Tessa.

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Stavo pensando alla lezione di oggi con il professor Shank. Mi ha spiegato, mentre leggeva un curioso libro sugli anfibi, che gli occhi delle rane sono globulari e che sporgono dalla sommità delle loro teste. 

Questo permette loro di avere una visuale di 360 gradi e una buona visione notturna di colori, ma faticano a vedere e a distinguere i dettagli da vicino. Ci ho riflettuto, scioccamente, ma l'ho fatto: nella prossima vita, voglio rinascere come rana. Non sono Buddista, ma il professore mi ha anche fatto una lezioncina di approfondimento sulla purificazione e la rinascita, e chissà, raggiungere l'ultimo stato Nirvana potrebbe essere la mia chiave di volta. Le cose più assurde ti ronzano nella mente quando passi troppo tempo in casa insieme a tua madre. Preferiresti diventare anche sorda. 

 Tutta la mia voglia di diventare anfibio si è dissolta quando il professore mi ha chiesto se mi manca la scuola. Ho barbugliato qualche parola, camuffando (senza successo) la mia goffaggine nel cambiare discorso; perché è diventato chiaro come la luce quanto mi manca il chiasso dei miei coetanei durante l'intervallo, il rumore dei libri e dei quaderni sul banco, il tramestio nei corridoi. Mi manca Patty Newman, la mia vicina di banco che in seconda elementare mi tirava la coda per copiare le tabelline. Ho odiato essere seguita dalla mia insegnante di sostegno tutte le volte che dovevo andare al bagno, ma mi manca. Perfino quello.

 Alla fine delle nostre ore di lezione, Shank si è offerto di parlare con la mamma, non del tutto convinto dal mio modo di sottolineare ogni parte del discorso in cui ho infilato più volte il "no, non mi manca la scuola". Il professore non ha avuto modo di iniziare la conversazione sul mio possibile ritorno tra i banchi, ha cambiato idea quando lei è tornata dal suo turno in galleria, iniziando una lunga chiacchierata sulla fondazione (quando ha scoperto dell'Amaurosi, si è subito iscritta a una fondazione volontaria che sostiene i ricercatori di malattie genetiche rare) il mio caso. Da uno a tre su 100.000 bambini nati all'anno. 

<<Spero vivamente che le notizie siano buone, oggi la scienza ha fatto grandi passi>> queste sono state le ultime parole di Shank, prima di congedarsi dalle chiacchere spasmodiche di mia madre. <<Dobbiamo solo attendere che arrivi la notizia che tanto aspettiamo...sa, professore, per lei sarebbe già tanto se riuscisse a intravedere un po' di luce, vivere la sua vita con qualche difficoltà in meno>> 

<<A proposito di questo>> ha aggiunto poi il professore prima di lanciarsi verso la porta d'ingresso, << forse a Tessa farebbe un gran bene stare di più all'aria aperta, tornare a scuola, farsi degli amici, vivere i suoi sedici anni come tutte le ragazze della sua età.>> C'è stato un lungo silenzio, poi mia madre ha letteralmente cambiato discorso quando Blaze è piombato tra di loro iniziando ad abbaiare. Ho chiuso la porta della mia camera accompagnandola con la mano, e tirando su con il naso, ho pensato di strappare dalla mia mente quei pochi e tediosi ricordi. Momenti in cui ho dimenticato che tra me e l'oscurità c'è un vincolo senza firma.

Se ci penso, mi sono state descritte così tante meraviglie qui a Denver. Diana mi ha sempre descritto tutto quello che vedeva alla perfezione, lei è sempre stata brava con le parole, soprattutto quando romanticamente mi parlava del candore della neve.

La prima volta che ho sentito la neve posarsi sulla mia pelle è stata una domenica di novembre. Diana aveva otto anni, io sei. Eravamo corse fuori, o almeno ho provato a non rotolare giù per le scale mentre venivo guidata dalla sua voce euforica. È stato un attimo, il frangente di un pensiero e mi sono ritrovata con i piedi nudi che profondavano in soffici nuvole ghiacciate. Il viso ha iniziato a pizzicare e il naso a colare. Diana iniziò a colpirmi con palle di neve, e io caddi sprofondando tra i cumuli. Le urla di nostra madre erano sempre più vicine, ma noi abbiamo iniziato a riderle in faccia. I miei piedi diventarono paonazzi, mia madre disapprovava il nostro comportamento, ma io ero felice. Non potevo perdermi tra il bianco e la luce, ma la fantasia lo faceva per me. Anche adesso la mia fantasia mi sta salvando, mentre sono seduta a tavola, intrattenendo svogliatamente una conversazione su associazioni e ospedali con mia madre. 

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