❄️2- Il mio superpotere

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I chased the pictured perfect life, I think they painted it wrong
I think that money is the root of all evil and fame is hell.

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Un anno prima

Il ronzio della pistola a bobina di Leonard Mayer, titolare dello studio Ink&Aug a Brixton, compone la colonna sonora della tortura che ho scelto di farmi infliggere.

«Ah, Dio mio!», serro le palpebre nel tentativo di attenuare il supplizio.

Leonard solleva l'ago dalla mia pelle, e passa sulla zona appena trafitta un pezzo di carta assorbente per eliminare il colore in eccesso. «Abbiamo finito», dichiara.

Mi alzo, e ogni mio atomo è intorpidito; la schiena brucia, tira e pulsa. «Se mi fa schifo cancelli tutto e lo rifacciamo, okay?», lo provoco, camminando verso il lungo specchio verticale.

Leonard si liscia il pizzetto fuxia con la mano guantata di lattice nero. «Certo, una passata di spugna e si ricomincia», sta al gioco.

Ruoto il busto. Benché uno strato di pelle arrossata circondi il tatuaggio, la sua bellezza è evidente: nel punto dove dorsale e cervicale si congiungono, un fiocco di neve dai toni azzurri e rossi si espande nelle sue forme geometriche; sopra e sotto puntini e cristalli a goccia formano una linea immaginaria che lo attraversa.

«Ti piace?».

«Lo adoro», affermo in tono sincero e grato. «Chissà se piacerà anche a mio padre»

Leonard libera una risatina nervosa. «Lo spero, considerato che l'ha pagato lui». Torna serio. «Adesso ti metto un po' di crema; dopodiché, incelofaniamo». Si appropria di un tubetto da un cassetto non molto lontano dallo specchio. «Applicala almeno due o tre volte al giorno per i prossimi quindici giorni. Acqua fresca e sapone neutro, mi raccomando. Dopo il lavaggio riapplica crema e pellicola o la pelle tirerà e ti farà venir voglia di prendere un rastrello da giardinaggio pur di riuscire a grattarti».

Incremata e incelofanata, mi muovo in direzione dell'appendiabiti, dal quale recupero la maglietta extralarge acquistata per l'occasione.

«Fammi sapere com'è andata, salutami Arthur e digli che lo aspetto per un altro tatuaggio».

«Glielo dirò».

Mi catapulto fuori dallo studio. La reazione di mio padre potrebbe essere diversa dalle speranze che nutro, ma rincaso con l'adrenalina unita ai globuli. Trovandolo in soggiorno a guardare la TV, sfilo la maglietta, e l'opera si palesa in tutto il suo intimo significato. Lui alza il pollice sinistro senza aggiungere parola alcuna, e il tatuaggio inizia a bruciare, ma non è il fiocco di neve ad andare a fuoco, bensì io stessa.

Invisibilità.

Il mio superpotere.

La mia condanna.

CI SCOMMETTO UN BACIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora