16 - Pettegolezzi

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"No,  it's much better to face
these kinds of things
with a sense of poise
and rationality"
- Panic! At The Disco

Più i giorni passavano, più l'attenzione mediatica sembrava essersi spostata principalmente su me e Arien.
Ogni volta che uscivamo, c'erano sempre almeno una dozzina di paparazzi che ci seguiva fin sotto casa dell'una o dell'altro.
E il giorno dopo, nuove foto su nuovi articoli freschi di stampa.
Alcuni che parlavano di quanto fosse romantico vederci passeggiare su un marciapiede, altri che parlavano degli sguardi innamorati che ci scambiavamo.
Finimmo persino al telegiornale e per poco non mi strozzavo con un pezzo di pollo grigliato che stavo mangiando.

Il mondo era impazzito per noi.
Io invece stavo impazzendo per la situazione.
Arien, d'altro canto, rimaneva pur sempre Arien.
Sorriso snervante stampato sulle labbra, con quei occhi neri che scrutavano ogni minima parte del mio corpo con arroganza.

«Dimmi la verità»

«Per la milionesima volta, no, non ci eravamo messi d'accordo su cosa indossare per andare a pranzo»

Phoebe continuava a fissarmi attraverso lo schermo del computer, rimanendo in silenzio, come se stesse cercando di estrapolare qualche informazione dalla mia bocca.

Alzai gli occhi al cielo e tornai a lavare gli ultimi piatti, sentendo Sekhmet strusciarsi sulle mie caviglie, mentre Salem e Selene se ne stavano sul bancone della cucina a dormire beatamente.

«Ancora non posso crederci che ci stai uscendo veramente»

«Già, neanche io» risposi riponendo gli ultimi piatti nella credenza e pulendo il ripiano dagli schizzi d'acqua che aveva provocato il rubinetto.
Avrei dovuto farlo vedere il prima possibile, altrimenti sarebbe scoppiato.

«E la sua storia con Julia com'é andata a finire?»

«Ho la faccia di una che si interessa a queste cose?» chiesi sarcastica, provocando una sua risata «Probabilmente Julia si sarà scordata del loro mezzo flirt e si sarà buttata su qualcun altro»

«Ma di cosa parlate quando siete insieme?»

Sbuffai e la guardai in cagnesco.
Le volevo bene, ma odiavo quando si impicciava in affari che non la riguardavano.
Sapevo che non c'era la benché minima malizia in quelle domande, eppure provavo un senso di irritazione misto ad un velo di imbarazzo nell'essere sottoposta a quella sottospecie di interrogatorio.

«Minimo indispensabile» dissi, mascherando dietro a un'espressione annoiata il mio nervosismo «Programmazione delle uscite, nuovi posti dove potremmo essere "colti in flagrante"».

«Sembrano più colloqui di lavoro che appuntamenti» rispose addentando una foglia di insalata e bevendo un goccio d'acqua.

La guardai attraverso lo schermo e non potei fare a meno di sorridere nel vederla imperlata di sudore e con una coda disordinata dalla quale fuoriuscivano dei capelli, apparendo come se avesse preso la scossa.
Mi aveva chiamato nella pausa pranzo che aveva tra una prova e l'altra per il suo imminente tour, scusandosi in partenza del suo aspetto orripilante, come lo aveva descritto lei, iniziando subito a tartassarmi con le sue solite domande sulla mia "relazione" con Arien.

Le avevo raccontato tutto, dalla prima parola che gli avevo rivolto quel giorno a Montauk fino all'ultima clausola del nostro contratto.
Mi fidavo di lei, sapevo che non avrebbe mai parlato, neanche sotto tortura.
E, se lo avrebbe fatto, sarei stata io ,poi, quella a torturarla.

«E i tuoi come l'hanno presa?»

Mi si gelò il sangue.
I miei genitori.

Non li sentivo da quando me n'ero andata da Southampton.
O meglio, ci eravamo scambiati dei messaggi nei quali mi chiedevano se andasse tutto bene e se stessi mangiando, solito di mia madre, ma non avevano mai aperto quel discorso.

Non d'amore, ma d'accordoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora