò le mani nei vestiti di lui e lo strinse a se in un abbraccio che parve fondere i loro due corpi in un unico respiro. 

AcquamarinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora