XXIII- Deal

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Charlie non sapeva che giorno fosse, che ore fossero, o da quanto era scomparsa. Il tempo all'inferno era già molto strano, ma lì, mezza morta e sanguinante, lo era ancora di più. Quando sentì il rumore della porta non riuscì ad alzare la testa. Quando sentì delle mani gelide cercò di opporre resistenza, ma si accorse di non riuscire a muovere nemmeno un muscolo. Ripiombò nel nulla, sperando che forse quella volta fosse l'ultima.

La principessa si mosse appena, ed emise un rantolo di dolore quando questo la attraverso dalle punte dei piedi fino alla testa. «Si sta svegliando!» sentì gridare da una voce familiare...ma non riusciva a ricollegare di chi fosse. Aprì piano gli occhi, sbattendoli più volte per abituarsi alla luce, nonostante questa fosse calda e rossastra, come quella del cielo sul girone della superbia. Sentì un tocco sulla guancia e istintivamente si ritrasse, gridando: si stupì di avere ancora la forza di farlo. «Shh Char è tutto okay, sono io, Angel.» Charlie si irrigidì riaprendo piano gli occhi pieni di lacrime. «An...gel?» gracchiò e dopo aver messo a fuoco lo vide. Aveva un occhio nero e un labbro spaccato, le occhiaie profonde sotto agli occhi e una bruciatura di sigaretta sulla spalla scoperta dal maglioncino che portava, che si stava già riassorbendo. «Acqua.» gracidò e l'amico si protese verso il comodino, passandole un bicchiere con una cannuccia. Charlie non riuscì ad alzare le braccia, e l'aracnide la aiutò a infilarsi il tubicino in bocca. Quando succhiò le venne in mente il pompino che era stata costretta a fare e si voltò di scatto di lato per vomitare l'acqua insieme agli acidi. «Charlie!» Angel provò a toccarla di nuovo ma la principessa gridò disperata. «Farò la brava lo giuro non farmelo rifare ti prego!» singhiozzò. Angel le prese il volto tra le mani e lei provò debolmente a ritrarsi, ma era troppo stanca. «Cosa ti hanno fatto...» Charlie gemette di dolore. «Angel -rantolò e finalmente si rese conto di essere a casa, all'Hazbin Hotel- Oh Angel!» si accasciò contro di lui che la strinse delicatamente con tutte e quattro le braccia, accarezzandole con una i capelli. «È tutto finito Char...è tutto finito.»

Charlie non seppe quando è come si fosse riaddormentata, ma lo fece. E nel sonno le sembrò di sentire dita leggere accarezzarle tutto il corpo, facendola rabbrividire di terrore. Si svegliò varie volte ma non trovò mai nessuno, se non l'aracnide che dormiva al suo fianco nel letto matrimoniale. La sua presenza era al contempo confortante e disturbante: aveva il terrore di rimanere sola, ma aveva la malsana convinzione che qualsiasi contatto fisico gentile adesso fosse immeritato; come se lei ormai fosse troppo sporca e chi le stava vicino avrebbe finito per macchiarsi. Guardò Angel dormire rannicchiato, una smorfia sul viso stanco, e si chiese se è così che si era sempre sentito, e si chiese se anche lei sarebbe riuscita a superarlo con l'aiuto della sua versione di un Husk: onestamente ne dubitava. L'unica persona che voleva vicino era l'unica che le stava lontana e la disgustava. Al solo pensiero di come Alastor avrebbe potuto guardarla sapendo cosa le fosse successe le venne nuovamente la nausea, le coperte diventarono le corde che l'avevano trattenuta. Se la scostò di dosso con uno strattone che le causò un dolore che ignorò, troppo occupata a mantenere il respiro. Scivolò fuori dal letto cadendo rovinosamente a terra con un grido quando poggiò il peso sulla gamba ferita. Angel si destò di scatto, trovandola rannicchiata sul pavimento in una crisi di pianto.
La aiutò faticosamente a rimettersi in piedi. «Devi andare in bagno?» lei annuì in preda alle lacrime. «Vasca.» rantolò.

Angel la aiutò a lavarsi, lasciando la sua gamba poggiata sul bordo della vasca per evitare che la ferita aperta si infettasse con la schiuma. Charlie non riusciva a dimostrarlo con un sorriso, ma era davvero grata all'amico. «Cosa è successo Charlie?» chiese mentre la aiutava ad uscire, avvolgendola in un panno. Lei scosse la testa, mostrando il suo disagio nel parlarne. Lui sospirò e le prese lentamente una mano: la bionda rabbrividì ma non si ritrasse. «Hai subito una violenza vero?» la principessa sussultò e quella fu la risposta che Angel cercava. La avvolse piano tra le proprie quattro braccia e Charlie rilasciò un respiro tremulo che non sapeva di star trattenendo. Si abbandonò contro l'aracnide piangendo lacrime silenziose. «Mi ha costretto a-» si interruppe, la voce roca. Angel Dust le accarezzò lentamente i capelli. «Non devi parlarmene per forza se non te la senti.» lei scosse piano la testa: si fidava del suo migliore amico. «-a mettermi il suo schifosissimo pene in bocca.» singhiozzò e strinse a propria volta le braccia intorno a lui. «E quando non mi sono comportata bene mi ha sparato.» la ferita sembrò pulsare dopo essere stata tirata in causa e Charlie gemette di dolore. «Vieni, torniamo a letto.»

Il giorno dopo quando la principessa si svegliò non aprì subito gli occhi, il mormorio di voci che parlavano di lei. «Anthony cosa facciamo, dobbiamo farci dire di più su quello che le è successo!» una pausa. «Oscar non possiamo! Già che ieri si sia aperta con me è un miracolo nello stato in cui è. Non possiamo forzarla...» mormorò Angel. «Devo dirti una cosa...Charlie ha un piano per...» la bionda si svegliò completamente ed emise un grido, non perché ne avesse davvero bisogno ma per fermare Husker dal rivelare come aveva intenzione di ottenere l'anima di Angel, almeno per un po'. «Charlie!» irruppero nella stanza e lei nel panico si toccò la gamba. Li guardò entrambi scambiarsi uno sguardo che sembrava un "ne parliamo dopo" e la principessa disse la prima cosa che il suo cervello partorì. «Devo parlare con Nazar.» disse seria, e poi aggiunse. «Da sola.»

Nazar entrò con il suo consueto sorriso sulle labbra e gli occhi calmi. Solo quello sul petto che si muoveva nervosamente tradiva una certa agitazione. «Volevi vedermi?» lei annuì. «Chiudi la porta.» lui obbedì non lasciandosi sfuggire un suo solito commento. «Cosa vuoi farmi milaya che non possa essere visto o udito?» lei stirò quello che doveva essere un sorriso ma sapeva assomigliare ad una smorfia. «Come facevi a sapere dov'ero?» lui sembrò per una volta colto con le mani ne sacco nonostante l'espressione ostinatamente tranquilla, il suo occhio ciclopico però era sgranato e la guardava stralunato. «Non sono stato io.» affermò. Lei sbuffò, innervosita. «Riconoscerei il tuo gelo dovunque.» lui sogghignò. «Riconosci il mio tocco printsessa?» lei lo ignorò. «Rispondi alla domanda.» lui sorrise furbamente. «E io cosa ci guadagno.» Charlie lo fissò dritto negli occhi. «La mia anima.» il suo sorriso si ingrandì lentamente, tutto denti aguzzi e occhi sgranati. «Per così poco?» lei scosse la testa. «No ovviamente. Devi dirmi tutto quello che sai sul paradiso, su Alastor, e il vero motivo per il quale sei qui; e la mia anima ti verrà ceduta dopo che avremmo messo in atto il mio piano per salvare Angel.» Nazar aggrottò le sopracciglia. «Che piano?» chiese. «Non sono cazzi tuoi.» lui annuì. «Va bene.» si avvicinò e allungò una mano. «Abbiamo un patto?» Charlie allungò la mano, la sua forma demoniaca che faceva capolino. «Abbiamo un patto.» e si strinsero la mano.
Il gelo esplose in tutto l'edificio in spirali ghiacciate. La radio emise interferenze di grida radiofoniche così alte che le finestre tremarono. Angel e Husk irruppero nella stanza con la faccia deformata dalla paura. «Che cazzo hai fatto Charlie?!» gridò Angel. Husk prese Nazar per il colletto e lo sbattè al muro. «Sapevo che era una pessima idea lasciarla da sola con questo figlio di puttana!» Charlie accolse Angel che la abbracciò stretta. «So quello che faccio Angie stai tranquillo, è per il bene di tutti voi.» lui singhiozzò. «E al tuo di bene non ci pensi?» lei sorrise sinceramente con dolcezza. «Ho tutto sotto controllo.» poi si rivolse ad Husk. «Tu sei pronto per quella cosa?» lui ringhiò e la guardò male. «E tu puoi farla?» lei annuì. «Si e ho anche un'assicurazione. Che tu vinca o perda.» Angel li guardò sorprendentemente commosso. «Voi lo fareste per me..?» Husk mollò Nazar e si avvicinò a lui accarezzandogli una guancia. «Certo testina di cazzo.»

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