20. grandi poteri, grandi responsabilità

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Erano le dodici passate e le lezioni stavano giungendo al termine

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Erano le dodici passate e le lezioni stavano giungendo al termine. Peter aveva lo sguardo fisso fuori dalla finestra, pensava al suo migliore amico e a come gli avesse rovinato la vita. Era stato la goccia che aveva fatto traboccare quel vaso di Pandora intriso di dolore e brutti ricordi. Si sentiva troppo in colpa anche se razionalmente sapeva che non avrebbe potuto salvare tutti. Questo era il grande dilemma di essere Spider-Man. Egli era solo uno a dover salvare centinaia di vite ogni singolo giorno.

Peter dovette ammettere a se stesso che quel lavoro era logorante, estenuante ma non poteva mandare tutto a rotoli per un errore che non si poteva neanche definire tale. La sua sfortuna era stata la troppa sensibilità. Egli era un ragazzo estremamente empatico e sensibile, cosa che a volte si rivelava essere una vera arma a doppio taglio. Se da un lato gli permetteva di salvare più persone, dall'altro lo faceva tornare a casa stremato, con un macigno sulle spalle chiamato responsabilità.

Il ragazzo si ricordava bene il giorno in cui zio Ben, prima di morire, gli disse la frase che gli rimase impressa fino a quel giorno: da grandi poteri derivano grandi responsabilità e aveva ragione, eccome. I poteri di Peter gli permettevano di compiere azioni straordinarie. Però, a ogni singola goccia di libertà corrispondevano il triplo dei doveri. Sentiva di aver fallito. Sentiva di aver tradito il suo migliore amico e in un certo senso anche se stesso. Era, involontariamente andato contro i suoi principi.

La campanella suonò dopo due lunghissime ore e gli studenti, inclusi Peter, Devon e gli altri, si misero lo zaino sulle spalle e uscirono dall'università. Quel giorno si erano organizzati di andare a cena da Harry per tentare di tirargli su il morale che sembrava non voler migliorare. Peter, però, non perdeva mai il suo ottimismo contagioso e sperava che Harry sarebbe tornato come prima.

Peter e Devon decisero di passare il pomeriggio insieme all'insegna del romanticismo. Fecero una passeggiata per le vie trafficate di New York tra rumori di clacson, chiacchiere della gente e le luci della città. Passarono davanti a una pizzeria take-away il cui odore invitante si fece strada nelle loro narici, facendo languire i loro stomaci affamati.

"che ne dici, Pete, ci fermiamo qui a mangiare?" propose Devon con la sua voce più morbida della seta.

"direi che è perfetto" rispose il ragazzo analizzando il locale. Era piuttosto piccolo seppur accogliente. Vi era un bancone dietro il quale vi era un forno a legna. A sinistra vi era una saletta con qualche tavolino in legno. Le pareti erano piastrellate, rosse e bianche.

Si sedettero al tavolo dopo aver ordinato due pizze che arrivarono con una velocità impressionante. La mozzarella filante stimolò il loro crescente appetito. Mangiarono con voracità, quanta era la fame.

"aspetta, sei sporco qui" disse la ragazza dai capelli corvini sporgendosi verso di lui con un fazzoletto in mano per poi pulirgli l'angolo della bocca. Peter osservò il corpo di Devon quasi estasiato. Indossava un top di una band nero, la sua solita gonna plissettata nera ed una felpa dello stesso colore, leggermente oversize.

"grazie" le sorrise, prendendole la mano.

Dopo aver pagato, uscirono dal locale per poi fare un breve giro. L'aria fresca solleticò i loro volti anche se non era la più salubre di tutte, dato che si trovavano in pieno centro. La puzza di smog era all'ordine del giorno anche se ormai, da ordinari newyorkesi ci avevano fatto l'abitudine.

"New York, la città della pizza e dello smog" esordì Peter, tossendo leggermente.

"così bella quanto inquinata" aggiunse Devon, aprendo la felpa. Iniziava a fare caldo.

"quanto vorrei vivere in campagna, in una villa, con te" disse il ragazzo, fermandosi per guardarla meglio negli occhi grigi come la tempesta prima di prenderle delicatamente le guance e far combaciare le proprie labbra con le sue.

"a proposito, a che ora dobbiamo essere da Harry?"

"credo per le sei. Spero si diverta almeno oggi" aggiunse Peter, guardando per terra.

Il pomeriggio, tra una chiacchiera e l'altra, passò e i ragazzi, dopo essersi dati una rinfrescata, giunsero a casa di Harry, un loft raffinato e moderno.

"ragazzi, ciao" li salutò freddamente. I suoi occhi castani penetranti fissavano i due. Li fece accomodare sul divano, dove vi era già Maya che tentava di nascondere la sua tristezza negli occhi blu ghiaccio. Peter pensò che i due avessero litigato o, per lo meno, discusso. L'atmosfera non era delle migliori.

"prego, sedetevi pure" intimò loro.

"allora, Harry, come stai?" chiese Devon al rossiccio sperando che la sua condizione fosse migliorata.

"il solito, lo sapete che ultimamente non sto benissimo, ragazzi"

"avanti, tesoro, è passato un mese" disse la bionda.

"Maya, per favore, sono affari miei e te l'ho detto, chiaro?" le rispose acido con una rabbia latente.

"amico non credo sia tutta colpa di Spider-Man. Ha fatto quello che poteva" ribattè Peter, cercando di calmare le acque anche se ottenne l'effetto opposto.

"quel bastardo me la pagherà prima o poi" esordì, facendo calare il silenzio più assoluto in sala. Peter non sopportava quella tensione nell'aria, così fitta che si poteva tagliare con un coltello. Ne approfittò per andare in bagno, voleva togliersi da quella situazione spiacevole.

Si avviò verso il corridoio, gremito di quadri prestigiosi e stette per raggiungere la sua meta quando qualcosa catturò la sua attenzione: dei graffi provenienti dalla camera di Harry. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo ma non resistette alla tentazione di andare a curiosare. Aprì la portà e la prima cosa che gli saltò all'occhio fu una grossa bacheca posta sopra alla grande scrivania: vi erano fogli di giornale strappati raffiguranti Spider-Man.

Perchè è così tanto ossessionato da me?

Si avvicinò e vide altri fogli di giornale contenenti innumerevoli informazioni sul suo alter ego, fogli scarabocchiati, lente di ingrandimento e computer acceso. Un suono lo fece sussultare, proveniva dall'armadio.

Scusa, Harry ma devo capire cosa stai architettando.

Aprì le ante e perlustrò il mobile quando notò un baule aperto: non poteva credere ai suoi occhi.

Ma quello è il simbionte? Come diavolo ha fatto ad averlo?

Si tastò le tasche per controllare che il suo pass per la Oscorp fosse ancora lì. Putroppo, non lo trovo. Pensò che il ragazzo glielo avesse potuto rubare in un momento di distrazione come la festa dell'altro giorno.

Ecco perchè si comportava in modo strano. Voleva uccidermi!

Sentì una presenza dietro di lui e subito si pentì dell'azione che aveva compiuto. Si girò e vide Harry con la rabbia cocente nel volto. Lo aveva beccato con le mani nel sacco.

"cosa cazzo ci fai in camera mia, Peter" disse con una voce così ferma da fargli accelerare il battito cardiaco in un attimo.

"uhm, io- io-"

"dimmi, cosa vuoi da me? Prima dipingi Spider-Man come la vittima e ora curiosi tra le mie cose?"

"cosa mi stai nascondendo, Harry? Io non ti riconosco più"

"nulla che ti debba interessare" esordì stizzito prima di avvicinarsi pericolosamente a lui.

"sono il tuo migliore amico, lo sai"

"stronzate! Nessuno mi ha mai voluto bene in questa vita" disse prima di prenderlo per il collo, sollevandolo da terra.

"Harry, io non- non respiro"

La vista divenne sempre più sfocata, l'ambiente stava diventando un luogo amorfo. Realizzò solo in quel momento in che guaio si era cacciato.

UNDER MY SKIN - spider-man Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora