Capitolo 7

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Non se ne rese conto ma, Diana, stava sognando: si ritrovò in un'esatta copia di quel luogo.
Indossava un abito uguale a quello di Ester, lungo fino ai piedi, di stoffa verde e con le maniche che sfioravano la terra. Aveva i capelli intrecciati e decorati con fiori invernali.

Davanti a sé, una lupa dal manto corvino e occhi di colori diversi: uno di un glaciale celeste, quasi bianco, l'altro di una calda tonalità di marrone rossastro. Questa si rizzò sulle zampe e camminò verso Diana, seduta a terra, priva di ogni traccia di paura, nonostante fosse, quella, la prima volta che aveva a che fare con un animale del genere. Si sentiva al sicuro.
La creatura le si sedette di fronte, costringendola ad alzar la testa per riuscire a guardarla negli occhi.

Chinò il capo, quasi come in un inchino, e si lasciò accarezzare: al tatto, sentì Diana, era calda e il suo pelo morbido, perfettamente pulito e privo di nodi. Controllò se avesse un collare.
-Chissà chi è il tuo padrone! Anche se questo ti lascia libera di andare dove vuoi, avrebbe dovuto metterti un collare. Chissà come ti chiami. -Disse Diana a voce alta, non preoccupandosi minimamente di parlare direttamente a un animale.

La lupa, in qualche modo sapeva perfettamente che si trattasse di una femmina, alzò di nuovo il capo e tornò a guardarla negli occhi, intensamente. Il proprio riflesso nelle iridi di diverso colore pareva rappresentare due parti di sé separate ma, in quel momento, non era in grado di riconoscerle, di comprenderle. Forse, per la prima volta in tutta la sua vita, percepì dentro di sé qualcosa che aveva bisogno di essere liberato per potersi sentire finalmente completa.
 Prima non ci aveva mai fatto caso, in quel momento, invece, aveva la stessa sensazione di aver ricevuto una doccia fredda di cui non sapeva di aver visceralmente bisogno.

Non ho nessun nome disse una voce nella sua testa, simile a un pensiero ma, lo sentiva, le apparteneva solo in parte. E non ho nessun padrone. Continuò la voce.

Diana, quando comprese che la voce apparteneva alla creatura, si mostrò sorpresa ma, dentro di sé, sapeva che non c'era nulla di strano.

Nonostante il paesaggio invernale che la circondava, in alto il cielo era cristallino e il sole splendeva, riflettendosi sulla neve candida che pareva brillare di luce propria, così come un'aura argentata, appena visibile, vibrava attorno all'animale.

Diana si mise sulle ginocchia, portando la mano destra verso la lupa, col palmo rivolto al cielo e le dita rilassate.

L'altra posò il muso allungato sul suo palmo. Solo in quel momento Diana si rese conto di non avere nemmeno un accenno di dermatite e nessun tipo di fastidio.

-Chi sei? - Chiese. La diretta interessata non toglieva, nemmeno per un secondo, il contatto visivo.

Sono il tuo Famiglio, Diana: gli Dei mi hanno mandata da te per aiutarti e proteggerti. Non lo sai, ma sono con te da prima che venissi al mondo e vi sarò per tutta la vita e oltre.

-Aiutarmi e proteggermi? Perché? Da cosa devi difendermi? - Chiese ancora la ragazza.

La lupa si alzò e, in tutta la sua grandezza, oscurò la luce del sole, assumendo le sembianze di una grande ombra circondata d'oro puro e splendente.
Torna da Ester. Ti ha nascosto la verità su di te perché è obbligata a farlo. A breve scoprirai tutto e noi saremo lì per aiutarti. Per sempre. Ora svegliati.

Diana di scatto gli occhi, in preda a un'improvvisa fitta di dolore alla pancia e un gran baccano. Ci mise qualche minuto per tornare seduta; degli strani crampi le impedivano di muoversi normalmente.
Mentre faceva una serie di profondi respiri che, solitamente, l'aiutavano quando aveva i dolori mestruali, si chiese per quanto tempo era rimasta priva di sensi; di certo abbastanza da sentire i propri vestiti completamente zuppi e sporchi di fango, e così doveva essere parte della sua faccia e dei suoi capelli. Riuscì a reprimere un conato di vomito: il fango la disgustava da quando, all'asilo, un bambino glielo aveva tirato in faccia, a mo' di palla di neve, facendogliene finire un po' in bocca.

Non aveva mai vomitato così tanto in vita sua.

Forse ho preso troppo freddo pensò, posando una mano all'altezza dello stomaco e stingendosi addosso lo scialle umido con l'altra.

Si sentiva stordita dall'improvviso risveglio, le ultime tracce del sogno fatto erano già sfumate dalla sua memoria, e poi, si rese conto con una certa comodità, di non avere più la rete addosso che era stata visibilmente trascinata e lasciata a poca distanza.

