Eterni per un attimo

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Nives: 11 anni
Maximilian: 15 anni

- In verità, mio caro e povero cuore, il dolore ti piace perché credi di meritarlo. -

L'alba spuntò oltre il colle del melo carezzando invadente i volti dei due ragazzi, uno pallido quasi da far paura dalle guance chiare e l'altro così coperto di lentiggini che il colore della pelle si disperdeva lì sotto.

Affacciati alla finestra della cucina con baffi di latte sorrisi lieti sulle labbra.

Maximilian sorrideva spesso quando stava con la sua Nives, gli veniva facile distendere la bocca in una linea serena e rilassare i muscoli che andavano sviluppandosi mostruosamente su tutto il suo corpo.

I suoi tratti si erano affilati come pugnali, le lentiggini a macchiargli la pelle come fossero testimonianze del suo dolore.

Ma oltre ai lineamenti peccaminosi, in grado di tentare anche Lilith in persona, taglienti erano anche i coltelli che si conficcava ogni volta nello stomaco.

O le lame che incidevano quelle ferite che deturpavano le sue braccia, cercava disperatamente di nasconderle agli occhi serali della bambina senza mai avere successo.

Anche mettendo le maglie a maniche lunghe lei lo costringeva sempre a sollevare il tessuto che sfregava dolorosamente con i tagli, un promemoria raccapricciante capace di ricordargli il motivo del suo supplizio.

Quando tornava lei lo aspettava e poi, insieme, andavano a disinfettare quei graffi impressi su carne viva.

Tornando a guardarla, Max allungò la mano verso il piccolo viso della bimba.

Col pollice le pulì il baffo di latte provocandole un respiro un po' instabile e un luccichio splendido negli occhi sotto il sole di prima mattina.

Quel blu brillò di qualche strana emozione logorante, così tanto che colpì anche lui come un pugno nell'addome.

L'angolo della bocca del rosso ebbe un evidente spasmo, persino il suo cervello era contro il fluido corso dei suoi stessi movimenti.

La frase che volle dirle gli rimase in gola, sentì la canna fredda di una pistola premere nel retro della trachea ricordargli la sua tremenda condanna.

Decise di tacere, ingoiò le parole che erano già pronte ad uscire disconnesse tra loro.

Mi odio per questo, Bottondoro.

Ma come fai a non vedere che sono uno sbaglio?

Gli salirono le lacrime al bordo delle palpebre, pizzicarono fastidiosamente neanche fosse trafitto da aghi acuminati su tutto il volto.

Lo sguardo che si scambiarono intrattenne qualsiasi discorso avevano intenzione di iniziare, morì nella gola di entrambi e precipitò nello stomaco peggio del piombo.

Perché era questo l'effetto che sortiva la sua presenza, la morte di ogni cosa ancor prima che nasca.

Al suo passaggio decine di sguardi si abbassavano intrisi dalla paura, i fiori sembravano appassire nella loro stessa terra, il cielo si incupiva alla sua vista e lo privava del sole, reputandolo indegno del tocco della luce.

Eppure erano anni che i suoi rovi neri e marci contaminavano il giardino fiorito pieno di vita di Nives, e lei non faceva che sorridere.

Come se vederlo significasse ricevere la sua ora di sole in cortile, che era la cosa che amava di più.

Lui, essere immondo, poteva essere paragonato alla cosa che Niv amava di più?

Nives poggiò il bicchiere quasi vuoto sul bancone lucido della cucina, poi riportò l'attenzione sul bel ragazzo che incombeva con aura pericolosa e cuore buono sulla sua figura.

Lui la chiamava Bottondoro...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora