CAPITOLO 14. CONFESSIONI.

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Pov Akito.

Non riuscivo a non pensare alle parole che Kamura mi aveva detto.
"Tu non sarai mai degno di lei. Sana è un attrice, tu un poveraccio, non potrai mai renderla felice o capirla. Lei è una star di fama mondiale, tu non sei altro che un ragazzo qualunque condannato a sentirsi inadatto e inadeguato, perché presto o tardi ti renderai conto che qualsiasi cosa tu faccia per sorprenderla o stupirla non sarà mai abbastanza..."
Quel bastardo l'aveva fatto di proposito, per allontanarci, per mettermi in testa che io e Sana non avevamo alcuna speranza. In realtà, analizzando bene la situazione, era davvero così: non avevo nulla che potesse essere degno di Sana. Lavoravo, avevo un buono stipendio, all'università ero abbastanza brillante, ma niente di tutto ciò era lontanamente paragonabile a ciò che avrebbe potuto dargli lui.
Lei meritava tutte quelle cose, meritava la vita lussuosa a cui era abituata, meritava che qualcuno si prendesse cura di lei, come io non avrei mai potuto fare. La sensazione di vuoto mi attanagliò lo stomaco.
Decisi di non pensarci, dovevo godermi quelle ultime ventiquattro ore che avrei passato da solo con lei, e niente, neppure le insinuazioni di Naozumi Kamura, avrebbero potuto rovinarmi quel momento.
Nessuno l'avrebbe amata quanto l'amavo io. Nessuno avrebbe adorato la curva dolce della sua mandibola, quando se l'accarezzava riflettendo troppo su qualcosa. Nessuno avrebbe adorato le sue mani, piccole e delicate quanto basta, ma forti e dure quando c'era da picchiare qualcuno. Nessuno avrebbe adorato il suo sorriso, così contagioso, che faceva ridere anche me. Nessuno avrebbe adorato il suo collo, esile e fine, o le sue spalle, o i suoi occhi... oh, i suoi occhi...
Mi voltai a guardarla, aveva sciolto la treccia e in quel momento i capelli le ricadevano disordinatamente sul volto, incorniciandoglielo come un'opera d'arte. Il vestito le stringeva ancora di più sul seno, fasciando perfettamente ogni centimetro del suo decolté, e io desiderai immediatamente di accoccolarmi su di lei, anche senza far nulla, anche senza provare a baciarla, così, per averla vicina.
Fu esattamente ciò che feci. Mi avvicinai, eliminando la distanza tra di noi, le alzai un braccio e mi appoggiai sul suo petto, come fanno di solito i bambini con la loro mamma.
Io non avevo mai conosciuto quella sensazione.
«Mi spieghi cosa stai facendo?» chiese lei, trattenendo le risate. «Non mi sembra di avere un cuscino al posto delle tette.»
«No, infatti, sono piuttosto scomode.». Risi anch'io, poi alzai gli occhi per guardarla. «Posso?»
«E me lo chiedi dopo averlo già fatto?». Mi diede un buffetto sulla testa e poi prese ad accarezzarmi dolcemente. «Volevo ringraziarti...» disse poi. La sua voce era un sussurro, ma riuscivo a sentire il battito del suo cuore e mi concentrai su quel ritmo.
«E per cosa?»
«Per tutto... se non ci fossi stato tu, a quest'ora Naozumi penserebbe che lo amo ancora e che mi sto crogiolando nel dolore.»
«E non è così?»
«Ti sembro una che si sta crogiolando nel dolore?»
«Intendevo.. l'altra cosa.»
«Se lo amo?»
«Esatto.»
«No. Non più.»
Quelle parole mi bloccarono il fiato in gola. Lei non l'amava, ma adesso non avevo la minima idea di ciò che sarebbe successo, né di ciò che ci avrebbe riservato il futuro, ma sapevo che Sana era la donna che volevo, anche se non la meritavo, anche se non ero io quello giusto per lei.
«Quindi non lo ami più?», chiesi di nuovo, per averne la certezza assoluta.
«No Hayama, vuoi che lo urli fuori dal finestrino?»
«Non sarebbe una cattiva idea.» dissi io, sfidandola. La vidi sorridere, i suoi occhi brillavano di una nuova luce, di una nuova Sana. Aprì il tettuccio della limousine e, mentre scorrevamo nel traffico di New York, lo urlò.
«NON AMO PIU' NAOZUMI KAMURA!!!». Tornò a sedersi vicino a me. «Contento adesso?»
«Non sai quanto..» mi limitai a rispondere. Mi sentivo sollevato, come se la mia speranza fosse tornata ad accendersi. Se non fosse stata mia, avrei sofferto da matti, ma me ne sarei fatto una ragione solo nel momento in cui l'avrei saputa felice, accanto a qualcuno degno di lei.
Improvvisamente Sana pigiò un pulsante, quello che abbassava il vetro divisore tra noi e l'autista. Si avvicinò all'uomo – una fitta si espanse per tutto il mio petto. Adesso cominciavo anche ad essere geloso, ero ridicolo – e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Sgranai gli occhi e cercai di capire cosa gli stesse dicendo, ma Sana aveva messo la mano davanti alla bocca e quindi non riuscii neppure a leggere il labiale.
Impiegò qualche minuto prima di tornare a sedersi al mio fianco, totalmente raggiante nella sua nuova veste da donna libera e misteriosa. Mi sorrise, consapevole del fatto che mi stava facendo innervosire – odio non avere le cose sotto controllo, lo ammetto – e poi spostò lo sguardo fuori dal finestrino, ignorandomi.
«Potrei sapere dove stiamo andando?» chiesi notando che l'autista stava cambiando strada, inoltrandosi in vicoli che non riuscivo a ricordare nel viaggio d'andata.
«E' una sorpresa.» rispose evasiva lei.
«Sai che odio le sorprese.»
«Questa ti piacerà.» asserì lei, sorridendo ancora.
Quando arrivammo a destinazione, Sana si avvicinò nuovamente all'autista e gli disse di non aspettarci e che saremmo tornati a piedi in albergo. Lo congedò porgendogli una busta, probabilmente dei soldi, e nuovamente mi sentii inadeguato a lei, ma cercai di scacciare immediatamente quel pensiero. Ora che lei poteva essere mia, non avrei lasciato che le mie insicurezze rovinassero tutto.
Non avevo idea di cosa avesse organizzato e mi sentivo nervoso e allo stesso tempo eccitato, come un bambino la prima volta al parco giochi. Prima ancora di uscire dalla macchina, Sana mi poggiò le mani sugli occhi.
«Che diavolo stai facendo?» chiesi scettico, cercando di toglierle le mani dalla mia faccia. Lei fece resistenza e mi intimò di stare zitto. Obbedii, non potevo non farlo se me lo diceva in quel modo.
Sentivo l'odore dell'erba, quello della terra bagnata e tentai di ricordare dove l'avessi sentito prima. Ripercorsi attentamente il nostro soggiorno a New York e l'immagine del parco vicino all'albergo mi assalì immediatamente. Eravamo in un parco, ma non era quello in cui avevo corso la stessa mattina.
Quando Sana mi tolse le mani dal viso, non potei fare a meno di sorridere. Una enorme pista di pattinaggio la faceva da padrone, e capii subito che eravamo a Central Park.
«Come ci sei riuscita?» chiesi esterrefatto dalla vista di quella meraviglia.
«Ho le mie conoscenze..» disse lei alzando gli occhi al cielo.
Io sorrisi, le porsi la mano e subito arrivarono da noi due uomini con in mano due paia di pattini. Sgranai gli occhi, non sarei mai salito su quella pista, mai e poi mai.
«Non lo farò mai.» dissi io, capendo ciò che aveva organizzato.
«Si che lo farai.» rispose lei, porgendomi i pattini. «Thank you, sir.» disse poi in un perfetto inglese ai due uomini, che intanto si allontanavano.
«Avanti, Hayama. Non abbiamo tempo da perdere.». La luna illuminava perfettamente il suo viso, i capelli le scendevano ai lati del viso, tutti arricciati dalla treccia che aveva fino a poco prima. Tentava di tenere su il vestito per mettere i pattini – non avevo idea di come sarebbe riuscita a stare sulla pista, con quella gonna così lunga – ma dovetti aiutarla a farlo, perché l'abito la intralciava.
