Tessa.

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Washington Park. Stesso giorno. 

Sto raccontando a Diana quello che è successo durante la mia fuga di "quasi mezzanotte." In realtà questa è la quarta versione, solo più arricchita dai dettegli sulla mia rocambolesca avventura, prima dell'arrivo tempestivo di Blaze. 

Siamo sedute su una panchina, ingessate nei nostri cappotti mentre gettiamo nel laghetto granaglie per le anatre. Fa caldo, ma questa mattina, quando nostra madre ci ha gettate giù dal letto, eccitata come una bambina a cui è stata permessa una giornata alle giostre, delle nuvole gelide coprivano un sole che sgomitava tra di loro. 

<<Ascoltate tutti, firmate la petizione e donate per l'associazione Together You Can>> sento urlare attraverso un megafono. <<L'assicurazione sanitaria è già costosa, e molte persone con figli affetti da malattie congenite rare, devono affrontare spese esorbitanti per potersi permettere le cure necessarie. Noi dell'associazione Together You Can, vi chiediamo soltanto un piccolo contributo. Insieme a delle fondazioni per la ricerca di malattie genetiche rare, abbiamo già assicurato delle cure per due bambini in età pediatrica affetti da Amaurosi...>> La voce di nostra madre risuona dal cono decisa, forte ed esaustiva. Le mani che battono alle sue parole sono poche, ma questo non l'ha mai demoralizzata, come tutte le volte che ci trascina in uno dei congressi organizzati dalla sua fondazione, oppure, quando lei e i membri- mamme per lo più- si radunano nei mercatini o durante convegni, concerti di beneficenza e eventi importanti in giro per il paese. 

Oggi lo stend dell'associazione è allestito al parco, tra bancarelle di vecchi oggetti di antiquariato- o almeno è quello che che mi ha detto Diana prima di sprofondare accanto a me sulla panchina, ancora assonnata- ce ne stiamo lontane dalla folla a chiacchierare, mentre il mio naso esposto al sole inizia a scongelarsi. Blaze è rimasto per tutto il tempo a dormire sotto la panchina, ogni tanto si intrufola tra le mie gambe in cerca di coccole.

<<Dovesti stare accanto a lei, così la gente si lascerà commuovere e nostra madre avrà argomenti di cui parlare per intere settimane>> sostiene mia sorella con una punta di sarcasmo nel tono, poi la sento sorseggiare qualcosa. Posa quello che sembra un grosso bicchiere di cartone sul palmo della mia mano e avverto la sensazione calda del liquido che contiene, propagarsi sulla pelle. 

<<Un buon cappuccino. Bevilo è ancora caldo, non sarà come quello al Little Owl Coffee, ma non è male.>> Seguo il suo consiglio e lo assaggio, cercando di distrarmi dallo scroscio di applausi alle nostre spalle. La schiuma incornicia l'arco del mio labbro superiore e il sapore del latte montato insieme al caffè dona alla mia bocca una nota dolciastra. <<Buono>> sussurro continuando a bere a piccoli sorsi. 

<<Allora, non mi ha più raccontato cosa hai combinato al poverino che ha avuto la sfortuna di incontrarti... anzi, di scontrarsi con te. Era un ragazzo? Ti è sembrato carino? Credi che si sia accorto che non l'hai fatto apposta perché eri troppo concentrata a capire se era uno schianto?>> sfotte Diana. 

<<Sì, era un ragazzo. No, non so se era carino perché sono cieca, e, no, non so se ha capito che mi sono catapultata davanti a lui perché avevo una voglia matta di farmi ammazzare soltanto per capire se era uno schianto.>> Incombe il silenzio. Strano, perché Diana ha sempre la battuta pronta durante i nostre ciniche e umoristiche conversazioni. 

Dietro di noi, i discorsi al megafono passano ad un'altra madre che racconta il calvario della piccola Soraya- due anni il mese prossimo- fa soffiare molti nasi e donare altri dollari. 

Anche lei è risultata idonea al trattamento sperimentale della Spark Therapeutics. Grazie all'associazione, partirà per il Children's Hospital di Filadelfia e inizierà il suo percorso per tornare a sperare. 

Io non ho mai voluto saperlo, non ho mai valuto darmi farse speranze. Non ho accettato di "mappare" il mio gene per sapere se è quello alterato con la sigla RPE65. Mia madre continua a provarci, a insistere affinché io possa cambiare idea e aspettare con ansia un'email o una lettera su cui è scritto un ipotetico "Positivo" o "Idonea".

<<Sai, se questa cura sperimentale fosse stata scoperta e portata avanti quando eri piccola...forse, a quest'ora tu...ci hai mai pensato?>> chiede Diana, timorosa. Non tirava fuori questo discorso da molto tempo. Faccio un respiro profondo, accogliendo nei miei polmoni quest'aria non più frizzantina. 

<<Ci ho pensato, non è che io non voglia...ma immagina che arrivi quel dannato foglio..."Ci dispiace signorina Clark, ma lei non possiede quel tipo di gene alternato, quindi è costretta ad aspettare che inventino una macchina del tempo per evitare a sua madre un esaurimento a vita, e magari che i suoi genitori divorzino... continui a sperare...">> rispondo esibendomi in una pungente parodia. So che il mio sarcasmo a volte può essere lezioso e saccente, ma è la parte di me che preferisco.

<<Tess...>> mi richiama. L'ho fatto ancora. Ci casco sempre. << Io ti appoggerò, qualsiasi decisione tu prenda, anche se non la condivido, mi troverai lì a sostenerti.>> 

Lo so. 

<<Anch'io.>> Cammino con i polpastrelli sul caldo metallo della panchina fino a raggiungere la sua mano e le nostre dita si intrecciano. 

 Il silenzio torna a padroneggiare, e la folla dietro di noi man mano si disperde, lasciando che tutti i suoni della natura tornino a ricompattarsi con l'ambiente del parco. 

<<Cosa ne dite se andiamo a mangiare qualcosa?>> chiede euforica la mamma avvicinandosi a passi spediti. <<Okay. Questo cappuccino a stomaco vuoto non ha aiutato molto>> lamenta mia sorella. 

<<Tessa, avevi promesso che oggi avresti dato la tua testimonianza per l'associazione. Ricordati che tutto questo è anche per te>> rimbrotta per poi lasciandosi cadere sulla panchina. Lo so, lo so. Le ho promesso che sarei salita sul quel palco, fatto un discorso da Premio Nobel e magari esibita cantando Like a Virgin blinde...

<<Scusa mamma, mi pizzica la gola e non so se sarei riuscita a spiccicare una parola...>>

<<Non importa, passeremo il resto della giornata insieme.>>

<<Non devi andare in galleria?>>

<<No, mi sono presa un paio di giorni liberi.>> Lascio cadere la testa sulla sua spalla, tornando ad ascoltare lo starnazzare delle anatre in cerca di cibo nel laghetto davanti a noi. Diana se ne sta in silenzio a sorseggiare il suo cappuccino che ovviamente ha finito di bere, ma continua a tirare con la cannuccia esalando tutti quei suoni molesti. Dopo aver salutato tutti i membri dell'associazione, restiamo ancora un po' qui, a goderci questo piccolo momento di tranquillità.

Era da tanto tempo che non passavano una giornata così. L'ultima volta che siamo venute in questo parco, c'era papà. 

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