7. I just wanna get your attention

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A Daniela.
Tutte le volte che le tue gambe cederanno, noi saremo pronti a sostituirle con le nostre.
Ti voglio bene.❤️‍🩹

Sophie's pov

Ho conosciuto Braiden un anno e mezzo fa, mi piaceva la sua dolcezza, il suo essere gentile e buono con tutti, è il ragazzo che tutte la madri sognano per i propri figli, anche se io ne ho avuta una molto discutibile.

È da un paio di mesi che rimugino sulla nostra storia, nonostante i suoi valori e le qualità impeccabili, mi sento soffocare.
È come se fossi intrappolata in una relazione piatta, non esiste più nulla, nemmeno l'ombra  di una favilla.

Non sento la vera passione durante il sesso, la gelosia che attossica ogni organo, il bisogno costante del confronto, l'ira durante un litigio e la serenità quando si risolve tutto.
Mi sento anestetizzata, priva di sentimenti, ma con la paura di catapultarmi in una nuova realtà.

Nella vita mi sono sempre accontentata, non ho mai seguito l'istinto e ho sempre preferito rifugiarmi nelle situazioni comode.
Ho paura delle difficoltà e del mistero, non mi è mai piaciuta la sensazione di non sapere cosa mi aspetta e di conseguenza evito tutto ciò che potrebbe risultare instabile.

Non ho avuto una vita semplice, sono nata e cresciuta a Houston in Texas, ho perso i miei genitori a causa di un overdose da eroina e ho passato una vita tra siringhe e lacci emostatici.
Per fortuna gli assistenti sociali mi affidarono ai miei nonni materni, Vincent ed Angy.
I miei nonni sono persone di successo e affermate in ambito lavorativo, a differenza di mia madre che all'età di diciott'anni incontrò mio padre e insieme si tuffarono nel limbo della droga.

Tra i due, mia madre era la peggiore.
Quando svaniva l'effetto narcotico della sostanza ed entrava in uno stato d'astinenza diventavo il suo bersaglio preferito.
Ho passato la maggior parte delle notti chiusa nel seminterrato, con un braccino legato ad un tubo di scarico, l'acqua che filtrava dalle tubature bagnava il mio corpo tremante e avevo solo una ciotolina d'acqua sporca per bere.
Mi trattava come una bestia e mi guardava come se fossi un essere spregevole.

Mi puniva per la mia esistenza, perché se non fossi nata non avrebbe avuto alcuna responsabilità e avrebbe continuato a vivere la sua vita tranquillamente tra lo sballo e l'alcool.
Mi puniva perché ero una bella e quelle poche volte che mi portava al parco la gente si fermava per guardare me e non lei.
Mi puniva perché ero solare e vivace, a differenza sua che era depressa e rotta.

Ricordo ancora l'imbarazzo che provai quando gli assistenti sociali mi chiesero di spogliarmi, avevo il terrore che volessero punirmi e scoppiai in un pianto disperato, ero terrorizzata dal subire le punizioni.
Quando alzai la maglietta sudicia e striminzita, i quattro assistenti erano sconvolti e mortificati dalla scena pietosa che gli si parò davanti.
Il mio addome era cosparso di lividi e piccole punture di insetti, il braccio esile segnato dalla corda stretta e le unghie incrostate e spezzate dalla forza che applicavo per tagliare la corda.

La morte dei miei fu un sollievo, iniziai di nuovo a respirare e passo dopo passo a condurre una vita normale, ma sapevo che mi sarei trascinata a vita i traumi che mi avevano inflitto.

Scendo le scale dell'arena di Hockey accompagnata da Betty.
Non so perché sono qui, potrei andare agli allenamenti del mio ragazzo, ma quando stamattina Betty mi ha esposto i suoi programmi l'ho seguita senza battere ciglio.

Mi siedo nella prima fila della tribuna, con il solo plexiglas a dividermi dai giocatori che pattinano a destra e sinistra sulla pista, scruto ognuno di loro cercando insistentemente le sembianze di una persona sola, Mike Allen.

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