7. al tramonto

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Peter aveva passato tutta la notte a fare ricerche ma niente

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Peter aveva passato tutta la notte a fare ricerche ma niente. Non c'era modo di trovare una soluzione al problema. Il computer era acceso da ormai troppe ore, la tazza del caffè era stata riempita più e più volte, fogli accartocciati erano stantii sul pavimento e la scrivania in legno in cui già regnava il caos totale.

Voleva delle risposte. Doveva averle e subito. Prese la brocca di caffè bollente e ne versò il contenuto nella tazza. Erano le cinque di mattina e la luce dell'alba si faceva strada nella stanza disordinata di Peter, illuminandogli il viso stremato. I suoi occhi nocciola brillavano.

Ad un certo punto la sveglia suonò facendolo sobbalzare. Era giunta l'ora di prepararsi e di andare in università. Si vestì in fretta e furia a causa dell'iniezione di caffeina della nottata trascorsa. Mise un maglioncino verde, jeans e le solite scarpe per poi dirigersi alla ESU. Il tragitto fu pacifico, così tanto che Peter si era quasi dimenticato della sua altra identità. Si era preso un momento per osservare il mondo: il modo in cui le foglie dal colore rossastro cadevano al suolo, il sole che risplendeva tra le chiome mezze spoglie degli alberi, la gente che passeggiava...

Era tutto così tranquillo e surreale.

Decise di prendere l'autobus questa volta: era troppo stanco per camminare dopo la nottata in bianco. Per sua fortuna c'era un posto da due libero e si sedette, inalando un profumo familiare.

Si girò e vide Devon: la sua pelle chiara sembrava brillare a contatto con la luce del sole, i suoi occhi grigi splendevano. Era vestita con una gonna nera plissettata, un maglione leggermente oversize grigio ed il suo immancabile choker nero. Era sempre più bella, specie in quel momento in cui era totalmente assorta nella sua aura di mistero mentre ascoltava la musica.

Ad un tratto la ragazza si girò e lo vide: la giacca di camoscio marrone che portava si abbianava perfettamente ai suoi capelli castano chiaro. Gli occhi le brillavano ancora di più e le pupille si dilatarono dalla felicità.

"Pete!" lo abbracciò forte.

"Devon, ciao" le sorrise "anche tu hai lezione di fisica quantistica oggi?"

che scemo, ma certo che sì! Frequenta il tuo stesso corso!

"si, sai, abbiamo gli stessi professori" rise leggermente coprendosi la bocca. Le labbra piene erano rosse dal freddo.

"giusto, giusto. Hai fatto colazione? Se vuoi possiamo fermarci al bar della ESU"

"in realtà no, buona idea. Sembri stanco, Pete, qualcosa non va?" chiese visibilmente preoccupata per lui.

"ho solo studiato tutta la notte, sì" disse, cercando di sembrare il più convincente possibile.

"oh, Pete" esordì Devon, accarezzandogli il viso liscio: una mossa alquanto sfacciata e fuori dalla portata di ciascuno dei due. Inutile dire che, però, fu apprezzata da entrambi, soprattutto da Peter, il quale arrossì.

L'autobus dopo pochi minuti arrivò al capolinea ovvero la ESU. Tutti i passeggeri scesero inclusi i due ragazzi, i quali si diressero al bar dell'università, giusto per un pasto veloce. Si sedettero in un tavolo in disparte e iniziarono a mangiare con voracità quanto era il languore. Durante quel breve momento entrambi non riuscivano a staccarsi gli occhi di dosso e ogni scusa era buona per sfiorarsi appena le mani. Devon si sporse verso di lui e si morse leggermente il labbro rosso come la passione. Peter era in soggezione ma ne adorava ogni secondo.

Si sentiva spaesato, perso, innamorato. Ogni dettaglio della ragazza lo mandava in cortocircuito: dal modo in cui la pelle bianca era in contrasto con il nero pece dei capelli, al suo stile ed il linguaggio del corpo.

Anche Devon era terribilmente attratta da Peter anche se non lo voleva ammettere. Aveva imparato a reprimere ogni sua emozione da quando la sua famiglia si era disgregata. Sua madre era affetta da dipendenze da sostanze psicotrope e suo padre morì in un incidente stradale. Dopo gli accaduti la ragazza, insieme alla sorella maggiore Debbie con cui visse in una comunità per anni, finchè non raggiunse la maggior età. Quegli anni erano stati terribili, all'insegna della solitudine e della dispersione più totale. Si sentiva una zattera in mezzo al mare, senza alcuna meta.

"Devon, è tutto a posto?" chiese Peter, interrompendo il suo flusso di coscienza autodistruttivo.

"oh, si, si...stavo solo pensando a che lezione avremo oggi, non preoccuparti, Pete" gli disse accarezzandogli il braccio.

"d'accordo. Sai che sono sempre qui se hai bisogno" la rassicurò Peter prendendole la candida mano, prima di alzarsi dal tavolo e andare a lezione, la quale passò stranamente molto in fretta.

Era pomeriggio inoltrato e la luce aranciata del tramonto illuminò la Grande Mela, facendo riflesso nelle vetrate dei palazzi che si stagliavano prepotentemente contro il cielo. Spider-Man aveva deciso di andare in pattuglia per assicurarsi che tutto fosse regolare. Iniziò a oscillare sparando ragnatele qua e là.

La sensazione di libertà che gli regalava oscillare per la città era indescrivibile: l'aria che gli accarezzava il corpo scolpito, l'adrenalina gli sguardi entusiasti della gente che lo vedeva passare. Questo era il bello di essere Spider-Man: l'essere libero, ammirato, acclamato. Gli faceva bene: era un modo per aumentare l'autostima che era sempre, in qualche modo, carente.

Arrivò a Central Park, luogo di aggregazione principale di tutta New York. Il prato era di un bellissimo colore dorato, così come le foglie sugli alberi e al suolo. La gente passeggiava, rideva e chiacchierava.

Notò una figura familiare seduta in una panchina e decise di avvicinarsi ad essa. Notò che stava leggendo un libro che, a giudicare dalla copertina, sembrava un romanzo rosa. Stava sottolineando delle frasi.

"come mai tutta sola?" esordì il ragazzo, appostandosi sopra un lampione.

"hey, Spidey" lo salutò Devon "stavo leggendo, tu non hai cattivoni da arrestare?"

Spider-Man rise a quella battuta, molto in linea con il suo senso dell'umorismo.

"per oggi pare di no...che stai leggendo di bello?" disse per far continuare la conversazione.

"nulla di speciale, uno dei romanzi che ho scritto. È ancora da sistemare"

"scrivi romanzi? Wow, è fantastico. Anche a me piacerebbe scrivere, se solo avessi il tempo...Comunque non ti ho chiesto ancora il nome" aggiunse, fingendo di non saperlo.

"sono Devon" gli sorrise caldamente.

"bellissimo nome, molto particolare"

"ci stai per caso provando, mio caro Spidey?" lo prese in giro bonariamente.

"io? No ma figurati...sono un uomo tutto d'un pezzo, non lo farei mai" si impettì, mostrando i suoi pettorali alla ragazza la quale istintivamente arrossì.

La luce del giorno stava calando al che Devon gli propose di fare un giro per la città, ovviamente a suon di ragnatela. Spider-Man la cinse per i fianchi con un braccio e saltò in aria per poi sparare una miriade di ragnatele e farsi strada tra i palazzi della Grande Mela. Devon si strinse ancora al petto del ragazzo, con gli occhi chiusi. Aveva molta paura delle altezze ma, non sapeva come, stare in sua compagnia la faceva sentire al sicuro, protetta.

Il suo tocco era così familiare, così calmante e rigenerante. In quel momento si sentì come se tutta New York appartenesse a loro due soltanto.

UNDER MY SKIN - spider-man Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora