•58 ISABEL

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Lo penso sempre.
Penso sempre a Harry, ininterrottamente.
E sono frustrata. Con me stessa e anche con lui. Non so quanto ancora potrò resistere, la mia pazienza ha un limite e sento che quel limite è arrivato agli sgoccioli.

É alquanto divertente questo continuo gioco provocatorio tra di noi, ma stiamo perdendo il controllo e la ragione e questa storia inizia a diventare pericolosa. Per entrambi! E se nessuno dei due è disposto a correre rischi, deve finire. Ma come?!

Io lo voglio. Lo desidero, da quando ha smesso di essere un bastardo narcisista. Almeno nei miei confronti. E, nonostante inizialmente l'abbia odiato con tutto il cuore, credo fossi già attratta da lui.

E poi c'è stato l'episodio di Parigi.
La ciliegina sulla torta o meglio; la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E non voglio sottovalutare quest'ultimo periodo. Il nostro notevole e continuo avvicinamento, che non fa altro che farmelo desiderare di più.

Oggi é giovedì. È la nostra serata film. Serata che sembra non iniziare affatto dato che Harry cammina per il salotto avanti e indietro, al telefono con qualcuno. Dal modo in cui contrae la mascella, capisco che sicuramente ha a che fare con il lavoro. E dalla sua espressione e dai suoi pugni serrati, deduco che qualcuno domani verrà licenziato.

Quando finalmente attacca, lo osservo ricadere sul divano e prende a massaggiarsi le tempie, chiaro segno l'interlocutore, non gli abbia detto ciò che Harry avrebbe voluto sentire. Forse mai.

"É tutto okay?" Chiedo cauta. Harry solleva il capo e mi lancia un'occhiata fugace. "Va tutto bene." Si acciglia e riprende il cellulare, ma proprio mentre sta componendo un numero di telefono, mi allungo verso di lui e glielo strappo dalle mani. "Isabel, ridammi sub-"

"No, Harry! Non si discute! É la nostra serata film e sto aspettando già da molto." Per mia sorpresa, non controbatte. Non si oppone. Ci scambiamo uno sguardo profondo. Uno di quelli che mi spediscono immediatamente in paradiso e prima che potessi varcare le soglie celestiali, un dolore sordo alla coscia mi riporta immediatamente in terra.

Harry mi sta pizzicando. "Ahia!!!" Istintivamente gli do un calcio da sotto le coperte, facendolo ridere. "Attento Styles. Posso morderti più forte di quanto tu pizzichi." Lo minaccio, assottigliando gli occhi.

"Uooh, le donne di classe non mordono, Isabel. E tu sei mia moglie, non dimenticarlo mai." Le sue parole mi istigano a tirargli un'altro calcio, ma non riesco a fare altro che fissarlo come una totale imbecille.

"Spero che un giorno ti renderai conto che non sei Dio." Ribatto, sbuffando. "Mi considerano tale e tu non puoi farci un bel niente" dice mentre mi dà un'altro pizzicotto, ma sta volta sulla guancia. "Sii grata di essere sposata con un Dio." Ammicca, facendomi scoppiare in una risata isterica. "Non vedo l'ora che qualcuno ti butti giù da quel piedistallo. Magari ti accorgerai di essere un comune mortale come tutti." Controbatto spingendolo via.

"Dovranno prima trovare il coraggio di provarci. E semmai dovesse accadere dubito che riescano a buttarmi giù." Dice in un sussurro mentre con un dito mi accarezza una guancia e subito dopo si fa indietro.

Ogni volta che mi sfiora, mi rendo conto che cerco una connessione più profonda, voglio più di quanto la sua anima possa darmi. Più passa il tempo, e più ne sono consapevole e questa consapevolezza mi terrorizza.

***

Faccio finta di essere sola nella stanza. Ma non lo sono. Di fronte a me, chino sul tavolo del soggiorno, c'è Harry, immerso nel lavoro. Io siedo ancora sul divano, con le gambe piegate sotto di me, con il telecomando ed i popcorn da un lato, e dall'altro, le scartoffie che mi ha passato Harry, che di norma necessitano la mia completa attenzione. Ma non adesso. É impossibile concentrarsi nella stessa stanza con lui, soprattutto se l'unica cosa che mi passa per la testa é il fatto che mi ha già beccata più volte a fissarlo senza un motivo, e sono sicura che da lì a poco, dirà qualcosa in merito.

Anche senza osservarlo sento la sua dominante presenza su di me, il che rende i miei sensi strani. Al più impercettibile dei suoi movimenti, il mio cuore prende il sopravvento e darei qualsiasi cosa per non essere torturata in questo maledetto modo.
Potrei semplicemente alzarmi e mollarlo li, ma questo non sarebbe fattibile senza che lui mi chieda la ragione, e sicuramente non riuscirei a mentire senza veder crollare le mie bugie.

"É così che passi le tue giornate lavorative?" La sua voce interrompe il mio flusso di pensieri. "Così come?" Rispondo, con una nota di imbarazzo nella mia espressione che sto palesemente cercando di camuffare. "Passando più tempo a rimuginare che a occuparti del tuo lavoro." Commenta, appoggiando la schiena alla sedia e giocando con la penna che ha in mano.

"Se lo penso davvero, allora perché non mi licenzi?" Chiedo, mentre un piccolo ghigno si forma sul mio viso. "Se non riesci più a reggere la situazione, puoi lasciare la tua lettera di dimissioni a Tessa, lei saprà cosa fare." Con un gesto lento, si accarezza il labbro inferiore con le dita.

"Colpo basso, signor Styles." Asserisco, abbassando notevolmente il tono di voce. Sa che tra me e la sua segretaria scontrosa non è mai corso buon sangue, dal mio primo giorno in azienda. Assottiglio lo sguardo e gli lancio un'occhiata micidiale. Tutto ciò che ricevo in cambio sono i suoi occhi che ridono di me, che mi sfidano a cedere ai sentimenti. Quello che la sua voce non rivela, lo fanno le sue iridi. Sempre.

Mi spingo in avanti per ricordargli una cosa molto importante. "Che moglie del capo sarei se lasciassi le mie dimissioni a una semplice segretaria?" Sussurro e subito le sue sopracciglia si sollevano. "Ti piace ricordarmelo ultimamente. Essere mia moglie é un grande traguardo per te, Isabel?"

Sorrido alla sua domanda, perché so bene che non mi è mai interessato nulla del suo potere e dei suoi soldi. E con il passare del tempo, se ne è reso conto anche lui. "Vuoi davvero che risponda alla tua domanda, Harry?"

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