•Capitolo 11•

23 6 1
                                    

N.A.
Perdonate il ritardo, ho diversi capitoli in bozza, ma ho preferito non pubblicarli perché mi sono dedicata al completamento della revisione del Quarto libro della saga.
-Angie 💗

Buona lettura

L'orologio segnava l'una di notte, ormai tutti dormivano ed era la mia occasione per uscire dal castello.
Indossai l'abito più comodo che trovai ed adagiai sulle spalle un mantello scuro quanto la notte.
Uscii fuori la balconata e voltai il viso verso destra, dove vi era la balconata della stanza del Principe.
Rimasti immobile per brevi istanti, non capendo il motivo per il quale non riuscissi a sentire il suo odore, non era in stanza?

Volevo accettarmi che ci fosse, per evitare qualsiasi ostacolo al mio piano, ma quando udii le voci delle guardie, mi fu impossibile continuare la camminata.
C'era il cambio turno ed era la mia occasione.
Con un balzo saltai sull'albero di fronte e subito dopo su quello accanto. Non potevo camminare per i giardini, mi toccava nascondermi tra il fogliame.

Arrivai senza alcuna complicanza vicino alle mura e, proprio come previsto, non vidi alcuna guardia.
Subito balzai fuori ed atterrai oltre di esse.
Ah... Che bell'aria che si respirava. Effettivamente era la prima volta, dopo il crollo della torre, che ero libera di andare dove volevo. Anziché correre, mi godetti la passeggiata e con calma mi incamminai verso ovest, con una strana ansia allo stomaco.
Non sapevo a cosa sarei andata incontro, cosa avrei visto, se avessi ricordato qualcosa. Sapevo solo che ero curiosa di vedere il luogo in cui ero cresciuta, seppur per poco.

La brezza notturna, la quiete, era tutto così magico. Non ero uscita per una missione, né sotto obbligazione, ero lì perche volevo esserci.
Camminavo per una Capitale deserta, un luogo che mi avrebbe fatto piacere visitare durante il giorno. Quando giunsi nei pressi del lato ovest, la prima cosa che notai fu un ponte in legno che separava le belle case alle mie spalle da un luogo senza alcuna illuminazione, con case in rovina, carri abbandonati ed erbacce cresciute.

Contemplai quel luogo di cui non ricordavo nulla e, lentamente, mi ci incamminai. Vi era solo il rumore dei miei passi lì e niente altro, nemmeno un cane o un gatto randagio, uccelli, gufi, niente di niente.
Camminavo per quelle vie che un tempo erano popolate da gente della mia specie e -pian piano- una sensazione malinconica iniziò a propagarsi nel petto.
Non ricordavo ancora nulla ed in quel momento sperai di non ricordare, il dolore sarebbe stato troppo grande.
Tutto era rimasto immacolato: gli attrezzi da lavoro, le finestre delle case spalancate, i vestiti appesi.

Tutto dava l'idea di una vita strappata via bruscamente e ancora nel bel mezzo del suo cammino. 
Nessuno dei presenti si sarebbe mai aspettato un attacco, non erano pronti, quel giorno si erano svegliati con l'intenzione di aprire la propria attività e di proseguire il lavoro o di condurre la classica routine.

«Chi ha mai potuto fare una cosa del genere...», sussurrai al vuoto. Se c'era la pace, perché arrivare a tanto?
Ripensandoci, però, sembrava quasi che quella piccola parte di paese fosse distaccata dalla capitale, nonostante ne facesse parte.
«Ci avevano allontanati con il ponte... Altro che pace.»

Sospirai con un nodo alla gola e le lacrime che minacciavano di uscire.
Decisi di andare via per il momento, anche perché erano passate due ore, ma mi ripromisi che sarei tornata.

«Buongiorno!», urlò Drake quando quella mattima scesi per fare colazione.
«Tutto bene? Hai un viso stanco.»

Mi limitai ad annuire e mi sedetti al mio posto.
La mia mente era ancora lì, volevo scoprire cosa fosse successo e soprattutto chi avesse causato ciò.

«Stamattina uova!», disse euforica Charlotte, evidentemente le aveva cucinate lei.
Non mangiai nulla, non avevo fame e per tutto il tempo sentivo lo sguardo del mio amico su di me.
Quando finimmo, mi diressi dal Principe, il quale come suo solito era seduto e chino sul suo lavoro.

Potevo chiedere aiuto a lui, alla sua famiglia, ma scartai subito l'idea.
Mi posizionai silenziosamente di fronte a lui, con le spalle al muro, e mi beai nuovamente di quel odore ormai familiare.
Era proprio una brutta giornata per me, avevo l'umore sotto i piedi. Erano passati sette anni, ero quasi libera di vivere ma quella notte -visitando il mio paese- mi resi conto che effettivamente non avevo niente e nessuno.

Per tutto quello tempo cosa avevo rincorso? Cosa speravo di vedere? Dove volevo arrivare? Non sapevo nemmeno dove fosse la mia famiglia, dove giacevano i loro corpi.
Mi sentivo smarrita, tutta quella fatica per cosa esattamente l'avevo fatta?
Senza rendermene conto, le lacrime che avevo trattenuto per tutto quel tempo, scesero senza un mio comando.

Chiusi gli occhi perché ormai era diventato tutto sfocato e non emisi un sibilo.
Un corpo caldo si avvicinò al mio e, colta alla sprovvista, non riuscii ad oppormi a quello che il Principe fece: mi abbracciò.
Da quanto non ricevevo un abbraccio? Un abbraccio tanto caloroso.
Rimasi con le braccia lungo i fianchi.

«Non so perché stai piangendo, ma va tutto bene.»
Quelle parole... Quelle parole io le conoscevo. Le avevo già sentite, le sognavo nelle notti più turbolenti.
Dove le...

«Non piangere, va tutto bene, ci sono io qui.»
La voce di quel bambino, era la sua.

«B-Ben...», quelle tre lettere uscirono in autonomia. Ben. Ben.

«Come mi hai chiamato?», chiese lui incredulo, sciogliendo l'abbraccio.

Davanti al mio viso, quei lineamenti maturi scomparvero e un bambino biondo comparì. Lo conoscevo, sapevo di conoscerlo. Drake aveva ragione.
Ed era assurdo, per tutto quel tempo la mente non ricordava ma il subconscio si. Il viso che sognavo da piccola, chiusa in cella, era il suo.
«Ben... Tu sei Ben.»

L'AvvenireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora