17

364 16 3
                                    

Thomas 

Mi sveglio di soprassalto, con il respiro corto e il cuore che martella nel petto. Sono madido di sudore e le immagini dell'incubo che mi tormenta ogni notte si proiettano, ancora, sfogate sul muro bianco davanti il letto.

La stanza è buia, illuminata lievemente dalla luce della luna che entra dalla finestra. Fuori è ancora notte, ma io non ho più sonno, così decido di alzarmi e riempire il bicchiere con il whisky comprato ieri sera, buttandolo giù in un colpo solo.

Il bruciore che il liquore mi provoca in gola mi fa involontariamente indietreggiare e senza accorgermene, finisco nello sbattere il fianco contro il pianoforte di Selene.

Una sensazione di malinconia, mista alla nostalgia, mi attanaglia il petto, così mi siedo sulla panca, premendo senza alcuna sequenza i tasti, provocando suoni stonati e sconnessi. Mi maledico per non aver mai memorizzato neanche metà melodia di quelle che suonava Selene, a quest'ora avrei potuto provare, non avrei mai raggiunto la sua bravura ed eleganza, ma avrei potuto sentirla più vicina. Cosa non darei per sentirla suonare di nuovo.

Aveva la capacità di starsene qui seduta per ore, ed io, poggiato su di esso, la osservavo senza mai distogliere lo sguardo. Era bellissima, un'immagine stampata nella mia memoria come una fotografia. Il viso rilassato, sorridente, gli occhi luminosi e le guance rosee. Durante la guerra, nei momenti più bui, erano questi i ricordi che mi permettevano di non arrendermi.

Controvoglia, mi allontano dal pianoforte, infilo una camicia, il cappello sulla testa e con una sigaretta fra le labbra esco di casa.

Ho bisogno d'aria, prima che il mio viaggio nel passato mi travolga, facendomi male.

Arrivato al deposito, ancora immerso nel buio della notte, scorgo una figura camminare avanti e indietro fra dentro e fuori la stalla, con una lampada fra le mani.

Mi avvicino, con già la mano pronta sul cappello, così da poter ferire con le lamette qualsiasi mal intenzionato, ma quando sono abbastanza vicino per poter mettere a fuoco le immagini, il cappello mi scivola a terra.

- Tommy- mormora Charlie, non appena mi vede entrare nella stalla.

- Cosa ci fai qui?-.

Non lo guardo, quasi non sento neanche la sua voce, perché l'unica immagine che ho chiara davanti ai miei occhi, è quella di Tormenta stesa sulla paglia, che si dimena e piange. Tolgo il cappotto, lanciandolo in aria senza curarmi di dove possa atterrare e mi chino accanto a lei.

- Sono qui- sussurro, accarezzandole il muso, con il cuore che sento spezzarsi, ancora, per un'altra volta.

- Mi dispiace Tommy, non volevo la vedessi in questo stato, non immaginavo...- si avvicina Charlie, con tono preoccupato.

- Avresti dovuto avvertirmi immediatamente, da quanto tempo va avanti?- chiedo, senza togliere lo sguardo dal muso sofferte della mia cavalla.

- Ha cominciato qualche ora fa, ho provato di tutto, ma non accenna a calmarsi- si siede su una panca di legno posta all'entrata della stalla e mi guarda sconsolato.

Continuo ad accarezzarla e cerco di mantenere la calma e non lasciarmi sopraffare dal panico dei suoi lamenti, per pensare ad una soluzione che le permetta di sentire, almeno, meno dolore.

- L'etere- guardo Charlie.

- Hai provato con l'etere?-.

- No, l'etere è una sostanza che ha proprietà anestetiche e ipnotiche, viene somministrato agli uomini, non so se riesce a raggiungere il suo obiettivo con i cavalli- mi spiega.

- Lo so cos'è l'etere Charlie, sta soffrendo, è l'unica cosa che mi viene in mente-.

Nel frattempo, Curly fa il suo ingresso nella stalla, urla preoccupato e cammina avanti e indietro alla ricerca di neanche lui sa cosa.

- Curly!- urlo, impazientito.

- Smettila, non stai aiutando, va da Charlie e aiutalo con la preparazione dell'etere-.

Lui mi guarda sorpreso, non sono mai stato aggressivo con loro, poi abbassa lo sguardo rattristito e annuisce, recandosi fuori dalla stalla, lasciandomi solo con Tormenta.

Le luci dell'alba entrano piano, illuminando i nostri corpi, in punta di piedi, come se sapessero cosa sta succedendo, di quanta sofferenza ci sia e non volessero disturbare.

Mi lascio andare ad un urlo di esasperazione e controllo le lacrime che minacciano di scendere sulle mie guance, poggio la testa sul muso di Tormenta, cercando di trasmetterle tutta la mia vicinanza. Questo cavallo mi accompagna da anni, è l'unica cosa che mi resta di mia madre, non posso perderla.

Charlie, questa volta senza Curly, arriva tenendo in mano un piccolo cilindro in cui sono poste garze intrise di etere, da cui si bipartiscono due tubicini.

- Faccio io- dico, allungando le braccia verso il cilindro.

Tormenta sembrava spaventata alla vista di Charlie con l'arnese fra le mani, ma appena è passato a me, lei mi ha guardato con i suoi occhi chiari, come a dire "Thomas, mi fido di te".

- Andrà tutto bene- le mormoro, lasciandole un bacio delicato sul muso.

Inserisco piano i tubicini nelle sue narici e nel giro di pochi minuti, si accascia su di me, stordita.

- Te l'avevo detto, l'etere non addormenta i cavalli come fa con gli uomini- sospira Charlie.

- Non volevo addormentarla, solo calmarla- dico, poggiando la schiena sul muro, continuando ad accarezzarla.

- Lasciami solo per favore- chiedo.

- Ma Tommy, io...-.

- Per favore- ripeto.

Charlie scuote la testa contrariato, ma ascolta ciò che gli dico, così esce dalla stalla, lasciandomi nel mio dolore.

Chiudo gli occhi e mi concentro per non far sì che la sofferenza m'invada.

Non so quanto tempo trascorre, a me sembrano ore, ma forse solo pochi minuti, quando sento dei passi calpestare la paglia e il calore di un corpo accanto al mio.

- Charlie, ti ho detto di...- apro gli occhi, pronto a discutere per non aver rispettato il mio bisogno di solitudine.

- Sono qui- mi sorride, posando la mano sulla mia.

Selene è al mio fianco, stringe la mia mano nella sua. Ha le guance rosse, i battiti talmente accelerati che posso udirli chiaramente e il respiro affannato.

- Hai corso? Sei venuta da sola? Avrei potuto...- mi giro verso di lei, preoccupato.

- Thomas- m'interrompe.

Raccoglie il mio cappotto, recuperato non so dove e lo poggia su di me.

- Fa freddo, copriti, sono qui- ripete.

Mi regala un delicato bacio sulla guancia e poi poggia la testa sulla mia, mentre, con le mani intrecciate, culliamo Tormenta con le nostre carezze, che finalmente sembra aver smesso di piangere.

Lascio andare il mio corpo alla presenza di lei, rilassando completamente i muscoli. Non l'avrei mai cercata, non l'avrei ammesso a nessuno, ma l'unica in grado di calmare ogni mio dolore e tormento porta il nome Selene.

Non più come prima ||Thomas Shelby||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora