Capitolo 20

12 3 3
                                    




Piazza dei Tribunali, soleggiata, calda, maestosa. Il sole era bollente, l'acqua del Tevere dorata, a Roma sembrava già piena estate. Aveva in mano una ventiquattrore; dentro, carteggi, nomi, storie, persone, la legge. Scese le scale del Palazzo di Giustizia, osservava i suoi lucidissimi e costosissimi mocassini marroni, diede un'occhiata al suo orologio che segnava le undici e mezzo.

Gli avevano telefonato, un'auto lo aspettava, era urgente. La giustizia degli uomini poteva attendere. Lui, avvocato, piegava ed intimoriva persino la legge, che incarnava perfettamente.

Una Porsche nera dai vetri oscurati lo attendeva; i due uomini vestiti di nero sistemarono la loro giacca prima di risalire, uno alla guida, l'altro al lato passeggero. Aprirono lo sportello posteriore sinistro a colui che attendevano.

Nessuno in auto proferiva parola. L'uomo sistemò l'anello d'argento all'anulare, guardò fuori dal finestrino i passanti.

‹‹Spero ci sia un valido motivo per il quale mi abbiate disturbato. Devo lasciare Roma, stasera. Quando torno, la Città Eterna la sento tremare sotto le mie mani.››

‹‹La ragione è molto seria, signore. C'è una buona notizia ed una brutta.›› disse il conducente, guardando l'uomo che affianco lo accompagnava, incerto su cosa dire, cercando nello sguardo anche un consiglio su come porsi.

L'uomo allentò la cravatta, si passò una mano sugli occhi e sul volto, portando i capelli biondissimi come i raggi del sole all'indietro. Poi massaggiò la barba curata e bionda come i suoi capelli, con il palmo della mano destra, racchiudendo in quel gesto la sua indecisione:

‹‹Inizia dalla buona.››

‹‹Ettore Vicario attende nel vostro appartamento a Prati.››

‹‹Andiamo a Prati, allora. Non vorrei fare attendere un vecchio amico, a cui ho garantito la massima lealtà. È accompagnato dalla consorte?››

Silenzio, forse quella era la parte brutta da comunicare. L'uomo seduto affianco al conducente disse: ‹‹No. Matilde Castellani è, probabilmente, morta.››

L'avvocato sgranò gli occhi azzurri, vitrei, di ghiaccio come la sua espressione. Parve raggelare d'un pezzo, ma non lo diede a vedere. Fu solo un turbamento momentaneo.

‹‹Deve spiegarmi parecchie cose, il mio vecchio amico Ettore. Che me le spieghi bene.››

‹‹Garantisce i forgiatori.››

‹‹Tutti?››

‹‹Tutti. I reali, guaritori compresi, hanno dato la loro parola. Li ha portati dalla sua parte.››

L'avvocato parve calmarsi. Decise di non fare ulteriori domande finché non sarebbe arrivato a casa. Doveva vedere con i suoi occhi, sentire con le sue orecchie, le chiacchiere lo innervosivano, da sempre.

Quando entrò in casa un bambino raggiante lo accolse. Vestito di blu, come i suoi occhi, capelli biondi come quelli del padre, lisci come quelli della madre.

La donna, dietro al bambino, osservò il padre prendere in braccio il figlio di appena quattro anni, baciarlo sulle guance arrossate e accaldate, con quelle mani sfilate, le dita ossute, levigate come le lame delle sue spade. L'uomo poté vedere l'espressione triste e costernata della donna, le baciò le labbra rosee per rasserenarla e accarezzò i suoi capelli rossi, la sua schiena nuda e poi le diede un bacio sulle palpebre, facendole socchiudere gli occhi color cannella, sorridendo imbarazzata, timida. Il suo corpo perfetto ed esile era coperto da un vestito bianco e merlettato.

I Sussurri delle Botteghe Oscure, vol. 1 "La Strega della Rabbia"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora