Capitolo 17

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«Dunque, la pedagogia si rivolge ai contesti formali, non-formali e informali, nei quali si ambienta il processo di formazione completo della persona». Fu la prima cosa che sentii durante l'intera mattina. Avevo dormito molto poco la notte precedente, ripensando in continuazione alla scenata di Benjamin al gala.

Cos'era veramente successo tra loro per scaturire tutto quell'odio?

Cosa mi nascondevi, Benjamin Collins?

Picchiettai in continuazione la punta della matita sul foglio davanti a me. Bianco candido, senza alcuna scritta sopra. Avevo perso il filo della lezione già quando cominciò, vagando nei miei pensieri. Lo sguardo mi ricadde verso le ampie finestre di quell'aula dove guardai all'esterno. Il  cortile rettangolare perfettamente curato era dipinto dai colori dell'autunno ormai inoltrato; le foglie cadute dagli alberi coprivano l'erba verde su cui molti studenti erano seduti. Quel giorno, stranamente, a Londra risplendeva il sole, nessuna nuvola carica di pioggia incombeva nel cielo.

Spostai lo sguardo in cerca di qualcosa di interessante su cui imbattermi per sfuggire alla mia stessa mente. O alla lezione di pedagogia che non avevo alcuna voglia di ascoltare. Provai ad osservare un gruppetto di ragazzi mentre impressionavano tre studentesse gonfiando il proprio ego, contraendo i propri muscoli. Decisamente patetico.

Notai due persone sedute sotto una delle panchine all'ombra di un piccolo faggio dalle foglie arancioni. Quei due non avevano intenzione di staccarsi uno dall'altra, le loro bocche combaciavano ermeticamente, mentre lui giocherellava con i bordi della gonna grigia di lei. Per poco un conato investì il mio stomaco vedendo quella scena, voltai lo sguardo altrove. Decisamente troppo smielato.

Stavo per lasciar perdere la ricerca di una possibile distrazione, rimettendomi così a dover seguire la lezione, quando all'improvviso lo vidi.

Ma non da solo.

Il corpo diritto, sorretto dall'appoggio della spalla al muro, era la rappresentazione della perfezione. La sicurezza assieme all'eleganza che trasmetteva era impressionante; i capelli color miele lasciati ricadere sulla fronte coprendo le sopracciglia, gli occhi color oceano puntati sulla ragazza davanti a lui.

Quest'ultima non l'avevo mai vista, a quanto pare non era una delle sue solite conquiste che si aggiravano per casa Collins.  Se ne stava davanti a lui, i piedi incrociati per la timidezza, mentre lo idolatrava come è solito fare con un Dio. Pur essendo molto distante da loro potevo scorgere ogni piccolo e quasi impercettibile movimento; fu proprio in quell'attimo che vidi le labbra di Benjamin distendersi, i lineamenti si erano ammorbiditi lasciando spazio a quello che, anche da lontano, sembrò un vero e proprio sorriso.

Il sorriso che avevo sempre desiderato rivolgesse a me.

La mia personalità si trovava divisa, tagliata a metà. Una parte di me voleva vedere quel ragazzo scomparire nel nulla, non averci più a che  fare sarebbe stato un sogno. Ma d'altra parte sentivo il bisogno di stare al posto di quella ragazza scorrermi nelle vene, assieme al sangue; avrei giocato ogni mossa  in mio possesso pur di risentire le sue mani su di me.

Le nostre pelli che si toccavano, si sfioravano delicate come piume nell'aria. Tanto delicate al tatto quanto rovente all'interno dei nostri animi. Era un gioco continuo, un anello che non finiva mai.

Cominciava, si intensificava e veniva spento. Tutto tra noi funzionava secondo questo ragionamento.

«Signorina Lowe,» voltai il capo così rapidamente che per poco non mi feci male «mi dispiace interrompere ciò a cui si stava dedicando».

L'uomo dai capelli folti e brizzolati  che si trovava in fondo all'aula mi richiamò. Si sedette togliendosi gli occhiali, li poggiò sulla cattedra e mi guardò. «Avanti, di cosa stavamo parlando?».

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