Prologo

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La Notte delle Maschere

Lazio, Italia, 3 febbraio 2008



Le fiamme inghiottirono tutto, due fruste di fuoco, alte e violente, che divorarono la luna, mentre il fumo spazzava via le stelle. L'odore dell'olio santo inquinò l'aria ed essiccò perfino la vegetazione attorno, ancor prima che le fiamme carbonizzassero ogni cosa. La terra tremò dal profondo quando la giovane sgranò gli occhi azzurri colmi di lacrime e di sangue color zaffiro: il sangue dei reali, il sangue della sua gente, il suo. Lucrezia piangeva lacrime di sangue striate d'argento.

La voce le si bloccò in gola e il dolore bruciò rapidamente il suo cuore, come il corpo del fratello bruciava nel rogo, tra le Guardie Nere che lei aveva ucciso, con la sola forza della sua rabbia. Fece due passi indietro e la sua schiena urtò contro il petto di qualcuno. La cicatrice sul suo viso grondava ancora sangue rosso, sul torace e sulle braccia le ustioni cominciavano ad infettarsi, le nocche erano scorticate e sentiva dolore, così tanto dolore, che tuttavia non poteva eguagliare quello che i suoi occhi smeraldini gli facevano vedere: la fine di ogni cosa.

Cesare aveva un fisico esile, sarebbe bastata solo la forza del vento a spezzarlo in due, eppure non si era lasciato sopraffare. Adesso, stanco e sconvolto, l'unica cosa che lo teneva saldo al terreno era la paura. La strinse fra le sue braccia, affondò le mani fra i suoi capelli castani, avvicinando il volto della giovane al suo petto, come se potesse bastare il battito del suo cuore a consolarla. Io sono ancora vivo, era questo che voleva dirle, io sono ancora qui, con te.

Soli, feriti, nel cuore della foresta, videro tutta la loro vita in pezzi, accompagnata dal crepitio del fuoco.

Quando i suoi sguardi si incontrarono, gli occhi azzurri di lei gli trafissero lo stomaco come una lama d'argento fredda. Scrutò in lei la disperazione e la paura e si allontanò, balzando indietro come una bestia sulla difensiva.

Lucrezia provò a parlare, ma si strozzò con le sue stesse parole. Cesare tremava, la lingua violacea si incartò fra i gli incisivi affilati ed i denti, provò imbarazzo e odio per sé stesso. Il senso di colpa cominciò ad incalzare rapidamente in lui come l'effetto di un veleno letale.

‹‹Ti prego...›› le disse, in lacrime. ‹‹Ti prego, dimmi qualcosa...››

Lei non respirava neanche. Non riusciva a guardarlo negli occhi, per via di quello che anche lei aveva fatto, di quello che i suoi occhi erano in grado di fare, ma prima di quella notte nessuno dei suoi poteri si era manifestato, finché il cacciatore aveva provato ad ucciderlo.

Allora lei aveva cercato di proteggerlo, ma ne aveva uccisi tre su quattro. Ed il quarto uomo aveva ucciso Adriano. Adesso, lei teneva gli occhi bassi, spalancati, terrorizzati. Temendo di poterlo anche soltanto ferire non lo guardava, nascondendo il volto, chinando il capo.

‹‹È colpa mia. Dovevamo restare a quella festa io...io ti ho voluto portare lontano dalla città, avevo bisogno di parlarti. Non avevo idea che ci stessero seguendo...››

Si inginocchiò, quasi pregandola, avvicinandola e cingendole i fianchi con le braccia, tirando il suo vestito color borgogna, come un bambino che si aggrappa alla veste della madre. Lei arretrava ancora. Disperato, Cesare appoggiò la fronte sul ventre della ragazza, supplicandola ancora di perdonarlo.

‹‹Lucrezia, per favore, ho paura.››

Nel bosco, chiamavano i loro nomi, invocavano il nome del fratello che avevano appena perso. Nessuno, a parte loro, aveva assistito a come le Guardie Nere lo avevano ucciso. Soltanto il fuoco non basta ad ucciderli: fuoco e pire imbevute nell'olio santo uccidono i reali. La voce di un uomo, dell'uomo che li aveva cresciuti, che per Lucrezia e Adriano era il loro padre, ma per Cesare era la causa di tutte le sue paure, riecheggiò nel bosco. Quella era la sua condanna a morte: entrambi lo sapevano. Quando lo udì, il ragazzo tremò e Lucrezia cominciò a piangere.

‹‹Mi ucciderà.›› disse. ‹‹Quando saprà cosa è accaduto, mi ucciderà, darà la colpa a me. È colpa mia, no? Adriano è morto, ed è ...colpa mia.››

Lucrezia scosse il capo, lo abbracciò, voleva abbracciarlo così forte, per il resto dei suoi giorni, finché il suo corpo non si fosse fuso con quello di lui. Sapeva che l'istinto di Cesare era quello di correre lontano da Ettore Vicario, da quel padre adottivo che l'aveva sempre odiato e che adesso aveva ben ragione di temere.

Lucrezia gli afferrò il viso fra le mani, appoggiò la fronte a quella di Cesare e quest'ultimo capì che non poteva esitare, non poteva aspettare oltre. Sarebbe scappato via, nessuno avrebbe visto, nessuno avrebbe saputo, come se anche la sua esistenza non fosse stata altro che un sogno appartenuto a Lucrezia e a lei soltanto.

Le cinse le spalle con un braccio e la baciò. Le labbra di lei erano morbide e calde, aspre per via del sonnifero che avevano usato per assopire i suoi poteri. Lucrezia avvertì in lui il sapore del sangue dolceamaro dei demoni, i denti appuntiti e la sua lingua liscia. E poi, sentì il cuore riprendere a battere, le braccia di Cesare cingerle i fianchi, le mani che le afferravano le spalle.
Fra le foglie qualcosa si mosse ed in quel breve, impercettibile, movimento lui sparì in una folata di vento. Cesare si dissolse, come la cenere di quel casolare che aveva consumato il corpo del loro fratello maggiore.

Lucrezia aveva ancora gli occhi chiusi quando non sentì più il calore del suo corpo a contatto con il suo.

‹‹Cesare?›› lo chiamò, consapevole che nessuno le avrebbe risposto.

Cadde sulle ginocchia, le mani affondate nel terreno. Le sue labbra erano ancora bagnate dalla sua saliva. Lucrezia le sentiva bruciare e quando si portò il dorso della mano destra al mento, affondò i denti sulla carne per soffocare il dolore e il pianto, ma non bastò.

Davanti a lei, suo padre apparve seguito da tre maghi e sua madre accompagnata dalla sua fedele amica, Matilde.

Quando incontrò lo sguardo furioso di Ettore colse immediatamente quello che Cesare aveva detto. Mi ucciderà.

L'ira di Ettore mentre avanzava verso di lei fu attenuata solo dalla mano che Artemisia, sua madre, aveva poggiato sul petto di lui.

Cesare era scappato. L'aveva abbandonata, mentre Adriano era morto. Lucrezia piangeva ancora lacrime blu e argento, in preda ad urli disperati. Neanche l'abbraccio di Artemisia e di Matilde riuscirono a calmarla. Artemisia guardò le fiamme che si attenuarono e nel fuoco trovò la risposta a quello che si stava chiedendo. A quel punto, anche la maga più potente fra i reali, cominciò a piangere in silenzio, spezzandosi dinnanzi al dolore della perdita dei suoi figli. 

I Sussurri delle Botteghe Oscure, vol. 1 "La Strega della Rabbia"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora