XXXII- Start

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Charlie era arrabbiata. No non è corretto, lei era incazzata nera. Alastor la aveva lasciata in ginocchio, con braccia e gamba ferita, e per alzarsi aveva provato così tanto dolore che aveva pianto per una buona mezz'ora. Poi era passata a cercare di compiere dei movimenti con le braccia -altro dolore sordo, altri pianti e urla soffocate- e quando era riuscita a piegare le braccia era svenuta per qualche minuto. E nonostante tutto aveva continuato, alimentata da una furia cieca, masticando tra i denti insulti verso quello stupido idiota in rosso e singhiozzando quando le veniva in mente quel bacio che per un solo secondo l'aveva fatta sperare. Era così stanca degli uomini che mettevano bocca nella sua vita: Alastor, Nazar, persino suo padre! Ma nemmeno Vaggie scherzava in quanto a giudizi non richiesti, e lei era più che sicura avesse la vagina e si identificasse come femmina. Sospirò pesantemente, fino a che la radio sul suo comodino sputacchiò di elettricità statica. «Il est temps ma chèrie!» cinguettò la voce radiofonica di Alastor e lei la guardò per un secondo in più del necessario, perché i soliti artigli d'ombra la trascinarono nell'oscurità.

Traballò e la gamba protestò, ma allargò con un gemito le braccia e rimase in equilibrio quando fu sputata dalle ombre nella stanza illuminata solo dal cielo coaguloso della notte infernale. Le piante erano sparite, e al loro posto vi era un cerchio rituale tracciato in ematite: un pentagramma ai cui vertici erano poste delle candele nere, gli spazi tra le punte erano intervallati da rune antiche che non pensava Alastor conoscesse, ma che forse gli aveva mostrato suo padre stesso durante il loro incontro. Il demone della radio se ne stava al centro del pentacolo, un sorriso teso e le mani giunte dietro la schiena. «Ad aspettare te mia cara, non avremmo mai fatto in tempo.» Charlie diede una sbirciata all'orario sul suo palmare: quasi mezzanotte, non c'era tempo per i convenevoli. Lei lo guardò e arrossì voltando poi la testa di lato. «Devi spogliarti.» borbottò e con la coda dell'occhio lo osservò aggrottare le sopracciglia. Sospirò pesantemente, non aveva tempo per fare l'adolescente innamorata. «Devo tracciati delle rune sul corpo, non preoccuparti, non ti "manipolerò" in alcun modo.» affermò sarcastica. «Ti sei offerto volontario, e ancora mi devi dire cosa vuoi in cambio, ma puoi sempre tirarti indietro -rievocò le sue lezioni di francese dalla mente- lâche.» Le fiammelle delle candele divamparono e le corna sul suo capo si allungarono mentre le cuciture sul suo corpo sfarfallavano di verde acido fosforescente. Lei non si scompose, e lui ne sembrò ancora più infastidito, ma iniziò a slacciarsi il papillon, poi levarsi con uno strattone la giacca, buttando i vestiti fuori dal cerchio, e poi passò, molto più lentamente, alla camicia. Charlie si perse nel tremito delle sue mani che sfilavano i bottoni dalle asole, e il petto olivastro e magro che si trovava al di sotto. Sentì se stessa fremere e le sue mani stringersi contro l'impulso di andare lì, stracciargli i vestiti e fargli tutto quello che il suo Angel Dust interiore pregustava. Si girò, cercando di trovare qualcosa da fare, e notò il suo pugnale -ripulito dal suo sangue- sulla scrivania addossata alla parete. Lo prese, rabbrividendo appena: l'ultima volta che lo aveva tenuto in mano era quasi morta. Si girò, trovando Alastor completamente a torso nudo. Seguì languidamente i muscoli appena accennati delle spalle, la leggera curva dei pettorali scarni, delle costole in evidenza e degli addominali soffusi, fino ad una leggera peluria rossa e nera che da sotto l'ombelico si tuffava nei pantaloni, il tutto decorato dalla cicatrice irregolare che percorreva diagonalmente il suo busto, ricordo dello scontro con Adamo, e altre più lievi disseminate su tutto il corpo, come di graffi e morsi ferali. Deglutì e si avvicinò. Quando fu ad un soffio da lui, notò che il suo respiro era irregolare e lei, mossa dall'istinto, appoggiò il palmo aperto al centro del suo petto. Lui trasalì: con la mano ora libera dal guanto, le afferrò il polso che impugnava l'arma bianca, lo sguardo fisso sulla lama, poco prima che questa le cadesse per terra a causa dell'irruenza di quel gesto improvviso. Trattenne il respiro, guardandolo negli occhi. La bava gli colava pigramente da un angolo della bocca. Seguendone il percorso con gli occhi, lei portò la mano libera a raccogliere la scia bagnata con il pollice, portandosela poi alla bocca e succhiando. Lui ispirò di colpo, stringendo la presa sul suo polso ma senza spillare sangue. Lei mormorò compiaciuta, piegandosi lentamente -e trattenendo il dolore alla gamba- in ginocchio per prendere il pugnale. Ora Alastor ansimava vistosamente: Charlie ghignò tra se, poteva dire quello che voleva ma lei non gli era del tutto indifferente. Fece violenza sulla sua psiche per ignorarlo, ritornando in piedi e sfilando la mano dalla sua presa che si era fatta molle. «Ora traccerò con il sangue le rune per la possessione.» avvisò, pungendosi il dito con il pugnale affilato. Le sue braccia si irrigidirono e lei soffocò un gemito di dolore. Anche lui si irrigidì e lei iniziò a tracciare le rune: una sul cuore, una sullo stomaco -e vide chiaramente la pelle d'oca ramificarsi sulla sua pelle-. Sorrise tra se, compiaciuta, poi gli girò alle spalle dove la rigidità mostrava la spina dorsale -che finiva con due squisite fossette di venere-, le costole, le scapole e la deliziosa linea del collo elegante fino alla rasatura. Tracciò con il sangue una runa tra le scapole e una sulla parte bassa dalle schiena, inseguendo il movimento mentre Alastor si inarcava appena. La sua sveglia sul telefono interruppe l'intimità del momento e lei si staccò con uno sbuffo. Lo superò senza degnarlo di uno sguardo, poggiando il pugnale sulla scrivania e voltandosi già nella sua forma demoniaca. Allargò le mani e le fiamme nelle candele ripresero a bruciare con più energia. Iniziò a biascicare un'antica litania in latino. La sua voce sembrava rimbalzare prepotentemente sulle pareti e contro il soffitto della stanza: i versi sacri riecheggiavano e risuonavano nell'aria intorno a loro, dando l'impressione che un intero coro di voci ora la stesse accompagnando nel rituale d'evocazione. Alastor la guardò con occhi sgranati, mentre il sangue sul suo corpo iniziava ad emettere fumo e sfrigolare sulla sua pelle. Il demone della radio ringhiò stringendo i pugni lungo i fianchi. Charlie chiuse gli occhi, per non guardarlo soffrire e riprese ad invocare suo padre con più fermezza. Aprì gli occhi quando lo sentì trattenere un grido e si sorprese così tanto che per un secondo incespicò sulle parole, ma ad una sua occhiataccia riprese, imperterrita.
Alastor crollò in ginocchio, tenendosi la testa tra le mani e vomitò icore nero a terra, per poi essere scosso da tremiti e alzare di scatto, come obbligato da una forza esterna, lo sguardo al soffitto. Gli occhi -da qualche secondo completamente neri- divennero quelli di suo padre. «Charlie.» parlò Alastor con la voce di Lucifero e lei fece una passo avanti ma lui alzò una mano. «Non attraversare il cerchio!» lei si fermò e annuì. Lui la guardò negli occhi e rabbrividì. «Ti ha davvero preso l'anima...Oh Charlie che cosa hai fatto!» lei strinse le labbra in una luna dura. «Non abbiamo tempo per questo papà! La ramanzina me la farai in un secondo momento...ora...» prese un respiro profondo, concentrandosi sull'ordine con tutte le sue forze. «Ti ordino di tornare all'Hazbin Hotel nel momento dello sterminio per aiutarci.» le sue pupille si dilatarono e si restrinsero, segno che il suo imperativo era andato a buon fine. Sorrise e il sorriso sul volto di Alastor -che si era fatto più dolce- si ampliò, poi i suoi occhi si posarono sulle fasciature sulle sue braccia e il suo sguardo si incupì. «Cosa hai fatto Charlotte.» lei decise che era il momento giusto per mandarlo via. Allargò di nuovo le braccia, stavolta scandendo un esorcismo. Fiamme infernali presero a divampargli negli occhi, ora nella loro forma demoniaca. «CHARLOTTE!» tuonò ma lei continuò fingendo di non sentirlo, nonostante si fosse alzato e iniziasse ad avanzare, bloccandosi quando la barriera del pentacolo gli impedì di proseguire. Ringhiò e le finestre tremarono violentemente, crepandosi. Charlie si guardò intorno, in preda al panico. «Papà così ci farai scoprire cazzo!» lui la ignorò, sbattendo i pugni sulla barriera, le rune con il sangue che sfrigolarono fino a lasciare ustioni sulla sua pelle, Charlie frustrò la propria coda sul pavimento. «PAPÀ!» gridò ma lui ringhiava e sbavava nel corpo di Alastor, sembrava impazzito. Lei riprese con L'esorcismo. Lucifero-Alastor si accasciò con le mani nei capelli, le corna che si allungavano a dismisura e i muscoli sotto la schiena che si muovevano mossi da forze superiori come se dovessero uscire le ali di suo padre. Continuò con voce tremante di orrore e continuò anche se Alastor stava riversando sul pavimento sangue e icore nero. Continuò anche quando prese a urlare e piangere sangue spaccando le finestre in mille pezzi, continuò con il cuore nel petto sanguinante come se fossero stati i suoi polsi la notte prima, e quando Alastor sgranò gli occhi, ora tornati i suoi, lei entrò finalmente nel cerchio, impiastricciandosi i piedi nudi di icore e sangue e poi anche le ginocchia, quando si piegò per stringerlo tra le braccia. Lui si aggrappò a lei, graffiandole profondamente la schiena quando si strinse a lei. Lei gemette di dolore ma non si scostò. Gli tolse i capelli appiccicati di sudore dalla fronte con una carezza e lui aumentò la presa sulle sue spalle, trascinando le unghie conficcate nella carne fino a lasciarle profonde lacerazioni sulla schiena. Lei trattenne tra i denti un grido di dolore e lo strinse spasmodicamente a se. «Va tutto bene Al, è tutto finito.» mormorò singhiozzando. «È tutto finito.» lui rise istericamente affannando. «Cara...siamo solo agli inizi.»

Charlie non ci fece caso, scossa com'era,  ma quando Alastor staccò una mano fu solo per leccarsi le dita dal sangue di lei; in volto dipinto il sorriso di chi stava vincendo.

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