Notò inoltre che, delle confuse orme di fango, sicuramente appartenenti ad un animale, formavano un articolato percorso sul terreno in prossimità della trappola in cui era caduta, degli alberi più vicini e, soprattutto, di sé, il cui corpo era nuovamente paralizzato: percepiva l'imminente arrivo di una crisi di nervi, con tutto quello che stava accadendo in troppo poco tempo.

Restò lì, immobile, dimenticandosi persino di respirare tanta era la paura di far rumore. Da un punto tanto indefinito quanto vicino, all'improvviso, provenne uno strano rumore, simile ad un abbaio canino, cosa che fece immaginare alla giovane la presenza di qualcosa di simile. A seguito, un profondo e prolungato ringhio.

Una volpe con la voce molto profonda? Un Coyote? Un Lupo? Un cane selvatico?
Considerando quelle opzioni, Diana sperava vivamente in una volpe con qualche problema alla tiroide.

Le volpi avevano la tiroide?

Quel verso si ripeté di nuovo, di nuovo ancora e, solo quando Diana ritrovò la capacità di muovere il proprio corpo, alzandosi in piedi senza cadere svenuta per una seconda volta di troppo nella sua vita, la creatura si fece vedere: una testa di lupo dal manto corvino fece capolino dall'ombra, a poca distanza rispetto al tronco su cui lei si era appoggiata prima di venir attaccata da quella bestiola umanoide assai inquietante a cui non voleva assolutamente ripensare, e, non appena si rese conto di quanto quel lupo fosse effettivamente vicino ma soprattutto grande, il proprio corpo fu percosso da brividi simili a scosse elettriche, per quanto intensi.

Man mano l'animale avanzava, lentamente, si vide una folta coda scura immobile che prese a muoversi animatamente solo nel momento in cui posò gli occhi sulla giovane che iniziò a pregare di avere una morte veloce e il più possibile indolore.

Pareva tranquillo, quasi in vena di gioco ma, Diana, non si rilassò per nulla: era la prima volta in assoluto che vedeva un lupo in carne e ossa e non aveva idea di cosa significasse quel suo modo di fare: per un cane era un buon segno ma, per un lupo, magari significava "Che bello! La cena!" che rimaneva ad ogni modo un buon segno, sì, ma non per Diana.

Mentre il maestoso lupo dal pelo corvino e dagli occhi bicromi, uno celeste ed uno di una tonalità marrone-rossastra si avvicinava, la malcapitata passava in rassegna nella propria mente tutto ciò che avrebbe voluto fare nella vita e, soprattutto, chiedeva perdono a Marta per tutte le volte che l'aveva fatta arrivare tardi a lavoro perché non aveva voglia di andare a scuola, perdendo tempo in ogni modo.

Disse addio a tutti i propri cari.

Maledisse un'ultima volta i propri insegnanti.

Perdonò Cristina per il solo fatto di esistere. Non era colpa sua, in fondo, se il preservativo del padre si era bucato.

Ormai il lupo l'aveva raggiunta, era così vicino che era possibile sentire il suo respiro caldo sul proprio volto, i denti le cominciarono a battere rumorosamente.

La vescica pareva intenzionata a giocarle un brutto scherzo ma, la sua dignità, trovò la forza di resistere.

Passarono diversi secondi, poi il lupo le leccò una guancia, aumentando la velocità del movimento della coda. Strusciò la testa sulle gambe della ragazza, a cui iniziò a girare la testa in modo allarmante e, inoltre, si sbilanciò a causa della spinta.

Forse non correva nessun pericolo ma ancora non riusciva a rilassarsi. Quello sembrava un modo amichevole di comportarsi, forse era un lupo addomesticato abituato a venir lasciato libero per le sue passeggiate!
A Rieti c'erano tanti cani e qualche gatto che, seppur domestici, venivano lasciati liberi di andare e tornare a casa del padrone.

Diana tentò a muovere le dita della mano e lasciò che l'animale le annusasse, non smettendo di scodinzolare. Da solo, abbassò il capo e lo alzò nuovamente sotto la mano della giovane, così da farcela posare sopra.

Diana le fece una carezza e notò che la cosa era gradita. Poteva star tranquilla, era ufficiale!

Doveva considerarsi molto fortunata.

Piano piano si lasciò andare e s'inginocchiò, con il fiatone dato dalla tensione che ancora non se ne era andata completamente.

Allungò di nuovo una mano verso il muso del lupo che gliela annusò con insistenza, poi le si sdraiò accanto e ruotò il proprio corpo in modo tale di mostrarle la pancia che prese ad accarezzarla, mentre ogni briciolo di paura se ne andava via e lasciava spazio ad una pesante e improvvisa stanchezza.

