6. Una chiamata attesa

40 3 0
                                    

Iliana aveva perso il conto del tempo trascorso davanti alla porta di una casa che non era sua: alla fine aveva accettato l'invito di Caden, in parte spinta da una curiosità sottile di conoscere meglio gli avvenimenti di quella strana vicenda, dall'altra perché realmente in pensiero per Dahlia; nonostante trovasse estenuante il suo continuo tentativo di stringere amicizia, non la odiava. Era, inoltre, l'unica persona che si era sinceramente interessata a lei da quando s'era trasferita a Regina. Iliana aveva allontanato chiunque mostrasse un briciolo di gentilezza nei suoi riguardi, ma Dahlia era stata l'unica a non arrendersi.

Le mani tenevano salde la torta sacher che aveva comprato un'oretta prima da una rinomata pasticceria, non volendosi presentare a mani vuote. Tutto era filato liscio fino a quel punto, finché non era giunto effettivamente il momento dell'incontro: una strana sensazione di pericolo non le permetteva di fare quel passo in più, e di suonare il campanello. Se avesse continuato a temporeggiare la torta alla fine sarebbe diventata immangiabile, dunque raccolse tutto il suo coraggio e si gettò, volontariamente, nella tana del lupo.

«Iliana! Scusami per stamattina, mi è dispiaciuto tantissimo non poterci essere. Entra pure, forza!», la donna minuta si era presentata con un sorriso pieno, ad un occhio sconosciuto sarebbe potuto risultare anche sincero e naturale. Ma, nonostante avesse adottato un trucco pesante, era palese che Dahlia avesse pianto: forse era proprio il trucco ad accentuarlo e renderlo così evidente. In quel mese di tempo, d'altronde, non le aveva mai visto un filo di mascara sulle ciglia, figuriamoci un ombretto così pesante e scuro tanto da snaturarle il viso.

«Grazie, perdona il ritardo... ho portato un pensiero», accennò un sorriso, Iliana, mentre le consegnava la torta in chissà quali sconosciute condizioni. La donna per fortuna non aprì l'involucro ma si limitò a domandare se fosse necessario metterla in frigo, e Iliana si limitò a sua volta ad annuire mentre l'altra, scomparsa nei meandri della cucina, la invitata a proseguire il cammino fino al soggiorno.

Caden era lì.
La postura era rigida, l'avambraccio piegato per permettere al palmo di sostenere il peso del capo, mentre guardava con sguardo pigro la TV. Era abituata ai suoi vestiti informali, ma quel giorno era... particolarmente attraente. Più di quanto non lo fosse stato la mattina stessa.

«Buonasera, Caden», come se fosse una ladra in casa d'altri, china e attenta a non far troppi rumori, si era seduta su un divanetto relativamente lontano dall'uomo. Azione che non era passata inosservata a quest'ultimo che, invece di rispondere al suo saluto, l'aveva osservata con la coda dell'occhio per poi tornare a concentrarsi sulla TV.

Cercare di fare conversazione era impossibile, ovviamente.

«Merda! Merda! Odio questo fottutissimo forno!» le grida di Dahlia erano ben percepibili dal soggiorno, Iliana fu presa alla sprovvista soprattutto perché non aveva mai, in alcun contesto, sentito la donna imprecare. Era evidente che ci fossero tantissime cose che non andavano. Non solo il rapporto di Dahlia e Caden, ma a livello umano, caratteriale, o di semplice sanità mentale. Il rumore di vetro infranto fece imprecare nuovamente Dahlia in modo più colorito, Iliana, preoccupata che si fosse fatta male, si era alzata di getto ma Caden l'aveva fermata afferandola per un polso.

«Vado io», la risposta secca dell'uomo l'aveva resa solamente più agitata.
«Io... allora vado in bagno», aveva ribattuto, per paura di dover assistere nuovamente a uno dei loro scontri che tanto turbavano il suo animo. Voleva solamente tornare a casa sua, dove rinchiudersi, nella sua fragile bolla di protezione.

Si era resa conto di quanto fosse agitato il suo cuore solo quando la porta del bagno si chiuse dietro di sé, in quel momento desiderava fortemente sentire la voce di sua madre, anche solo per rassicurarla. Il bagno era lontano, l'avrebbe potuta tranquillamente chiamare senza il timore di essere sentita, ma si fermò un attimo prima di avviare la chiamata. Aveva trentadue anni, santo cielo, quanto patetica poteva essere per correre ai ripari solo perché aveva visto una coppia sposata litigare? Certo, aveva baciato il marito in questione solo qualche settimana prima, ma erano dettagli. Inoltre non era accaduto più niente. Il suo tentativo di autoconvincersi ovviamente fu inutile, si sentì solamente più patetica. Abbandonò il bagno con l'intenzione di inventare una scusa e andare via. Quello non era il suo posto, non sarebbe dovuta essere lì.

Certa di aver compiuto i passi a ritroso, non seppe spiegarsi come finì al contrario nel corridoio opposto, dov'era situata la zona notte. Due camere da letto una di fianco all'altra mostravano le peculiarità dei loro proprietari, nella prima stanza era visibile un'anta dell'armadio aperta che attribuì fosse di Caden, considerati i vestiti, l'altra, dai temi più floreali e femminili, era indubbiamente di Dahlia.
Quindi non dormono insieme?, fu naturale pensarlo, davanti all'evidenza. Ma non era quello a stupirla, al contrario, trovò logico che i due dormissero in stanze separate considerato il loro terribile rapporto. E allora che significato avevano tutte quelle scatole sparse nella stanza di Dahlia?

La tentazione di curiosare di Iliana fu troppo forte, non pensò nemmeno a guardarsi attorno mentre varcava la soglia della camera da letto. Una culla plastificata, dai pezzi scomposti e da assemblare ben visibile oltre la striscia plastificata, rendevano incomprensibile ciò che prima trovava logico. Dahlia era incinta? Era per quel motivo che la stanza era piena di giocattoli? Allora perché dormire in stanze separate? Iliana aveva compiuto un ulteriore passo, senza rendersi conto, piuttosto, di quelli avvenuti dietro di sé. Caden era alle sue spalle, che la osservava curiosare con sguardo severo.

«Sono senza parole», aveva detto, aggrottando le sopracciglia dinanzi allo sguardo colpevole di Iliana, poiché non aveva scuse. Si limitò a un mi dispiace appena sussurrato, cercando di evadere il suo sguardo giudicante.

«È davvero così noiosa la tua vita, Iliana? È per questo che ti diverte tanto infilarti nella vita privata di altri? È perché tu non ne hai una?», aveva chiesto, il tono sarcastico e sprezzante l'aveva metaforicamente colpita in pieno volto. «Ti ho detto che mi dispiace, Caden. Ma sei stato tu ad invitarmi qui», Caden non poté fare a meno di ridere, era dannatamente stanco delle donne e del loro dannato modo di rigirare ogni cosa a loro favore. «Esatto, ti ho invitata nel mio soggiorno, per una cena. Non di certo in una camera da letto!», aveva alzato il tono, indicando il letto di Dahlia, per poi afferrarla dai fianchi e avvicinarla a sé. Il sesso a riposo sfregava contro la pancia della donna, a causa della loro differenza di altezza, mentre le mani scendevano lungo le natiche altrui. «O forse è questo che vuoi, Iliana? Mi aspettavi in camera da letto perché volevi che ti scopassi mentre Dahlia ci prepara la cena?», le sue provocazioni non caddero nel vuoto, poiché il palmo della sua mano si mosse ancor prima di prenderne consapevolezza. Mai, nella sua vita, aveva alzato le mani nei confronti di qualcuno: un gesto orribile, di cui vergognarsi, ma non in quel momento. L'idea di essere complice di un tradimento così infido, mentre sua moglie ascoltava, portando in grembo il suo bambino... era troppo anche solo da pensare. L'attrazione che Iliana provava nei confronti di Caden era immensa, ma non sarebbe mai stata abbastanza per spingerla a commettere simili atti disumani.

«Sei un mostro, Caden».
Iliana, senza guardarlo in volto una sola volta, aveva abbandonato la camera da letto. E fu meglio così. Lo sguardo pieno di dolore di Caden aveva ben poco a vedere con la cattiveria tagliente che volutamente esprimeva per allontanare Iliana da sé, era l'unico modo che conosceva per non cedere agli istinti che, al contrario, lo spingevano continuamente a cercarl. Solo osservare Iliana era abbastanza per renderlo debole, la sua voce lo faceva ammattire, il suo corpo perdere la ragione. Continuava a pensare a quel bacio come il momento migliore della sua vita. Ma il percorso che aveva scelto di intraprendere non gli permetteva di poter vivere nemmeno sporadici episodi di felicità; era destinato a vivere una vita misera, lontano da chiunque. E stava compiendo ogni passo perché quel futuro divenisse presente al più presto.

Era rimasto lì ad osservare la culla per qualche istante, con una smorfia di dolore. Il telefono vibrava nella tasca dei pantaloni, una chiamata inattesa aveva illuminato il volto di Caden.

«Buonasera, signor Wright, chiamo dall'agenzia investigativa perché ho nuovi sviluppi importanti riguardo quella faccenda», l'uomo al telefono sembrava particolarmente affannato, probabilmente era di fretta, «potremmo fissare un appuntamento per vederci?», Caden strinse in automatico il pugno, mentre osservava la culla, «non penso di potermi liberare prima della settimana prossima, ma sarei grato se potesse dirmi a grande linee cosa ha scoperto». L'uomo sconosciuto non sembrava contento di doversi esprimere tramite telefono, ma l'aveva pagato profumatamente, quindi decise di venirgli incontro. Un sospiro pesante accompagnò un'amara verità di cui Caden, probabilmente, era sempre stato a conoscenza.

«Mi dispiace, signor Caden... come avevate immaginato, quell'uomo è il padre del bambino».

Il peccato di CadenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora