Capitolo 8.1

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Dei rumori provenienti dal piano terra fecero svegliare Diana che, in un primo momento, cercò d'ignorarli mettendosi con la testa sotto al cuscino e la pesante coperta di lana sopra al tutto ma, dopo pochi minuti qualcosa cominciò a pizzicarle l'orecchio. Con uno scatto che non piacque per nulla alla propria cervicale e al cervello che rimbalzò di qua e di là all'interno del proprio cranio, si alzò, grattandosi l'orecchio con fare nervoso.

Ecco perché preferisco la città! Marta amava stare all'aria aperta, passare i fine settimana in un B&B a Terminillo quando il lavoro glielo permetteva, portando con sé figlio, nipote e cane che, ogni volta, si riempiva di forasacchi.

Diana detestava gli insetti, i grilli erano il suo incubo da quando, a cinque anni, sempre in uno di quei fantastici giorni di montagna, durante una passeggiata fu letteralmente assalita da almeno dieci grilli che cominciarono a saltare addosso, dalle gambe alle braccia.

Gli echi delle urla, dopo tredici anni, erano ancora udibili, se si tendeva bene l'orecchio.

Si stiracchiò per bene, si pulì gli occhi con le dita e si vestì velocemente, questa volta cedendo a uno degli abiti di Ester, considerando che i propri, amati, normali abiti, dopo gli avvenimenti della giornata precedente, erano ancora a mollo in un secchio di legno. Con quel freddo e umidità, probabilmente si sarebbero asciugati per capodanno, all'inizio dell'anno duemilamai.

Tolse la scomodissima camicia da notte troppo lunga per lei, essendo più bassa di Ester di almeno una decina di centimetri e mise una sorta di sottana dal tessuto ruvido che toccò il pavimento, sopra l'abito che l'amica le aveva mostrato la sera precedente, di lana marrone, calze lunghe fino al ginocchio forse un po' troppo larghe e le scarpe, per fortuna, erano le proprie, uniche superstiti che le fecero guadagnare almeno un paio di centimetri.

Meglio di niente.

Uscì dalla camera e un dolce odore di mele cotte la raggiunse, poi la voce della signora Artemisia di cui però non comprese le parole.

Lentamente scese, facendo attenzione a non rendere il proprio accompagnamento musicale gli scricchiolii del legno su cui poggiava i piedi. Odiava quel suono, era così sinistro!

Raggiunse l'ingresso: a sinistra lo studio della signora e il salotto, a destra la cucina e una stanza che prima di quel momento aveva sempre avuto la porta chiusa. Da lì, entrava una bella luce naturale e si sentivano dei passi che, avvicinandosi sempre di più alla porta in questione, mostrarono l'anziana che per una frazione si congelò alla vista di Diana.

-Buongiorno- salutò la ragazza, muovendosi in avanti di qualche passo. La diretta interessata le rivolse un sorriso e ricambiò il saluto.

-Ti abbiamo svegliata noi? Stiamo tirando fuori le cose...

-Nonna? Non trovo le candele nuove!- La voce del fratello di Ester di cui Diana non ricordava il nome.

-Adesso arrivo- si rivolse di nuovo a Diana- vuoi del latte caldo o una tisana? Ho preparato dei tortini di mele.

Diana accennò un sorriso e avanzò ancora - Una tisana, grazie. Se ha da fare posso farmela da sola.

-Ne preparo un po' per tutti, vieni in cucina per prendere un tortino, poi se ne avrai voglia potrai aiutarci a sistemare di là.

Diana man mano che camminava non poteva fare a meno che tentare di vedere cosa ci fosse in quella stanza, a parte il ragazzo alla disperata ricerca di candele. Forse un compleanno? Magari il proprio? Al pensiero, un misto di eccitazione e nervoso prese forma alla bocca del proprio stomaco.

-Sistemare cosa?- chiese, in parte speranzosa di aver ragione.

-Yule!- Esclamò entusiasta la signora, entrando in cucina.

-Salute?- Rispose incerta Diana, affacciandosi per una manciata di secondi: vide cose talmente strane, fratello di Ester incluso, che mise da parte ogni pensiero riguardo al suo compleanno e decise di ragionarci su una volta a stomaco pieno.

Quei tortini di mele avevano un profumo molto invitante.

-Mia nipote non te ne ha parlato?- La signora Artemisia si diresse verso una sorta di forno di pietra inglobato in parte nel muro, col fuoco già acceso, e, da una nicchia sottostante coperta da una tendina sporca di fuliggine, ricavò un piccolo calderone e un bastone di metallo con manico in legno che finiva con un doppio gancio; da uno dei due tavoli da lavoro prese una brocca d'acqua in terracotta, apparentemente troppo pesante per la fisicità esile della signora che, invece, riuscì tranquillamente a trasportare, sebbene con qualche lamentela nei riguardi della propria schiena e versando poi dell'acqua nel piccolo calderone.

Calderone, calderone, calderone...pensò Diana, consigliando a se stessa di ignorare il fatto che mai avrebbe pensato di vedere qualcuno usare un calderone al di fuori dei film di Harry Potter e di continuare a pensare a quella parola finché non le sarebbe risuonata nella testa come priva di senso, come in fondo erano quelle giornate che stava passando assieme alla nonna di Ester.
Calderone, calderone, calderone...

Le Cronache Delle Streghe- Libro primoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora