Matteo tutto si aspettava tranne che vedersi piombare alla porta di casa, alle sei del mattino, un Manuel sconvolto: il viso stanco, come se non avesse chiuso occhio, e le occhiaie violacee, segni di una notte insonne; le vesti trasandate, stropicciate, come se le avesse indossate alla rinfusa giusto per uscire di casa; con sé nulla, se non un telefono stretto tra le dita in modo ossessivo.
«Matte», lo chiama solo e la sua voce trema, un sussurro disperato, di preghiera.
Matteo lo accoglie, sbigottito, e lo conduce subito nella sua piccola stanza, guidandolo come si farebbe con un cieco che ha bisogno di un bastone: Manuel pare un'ameba, non si muove se non mosso, non parla se non interpellato, non fiata se non perché senza respiro perirebbe.
Lo fa adagiare sul letto, sul quale Manuel procede immediatamente a rannicchiarsi. Le lenzuola sono ancora arricciate e tiepide, ché Matteo si è appena alzato da lì, e Manuel ci si avvolge tutto.
«Manuel, mi vuoi dire che succede? Mi fai morire di paura così».
«È difficile», pigola triste, scuotendo il capo. «È 'na cosa che non potrei di' a nessuno, 'na cosa mia... ma, Matte, non c'ho dormito 'a notte. Ho bisogno de parla' co' qualcuno».
«È qualcosa di grave?», domanda preoccupato, nella sua testa già proiettati decine di scenari orribili in cui Manuel è tornato a spacciare, a essere coinvolto con la malavita o peggio. Rabbrividisce al solo pensiero e spera, prega di starsi sbagliando.
«Beh... dipende».
«Da che dipende, Manuè?», ribatte Matteo, alterato. È domenica mattina, sono le sei e vorrebbe fare tutto tranne che una seduta psicologica al suo amico; ma quest'ultimo è lì, in uno stato pietoso come pochi ne fa visti fino a quel momento, e quindi si sforza di essere collaborativo.
«Prometti che non mi giudicherai?», è la domanda, come una premessa, che Manuel pone timoroso, con voce piccola. Pare un bambino, accoccolato sotto le lenzuola, col capo chino e le spalle ricurve. Nulla a che vedere col mostro di sicurezza e spavalderia che si aggira per le strade del quartiere, o per i corridoi della scuola.
«Manuè», inizia serio Matteo, «t'ho visto in ogni modo possibile. Se non t'ho giudicato allora, non penso che lo farei mai ora».
Manuel annuisce ritmicamente, un su e giù continuo, quasi isterico. In silenzio sbocca il telefono, picchietta qualcosa e poi glielo porge.
Matteo si trova davanti un profilo Twitter - lui di 'ste cose capisce veramente poco, ché Twitter ce l'ha ma lo usa solo per commentare la Roma, mica per altro.
Matteo non capisce nemmeno qualcosa di poesia, ché lui è la letteratura hanno sempre viaggiato su piani paralleli, lui troppo concreto e lei troppo astratta, astrusa, incomprensibile per un animo pragmatico come il suo. Non ci capisce nulla, ma il bello lo sa riconoscere... e quelle poesie sono belle.
Sono belle, sono struggenti, sono vere. Sono sprazzi d'anima di un poetanascosto nell'ombra, annidato sotto un cumulo di lenzuola. Sono bagliori di un anima che Matteo riconosce a tratti, perché assomigliano tanto a quelli del suo migliore amico.
Scrolla indietro nel tempo e legge le poesie che pian piano compaiono, e così ripercorre le tappe della vita di quel poeta. In esse riconosce Manuel.
«Sono tue?», domanda dopo un tempo infinito, nel quale non ha fatto altro che leggere, assimilare, questionarsi.
Manuel freme sul materasso, si rannicchia ancora di più e poi, racimolando coraggio, sussurra un flebile «Sì».
«Perché non ne sapevo nulla?», chiede Matteo curioso, senza mostrare nemmeno un briciolo di risentimento. «Sono stupende».
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Il pittore e il poeta
FanfictionSimone e Manuel vivono d'arte, nascosti dietro uno schermo. Tutti sanno chi loro siano, tranne loro stessi. Si innamoreranno prima della loro arte, poi si innamoreranno a vicenda, per infine scoprire che le cose forse non si escludono vicendevolment...