Quando, dopo infinite lamentele, mi convinse a raggiungerla sul ghiaccio, non feci in tempo ad avvicinarmi che lei era già caduta. L'aiutai ad alzarsi, ma Kurata mi trascinò a terra con lei, ridendo come una bambina di due anni. Risi anch'io, contagiato dal suo buon umore, perché se c'era una cosa che amavo di lei – oltre al fatto che fosse meravigliosa, ma quelli erano dettagli – era che mi infondeva tranquillità. Stando con lei, non avevo bisogno di tutte le cose che mi erano servite fino a qualche mese prima – donne, divertimento, serate a bere come una spugna – perché la sua sola presenza bastava a sistemare il casino che avevo sempre avuto in testa.
«Quindi..» cominciò lei, accarezzandosi delicatamente il vestito ormai totalmente fradicio. «Ti è piaciuta l'immersione nel mio mondo?».
«Potrei quasi decidere di fare qualche provino.» scherzai io, alzandomi da terra.
Le porsi la mano, lei la prese e ci ritrovammo a pochi centimetri l'uno dall'altra. Avrei preferito troncare quell'inutile discussione lì, le parole ormai si sprecavano, ed ero stanco di confessioni infinite che alla fine non portavano a nulla. Lei minimizzò il gesto, voltandosi dall'altra parte e allontanandosi da me, facendo una giravolta sui pattini.
«Allora devo stare attenta, mi ruberai la scena!». La sentii ridere, e pensai che non ci fosse nulla di meglio che ascoltare il suono della sua risata.
«Il fidanzato di Sana Kurata sbarca ad Hollywood. La giovane attrice si ritira!» imitai il titolo di un giornale, mimandolo anche con le mani. «Lo vedo già, Kurata!». Chiusi gli occhi, gustandomi il mio immaginario momento di gloria.
Lei tornò vicino a me, tentò di darmi una botta sul braccio, ma io mi spostai così velocemente da farle perdere l'equilibrio e farla cadere, di nuovo.
Si piegò in due per le risate e, distratto dal suo sorriso, non mi accorsi che intanto mi stava facendo lo sgambetto. Normalmente, con l'occhio vigile che avevo sempre, mi sarei accorto che tentava di farmi cadere, ma quella ragazza aveva la maledetta capacità di farmi perdere totalmente la concentrazione.
In meno di due secondi, mi ritrovai per terra, con il viso affondato nei suoi capelli. Inspirai a fondo, l'aroma era sempre lo stesso, ma non smetteva per un attimo di farmi quell'effetto. Ogni volta che Sana Kurata si avvicinava a me, una scarica mi percorreva la schiena e mi lasciava totalmente interdetto. Non volevo che mi facesse quell'effetto, mi sentivo così debole a causa sua, ma d'altra parte era l'unica persona a cui avrei permesso tanto e che mi faceva provare quelle cose, quindi perché negarlo?
Dopo svariati giri di pista, in cui lei cadeva e io l'aiutavo a rimettersi in piedi, ci spostammo su una panchina vicina alla distesa di ghiaccio. Non faceva particolarmente freddo, piuttosto l'aria era pungente e fastidiosa.
«Allora, che pensi di fare quando torneremo a casa?» chiese lei, poggiando la testa sulla mia spalla. Le accarezzai i capelli, e sospirai. Cosa avrei fatto?
Potevo tornare alla mia vecchia vita o continuare ad esserle amico, aspettando che lei capisse i miei sentimenti.
«Potrei abituarmi a questa storia del fidanzamento, in effetti.» scherzai io.
«Non vorrei mai farti sfigurare davanti alle tue ragazze.»
Sinceramente non riuscivo a capire queste sue paranoie, all'università non c'era nessuna ragazza che si avvicinasse alla sua bellezza e al suo fascino, praticamente tutti i ragazzi, ogni volta che la vedevano, facevano pensieri poco casti su di lei, per dirla breve era il sogno erotico di ogni uomo, e lei non se ne rendeva neanche conto.
«Sei tu la mia ragazza.» dissi continuando ad accarezzarle i capelli. Avrei potuto rimanere in quel modo per tutta la vita, stringendomi a lei come se avessi il diritto di farlo, quando in realtà non ce l'avevo affatto.
«Che cosa significa questa frase?» chiese puntando i miei occhi.
«Significa che se non vuoi che i giornalisti smascherino la nostra montatura, bisogna continuare la farsa anche al campus. La notizia del fidanzamento sarà arrivata anche all'università, non puoi pensare che appena tornati possiamo comportarci come se niente fosse, non dobbiamo destare dubbi o sospetti.» spiegai tranquillamente io. Intanto Sana mi guardava come se stessi parlando di chissà quale stranezza, con gli occhi sgranati e lo sguardo che aveva sempre durante le lezioni di chimica, quando non capiva qualcosa, il che accadeva praticamente sempre.
«Alcune volte mi domando come tu abbia fatto a conservare questa tua ingenuità lavorando in mezzo a quegli squali. Non dirmi che non ci avevi pensato.»
«A dire il vero...» esitò, portandosi l'indice alla bocca, torturando le labbra. «No, non ci avevo pensato.»
«Dovrai sopportarmi ancora per un po'...» azzardai io. «Ora che abbiamo esaurito l'argomento fidanzamento, posso chiederti una cosa?»
Kurata mi guardò perplessa, annuendo.
«Dimmi.». La sua voce assunse un tono nervoso. «Avanti!» mi incitò.
«Io ho.. ho un amico.» cominciai. Le cose si mettevano piuttosto male se si iniziava a parlare di ipotetici amici che hanno ipoteticiproblemi, ma non trovavo il modo per parlarle senza avere paura di un suo rifiuto.
«Un amico..?» chiese lei, trattenendo le risate.
«Si, un amico.» la zittii io. «Un amico che.. che è innamorato.»
«Mhm..» fece lei.
«E' innamorato, o almeno crede di esserlo, visto che non è mai successo.. però.. teme che le loro diversità siano un ostacolo troppo grande.»
«In che senso?» chiese incuriosita.
«Nel senso che lei non è il tipo di ragazza che lui è solito frequentare, lei è... diversa, lui l'ha definita.. pura.». Non potevo trovare aggettivo migliore. «Lui invece è un po'... un ragazzo difficile, diciamo.» spiegai nervosamente.
«Praticamente mi stai chiedendo se questo tuo amico che colleziona ragazze come fossero francobolli, potrebbe essere preso sul serio da questa ragazza senza uscirne con il cuore infranto?».
La risposta a quella domanda avrebbe potuto cambiare radicalmente la mia vita, avrei potuto trovare nelle sue parole un filo di speranza, che sarebbe bastato a farmi andare avanti ma, nel peggiore dei casi, avrei potuto invece avere la certezza che lei non volesse avere nulla a che fare con me.
«Non ti ho detto che colleziona ragazze come francobolli.»
«Hai detto che è un tuo amico, basta questo per capire il genere. Comunque per rispondere alla tua domanda, penso che se ci tiene veramente deve rischiare.»
«Il problema è che non sa proprio da dove cominciare, diciamo che è il classico tipo che è abituato ad avere tutto senza dover chiedere.»
«Bè... c'è sempre una prima volta nella vita, se vuole avere qualche chance la deve corteggiare.»
«Hayama?» disse poi, voltandosi a guardare gli alberi vicini a noi.
«Mhm?»
«Continui a non credere all'amore?»
Che domanda. Avevo appena conosciuto quel sentimento, non sapevo quasi nulla di esso, ma distinguevo immediatamente quel senso di vuoto al centro dello stomaco, quando Sana si avvicinava. Avevo imparato che amare qualcuno significava anteporre la sua felicità alla tua, che Sana era la persona più importante per me, che avrei sacrificato tutto per lei.
Quando frequentavo il corso di lettere e filosofia, un giorno il professore aveva detto che Platone definiva l'amore come un demone. Un demone che cerca costantemente ciò di cui ha bisogno, ma che non lo trova mai, e che di conseguenza diventava mancanza. Riflettendoci, aveva pienamente ragione. Chi aveva torto marcio invece, era proprio chi d'amore aveva cantato fino allo sfinimento. Il caro Dante, si, proprio lui, non aveva capito un cazzo dell'amore.
Lui diceva che, nel momento in cui tu ami qualcuno, questa persona non può che amarti a sua volta, perché l'amore non tollera le ingiustizie. Ecco, questo concetto, era assolutamente sbagliato. La storia è piena di amanti non ricambiati, e non è mai protagonista di sole storie a lieto fine. Semplicemente Dante, parlava di ciò che non aveva mai conosciuto, perché la cara Beatrice era una stronza e non aveva fatto altro che prenderlo in giro.
Prendiamo una coppia ipotetica, dettata dal caso... io e Sana. La nostra non era di certo una storia che sarebbe finita con un vissero per sempre felici e contenti, perché, lo sapevo bene anche io, seppure sarei riuscito ad averla, avrei trovato un modo per rovinare le cose e allontanarla da me, perdendola.
Però, nonostante questo, amavo Sana, davvero, con tutto me stesso, come non avevo mai amato nessuno, e avevo cominciato a crederci nel momento in cui l'avevo incontrata, tanto da chiedermi come avessi fatto prima di conoscerla.
«Non lo so..» mentii infine. «Non è che non ci credo, è che è.. complicato.» confessai, quando capii che non mi sarei liberato facilmente di quella domanda se non le avessi dato una risposta esaustiva.
«E a te piacciono le cose facili...» sussurrò lei, ricordando le parole che avevo usato io, quando avevamo affrontato la prima volta l'argomento, finendo col litigare.
«No, non mi piacciono le cose facili.». E di questo poteva esserne più che certa, se ero innamorato di lei che era proprio lontana dalla definizione di facile. «E' che dovresti vedere la cosa da anche da un'altra angolazione. Per te io sono un mostro che gioca con i sentimenti, in realtà tutte le ragazze con cui sono stato non erano diverse da me. Non ho mai costretto nessuna, sapevano che era l'avventura di una notte, e a loro andava bene così. A nessuna è mai interessato di capire chi fosse veramente Akito Hayama. E poi.. diciamo che sono bravo ad allontanare le persone quando cominciano a scavare troppo in fondo.»
Sana mi guardò perplessa, spostandosi i capelli da un lato all'altro del collo, accarezzandoli nervosamente. «Allontanerai anche me?» chiese con un filo di voce, come se la risposta potesse distruggerla.
«Mi pare di averti già fatto capire che tu non hai niente a che vedere con le altre.» risposi lapidario.
Avevo sempre cercato di trattarla in modo diverso, rivolgendole attenzioni che le altre potevano solo sognare, ma evidentemente non era bastato, se mi faceva una domanda come quella.
«Non ti allontanerò mai, Kurata. Non vorrei mai darti questo dolore.». Lei scoppiò a ridere, ma notai immediatamente che non si stava veramente divertendo, sembrava più che altro una risata isterica, quasi come se fosse terrorizzata. Infatti, un attimo dopo, tornò seria.
«Ho davvero paura di perderti.» disse abbassando lo sguardo, imbarazzata.
Sorrisi compiaciuto da ciò che mi aveva detto e, vidi le sue guance diventate rosse per la vergogna.
«Non succederà.» la rassicurai.
«Sarai così impegnato con le tue ragazze, che ti dimenticherai della tua unica amica, comune mortale.»
«Non ho intenzione di avere alcuna... ragazza quando torneremo a casa.» confessai io, convinto al cento per cento di ciò che le stavo dicendo. Non volevo avere nessuna che non fosse lei, perché con un'altra non sarebbe stato lo stesso. Se solo avvicinarmi troppo a lei mi mandava in autocombustione, non osavo immaginare come sarebbe stato fare l'amore con lei. Non dovevo pensarci, non potevopensarci, avrei rischiato di saltarle addosso in quello stesso momento, rovinando davvero tutta la fiducia che aveva riposto in me. Se solo l'avessi toccata, se solo lei si fosse avvicinata troppo a me, se solo l'avessi baciata... non ero sicuro che sarei riuscito a fermarmi.
Lei mi guardò perplessa, sgranò gli occhi e le si formarono delle piccole rughe intorno a questi.
«Che significa che non hai intenzione di avere nessuna ragazza?»
«Prima di tutto, non ho intenzione di tradire la mia ragazza. Seconda cosa, aspetto la persona... giusta.».
Le feci l'occhiolino e lei sorrise, capendo che stavo parlando di ciò che lei mi aveva detto, la sera della nostra discussione. «Infine...», mi bloccai all'improvviso, non potevo dirle che da quando l'avevo conosciuta non avevo più toccato nessuna ragazza
«Lo fai di proposito a lasciare tutte le frasi in sospeso?»
Ero combattuto se rivelarle questo particolare, ma poi pensai che potevo giocarmi la carta della curiosità per cercare di scoprire cosa si nascondesse dietro la perenne inadeguatezza e insicurezza di Sana.
«Ti svelerò il segreto solo dopo che tu avrai risposto alle mie domande..»
La presi per mano e, convinto del fatto che certi discorsi era meglio affrontarli da soli, e non dove qualsiasi giornalista – con Sana avevo imparato che i paparazzi erano sempre in agguato – avrebbe potuto sentirci, mi diressi verso il nostro albergo. La strada non fu particolarmente lunga, piuttosto imbarazzante, nel silenzio assoluto.
Non avevo il coraggio di parlare, perché sarei stato capace di dire cose di cui mi sarei pentito, quindi mi limitai a tacere per tutto il tempo.
Quando arrivammo in hotel, non riuscivamo quasi a reggerci in piedi tanto eravamo stanchi, ma cercai ugualmente di rimanere sveglio più tempo possibile, come a voler prolungare quella giornata per paura che, la mattina dopo, mi sarei svegliato e l'avrei persa.
Mi ero già tolto lo smoking, Sana era in bagno a struccarsi, mentre io ero disteso a letto, davanti alla tv, aspettando che lei venisse a dormire. Ero titubante sul discorso che avremmo affrontato di lì a poco, avrei dovuto rivelare a Sana che, nel momento in cui avevo incrociato i suoi occhi color nocciola, non avevo più messo le mani su nessuna ragazza, che conoscerla, capirla, viverla, mi aveva profondamente cambiato e che non ero più lo stesso ragazzo che aveva conosciuto mesi prima.
«Quindi.. me lo sveli questo segreto?». Sana era poggiata alla porta della stanza da letto, indossando un semplice pantaloncino e una maglia troppo larga per lei. Le piaceva proprio provocarmi, eh?!
«Siediti..» le dissi, indicandole il mio letto. Lei fece come le avevo detto, incrociando le gambe come una bambina, e aspettando che io parlassi.
«Prima di.. svelare questo fantomatico segreto, voglio farti alcune domande. Altrimenti addio mistero.» la minacciai, calcando la mano sulla sua curiosità. Sapevo che voleva conoscere ciò che le stavo nascondendo, quindi ero sicuro al cento per cento che avrebbe risposto a tutte le mie domande.
«Perché dici sempre con tanta convinzione che le altre ragazze siano migliori di te?».
Avvertii il suo imbarazzo, abbassò gli occhi e continuava a mordersi il labbro, torturando quella povera bocca come se fosse la colpevole del suo disagio.
«Non vorrei essere indiscreto Sana ma.. non penso che tu sia ignara della tua bellezza.» Quelle parole uscirono dalla mia bocca come un fulmine, non me ne accorsi nemmeno.
«A volte la bellezza non è tutto, Hayama.»
«Ma tu ne hai da vendere, quindi non vedo il motivo di tali insicurezze.»
Sana mi guardò, perplessa dalle mie parole, come se non si aspettasse un complimento da parte mia. «Che c'è?» le chiesi, visto che continuava a sgranare gli occhi, incredula.
«Niente..» si limitò a rispondere lei, abbassando nuovamente lo sguardo, quasi timorosa di incrociare il mio. «E smettila di calare lo sguardo, mi spieghi il motivo di tanti complessi?» le chiesi poi, consapevole del fatto che senza una domanda esplicita non mi avrebbe mai risposto seriamente.
«E' che..» si bloccò, continuando a mordersi il labbro. La bloccai, mettendole un dito sulla bocca, temendo anche che si sarebbe fatta uscire il sangue da un momento all'altro.
«Io.. sai, le tue amiche..» cominciò ravviandosi i capelli dietro le spalle, cercando un modo per nascondere il suo imbarazzo. «Le tue amiche.. sono.. piuttosto esperte, diciamo.»
«In che senso?» le chiesi, sapendo già dove voleva andare a parare.
«Andiamo, Hayama, hai capito, non farmelo dire, ti prego.»
«Sul sesso?» azzardai, sogghignando. «Sono più esperte sul sesso?»
«Si..» sussurrò lei, nascondendo il viso tra le mani, rossa di vergogna. Sorrisi, imbarazzato anch'io. Non avevamo più affrontato l'argomento sesso da quando avevamo finito per litigare e io avevo cercato prontamente di evitarlo, per paura che capitasse ancora. Provai comunque a rimediare al disastro che avevo combinato. «Dai, Sana.. non è mica la fine del mondo!»
«Ah no?! E allora perché hai riso quando hai saputo che.. si, insomma.. io..». Non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi e mi ritrovai quasi a scoppiare a ridere, poi mi trattenni, sicuro che non sarebbe stato carino metterla in imbarazzo più di quanto già non si ci sentisse.
«Ho riso perché... si, insomma, da una ragazza bella come te, famosa come te, non me l'aspettavo. Tutto qui.» conclusi io, spegnendo subito dopo la luce.
«Ma che fai?» mi chiese con la voce quasi spaventata.
«Certe confidenze si fanno meglio al buio, almeno non sarai costretta a guardarmi negli occhi.»
Percepii che sorrise, quindi il mio me interiore mi fece un applauso che io accettai di buon grado. Ogni tanto anch'io ne facevo una giusta.
«Quindi...?» la incalzai io. Volevo che si aprisse a me, rendendomi partecipe anche dei suoi timori più intimi. «Hai paura?» le chiesi accarezzandole i capelli.
«Sarebbe meglio che questi discorsi li facessi con Beth, non pensi?»
«No, non penso. Sono il tuo migliore amico, giusto?»
Indugiò un attimo prima di rispondermi. «Lo sei, Hayama, ma questo non vuol dire che...». La zittii posandole l'indice sulle labbra.
«Amicizia, lezione numero uno: gli amici si raccontano tutto.»
Sentivo la sua diffidenza nel modo in cui muoveva le labbra sotto il mio dito e sorrisi di rimando. Era un sorriso amaro però, perché ancora non riusciva a fidarsi al cento per cento.
«Parla, Kurata.». Sbuffò un attimo, ma poi parlò.
«Non c'è molto da dire, credo si possa riassumere in poche parole...»
«Stai divagando, Kurata.». Conoscevo troppo bene quel trucchetto, l'avevo inventato io.
«E va bene!» sbuffò ancora. «Ho semplicemente paura, ti basta come spiegazione?»
«Paura di che?» le chiesi, ormai incuriosito.
«Ti prego Hayama, finiamola qui, tanto tu non potresti capire..»
«Mettimi alla prova, magari potrei stupirti.»
Fece un respiro profondo e raccolse tutta la sua forza per confidarmi ciò che provava.
«E' difficile per me parlarne senza sembrarti paranoica, ma dopo aver passato una vita ad aspettare il principe azzurro ed a fantasticare su noi due, temo di rovinare tutto a causa della mia insicurezza e della mia goffaggine, e ho il terrore di rendergli l'esperienza talmente deludente da spingerlo ad andare via».
«Quindi hai paura di essere scaricata solo perché non hai mai fatto sesso?»
«Grazie per la tua delicatezza, ma si. Il concetto è quello.»
Stavolta scoppiai davvero a ridere, quasi involontariamente, ma non riuscii a trattenermi. Ma come le veniva in mente una cosa del genere?
«Kurata, nessuno si sognerebbe di perdere una ragazza come te, e non parlo solo del fatto che sei bellissima. Credo che il problema sia che tu tenda a razionalizzare troppo la cosa. Per quello che ne so, nell'amore non esiste logica, per viverlo bene bisogna solo abbandonarsi.»
«Per te è semplice, sei stato a letto con tutte le ragazze del campus!»
«Bhe, non proprio con tutte... ma se può tranquillizzarti neanche io ho mai fatto l'amore.»
Sapevo che mi stavo inoltrando in un discorso un po' complicato per me e sapevo anche quanto lo fosse per lei, ma quelle parole mi erano venute spontanee perché avrei voluto che capisse che le sue paure erano infondate.
Fece per alzarsi, lanciandomi un'occhiata che avrebbe potuto trafiggermi, ma io l'afferrai per il polso trascinandola di nuovo a letto con me. «Fammi spiegare: quello che volevo dire è che c'è un enorme differenza tra fare sesso e fare l'amore.»
«E tu la conosci questa differenza?»
La sua domanda mi colse alla sprovvista, non sapevo cosa risponderle perché in realtà non la conoscevo affatto, ed ero consapevole del fatto che se non fosse stato con lei, allora non avrei mai saputo in cosa consistesse la differenza.
«Spero di conoscerla presto. Comunque, in base alla mia esperienza, posso dirti che il sesso è la strada più semplice da percorrere, nessun legame, nessun dolore. Fare l'amore, sicuramente, sarà abbandonarsi totalmente a quella persona, regalandogli la completa fiducia che nulla potrebbe intaccare il vostro rapporto.» conclusi infine, continuando ad accarezzarle i capelli. «Adesso dormiamo, domani si fanno i bagagli.»
Sana si avvicinò e mi sussurrò a fior di labbra: «Buonanotte, Hayama.», prima di circondarmi il petto con il braccio e addormentarsi. Quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire!


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