Una scintilla di speranza

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Da bambino, Simone ha sempre amato il Natale.

I profumi della neve, dei biscotti della nonna, delle candele alla cannella che sua madre accendeva per casa, che gli lambivano le narici e riempivano i polmoni, erano simbolo di festa, di casa, di tempo trascorso in famiglia.

Natale era magia, era letizia, era gioia. Era l'attesa di una nascita, simbolo di vita nuova.

Simone ha sempre amato il Natale e tutte le sue piccole tradizioni, come l'albero il giorno dell'Immacolata, le lucine colorate che Dante appendeva in cortile, la letterina che sua mamma lo invogliava a scrivere a babbo natale. E poi la notte del ventiquattro, la trepidante attesa di un uomo magico in sella alla sua slitta scintillante, che Simone era convinto di aver visto volare dalla finestra della sua cameretta dritto nel suo camino - altro non era che una stella cadente. E i regali, il pranzo in famiglia, il camino scoppiettante che riscaldava il salotto.

Poi tutto è svanito. La magia del Natale si è dissolta nell'aria come se non fosse mai esistita.

Simone ha smesso di amare il Natale, non trovando in esso più motivo di festeggiare: non ha più una famiglia con la quale trascorrerlo, non ha più un babbo natale in cui credere, non ha più amici a cui fare e da cui ricevere regali. Non li vuole nemmeno, i regali.

Da qualche parte, una volta Simone ha letto che da adulto la magia del Natale devi creartela tu. Ebbene, Simone è sicuramente in quella fase della vita nella quale dovrebbe sforzarsi con tutto sé stesso per mantenere le feste speciali, ma non lo fa.

Fosse per lui, salterebbe il Natale. Così come salterebbe Capodanno, Pasqua, il suo compleanno.

Non trova più nulla di piacevole e aggradante nella specialità di quei giorni. Più invece sono anonimi, più li passa tranquilli e meno rischia di costruirsi castelli di aspettative che poi non rispecchiano mai la realtà.

Quando apre gli occhi è la mattina del venticinque dicembre, fuori nevica e un vago profumo d'arrosto aleggia già per le stanze della casa.

Si tira su sul materasso, ben imbacuccato in uno spesso pigiama di lana verde, fino ad accostare le gambe al petto.

Lo sforzo che deve fare per non cedere alla tentazione di ricordarsi che è Natale è immane.

Comunque ha altre rogne a cui pensare, tra cui un certo poeta che gli risponde a monosillabi da giorni. Simone ha capito che deve essergli successo qualcosa di grave, perché un attimo prima conversavano amabilmente e quello dopo si è volatilizzato, ricomparendo solo ore e ore dopo. Simone ha chiesto spiegazioni, preoccupato, ma non gli sono state fornite; non esaustive, almeno.

E ora camminano sul filo de rasoio a ogni messaggio scambiato, con Simone che si sforza di continuare la conversazione e non cedere ai pensieri intrusivi che gli rimbombano nella testa e che gli dicono che poetanascosto si è stancato di lui e sta solo cercando un modo per levarselo di torno; e con poetanascosto che, d'altro canto, fa il criptico, il misterioso e il ferito, da qualcosa o da qualcuno ancora Simone non sa dire.

Ricerca nella sua chat un qualche segno vitale, ma non lo trova.

Pieno di delusione, gli fa gli auguri di Natale, un ulteriore misero tentativo di mantenere viva quella connessione che sembra pian piano starsi estinguendo, come prosciugatasi.

Ecco, la mattinata di Natale è già rovinata da un poeta bastardo che è da una settimana che lo fa ammattire.

A onor del vero, Simone ha pure cercato qualche distrazione in alternativa. Il sabato precedente, mentendo spudoratamente a suo padre e a sua nonna, ha finto di voler fare colazione con Laura e Luna («che bello, Simone, era da un po' che non uscivi con loro!», è stato il commento di sua nonna, contenta che il nipote avesse ripreso a fare un minimo di vita sociale) ed è tornato al bar di Chicca.

Il pittore e il poetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora