l'attesa: quali sfaccettature possiede?

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Marco Belpoliti parte dal presupposto che, nella società del tempo reale, l'attesa genera una forte agitazione interna, un senso di noia, ed una irritazione irrefrenabile nell'individuo, sostenendo che, con l'avanzamento della tecnologia, si sia giunti alla conclusione che noi vogliamo tutto e subito.
La tesi di Marco sottolinea una prospettiva totalmente veritiera, infatti, a tal proposito, mi sorge spontanea la seguente domanda: perché è molto comune questo comportamento inasprito dall'attesa?
Ciò che attualmente ci accomuna (salvo differenze ideologiche, economiche, politiche) è la condivisione della medesima epoca storica di gran lunga avanzata in ogni campo del sapere per via dell'avanzamento dei mezzi di comunicazione, ed è proprio questa la causa del nostro malessere, di ogni attimo perduto e mancato. Queste forme di comunicazione derivanti dalle ultimissime ricerche ci hanno permesso di trascurare un particolare dettaglio: il valore dell'attesa.
La società odierna ha perso questo valore soprattutto per la poca considerazione che le concede, e se pensiamo che la colpa possa essere attribuita ai mezzi tecnologici che contribuiscono ad aumentare il livello di impazienza, in realtà siamo a metà strada.
Non tanto lontani dal principio primo, dovremmo, infatti, focalizzare la nostra attenzione sul concetto che rappresenta il culmine del valore mancato in questione, ossia il progresso, colpevole dell'avviamento di un processo interminabile.
Se non ci fossimo evoluti da un punto di vista scientifico, culturale e via dicendo, non si sarebbe mai raggiunto lo sviluppo tecnologico, e quindi noi esseri umani avremmo continuato a sperimentare l'attesa da una prospettiva diversa, e nel momento in cui affermo ciò mi riferisco ad un tipo di attesa che non provoca irrequietezza ma, al contrario, benessere.
Ora, mi preme sottolineare una più precisa analisi di quanto ho affermato poc'anzi: se l'uomo non avesse raggiunto il grado di affinità tecnologica a cui siamo abituati oggigiorno, e se non si fosse diffusa l'idea di successo associata al progresso, dunque un perfetto allineamento, avrebbe di certo rintracciato una sensazione di piacere in ciò che l'attesa permette di vivere all'individuo, ossia le illusioni.
Se, da un lato, nell'illusione fittizia il singolo sperimenta il benessere, uno stato d'animo di quiete interiore poiché gli viene offerto di vagheggiare con la mente, come affermerebbe il celebre Leopardi in merito al tema del piacere, dall'altro l'illusione può giocargli un cattivo ruolo perché, distaccandolo dal mondo reale, lo fa vivere in una dimensione che può essere creata solo dalla forza creativa intellettuale.
Ad ogni modo, arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe contestare e sostenere che, a seconda della circostanza in cui ci si trova, si può vivere l'attesa come la fase delle verità illusorie, ma in senso positivo, infatti, se il momento che segue l'attesa si rivela deludente poiché non coincidente con l'illusione, nata dal vagheggiare, si può sempre restare legati alla bellezza dell'attesa, alla felicità che essa suscita coincidente con il piacere. Richiamiamo nuovamente la figura di Leopardi che si troverebbe d'accordo con questo ragionamento, in quanto, in una delle sue opere più celebri, il cosiddetto "sabato del villaggio", evidenzia il primato della fase dell'attesa sull'evento vissuto, e ciò è strettamente legato al tema del piacere.
In conclusione, voglio soffermarmi un'ultima volta sul concetto di attesa, unendo le varie sfumature di significato che lo caratterizzano: l'attesa è quel valore che, nell'epoca contemporanea, può essere vissuto dal soggetto come la più dolce delle illusioni o come il culmine dello stress, ma pur restando in bilico tra queste due sfaccettature, resta un concetto che caratterizzerà sempre le nostre abitudini, che farà parte della nostra quotidianità, e con cui in un modo o nell'altro avremo sempre a che fare, indipendentemente dal valore che assume.

(tema svolto un anno fa)

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