Il lupo, anzi, la lupa, ebbe modo di notare Diana, si sedette, superandola in altezza di almeno venti centimetri e riuscendo a darle un minimo di calore grazie alla folta pelliccia, ben pulita, lucida e priva di nodi. Era palesemente addomesticata da qualcuno.

Rimasero così finché la creatura, con uno scatto improvviso che fece sobbalzare la ragazza, sì alzò e percorse un paio di metri trotterellando, per poi fermarsi a guardare Diana, scodinzolando un paio di volte con meno energia rispetto a prima.

La ragazza ebbe la strana sensazione che l'altra la volesse portare da qualche parte.
Si fidò, anche perché aveva proprio bisogno di aiuto per tornare a casa di Artemisia.

Mentre camminava, cominciò a pensare: a Ester e a sua nonna e a quanto, molto probabilmente, quest'ultima potesse essere preoccupata per lei, a quella cosa che di umano aveva ben poco ma, se umana non era, di cosa poteva mai trattarsi? Aveva avuto un'allucinazione? In parte ci sperò, quasi, perché immaginò di raccontarlo a qualcuno, magari Ester e cosa poteva mai dirle?

 Probabilmente le avrebbe dato della pazza e, Diana, le avrebbe dato la piena conferma di ciò.

 E dire che tutto quello che era accaduto era stato a causa della carta igienica!

Di cui aveva ancora bisogno, tra l'altro.

Disse al proprio corpo di resistere ancora, sperando che quell'ancora fosse soltanto una questione di pochi minuti, al massimo uno, uno e mezzo...
A non rendere migliori le cose, il suo stomaco le ricordò che era vuoto da troppo tempo. Diana era sicura che avrebbe trovato delle bacche commestibili, se solo fosse stata capace di distinguerle da quelle velenose.

La luce del sole cominciava già a diminuire e Diana rimase stupefatta dalla quantità di tempo che era effettivamente passata; la mattina che era ormai diventata pomeriggio. Anche Ester e suo fratello, probabilmente, erano consapevoli della sua scomparsa.

Il bosco andava assumendo pian piano sfumature sempre più sinistre, come quello del cartone di Biancaneve in fuga dal cacciatore. Scena per lei quasi più traumatica della morte della mamma di Bambi. Non a caso, preferiva di gran lunga Lilly e il vagabondo e gli Aristogatti.

I suoi pensieri tornarono a Ester, nello specifico al suo comportamento degli ultimi giorni, suo ma anche a tutte le stranezze della nonna, del fratello e anche di quella donna vestita da regina delle fate, Tatiana o quel che era.

Quante cose effettivamente sapeva di Ester? Si chiamava Ester Castelli e veniva da più giù rispetto a qua, ossia rispetto a Rieti. Così si era presentata il primo giorno del terzo anno, quando Diana le si sedette vicino.

I primi giorni, se non settimane, si era comportata come se provenisse da un altro mondo: non sapeva niente di libri, se non dei classici del Settecento, non aveva idea di che cosa fosse un musical, Ofelia rischiò di svenire nell'udire ciò, e quando ebbe la sua prima lezione di inglese chiese di andare al bagno e ci rimase fino al suono della campanella, usando la scusa di essersi sentita male, anche se dal pallore non era sembrata per nulla una scusa.

Diana notò solo in quel momento che ciò che apprezzava Ester glielo aveva fatto conoscere lei, altre compagne di scuola e i professori stessi che la adoravano per il suo essere estremamente educata ma impazzivano quando non sapeva dire neanche le regioni d'Italia.
Sapeva disegnare, conosceva la storia dell'arte dal medioevo alla prima metà del Settecento, così come la storia ma, dalla seconda metà del diciottesimo secolo in poi, vuoto totale.

A riportare al presente Diana, fu una scena assai particolare: una cerva dal bellissimo manto mielato era ferma davanti alla giovane che non aveva mai visto un animale del genere dal vivo.
La lupa cominciò a fissare intensamente la cerva che fece lo stesso, mentre la ragazza cominciava ad avvertire un certo senso di nausea, aspettandosi di partecipare ad una brutale carneficina. Invece, accadde l'incredibile.

La cerva trotterellò verso il lupo che prese a scodinzolare così veloce che la coda da una si triplicò.

I due animali cominciarono a correre a gran velocità, fianco a fianco, e Diana, più stupita che altro, cominciò a seguirli finché non vide da lontano due figure a lei familiari.
Le creature del bosco si fermarono e si divisero: il lupo tornò da Diana e la cerva s'affiancò a Ester, intenta a guardare stupefatta l'amica e la sua nuova compagna.

Non le disse nulla: era pallida, addosso aveva un lungo abito marrone che Diana avrebbe sicuramente commentato, se non fosse stata quasi stritolata dall'abbraccio dell'altra.

Le Cronache Delle Streghe- Libro primoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora