Capitolo 2

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Sean

Ho posticipato la sveglia sei volte.

   "Sì sì, tanto domani mi sveglio presto".

   Bugia più grande di questa non esiste.

   «Basta...» sussurro, «...ho capito che devo svegliarmi...»

   «SEAAAAAAAAAAAN!» sento qualcuno salire sul letto, per poi cominciare a saltare e farmi saltare come se fossi su un trampolino.

   «Daniel! Ma che cazzo fai?! Smettila!»

   «SVEGLIAAAAAAAA!»

   Diciamo che, di prima mattina, Daniel diventa una di quelle persone che ti sfracassano i coglioni, fino a che non ti svegli.

   E poi ci sono io, che potrei posticipare la sveglia altre dieci volte e lamentarmi di dovermi svegliare.

   Di questo passo, non ci sposerà nessuno.

   «FORZA SEAAAN! IL SUPERMERCATO CI ASPETTA!»

   «Si, apre alle otto e mezza di mattina solo per te».

   «APPUNTOOO! MUOVIAMOCI!» scende dal letto e corre nell'altra stanza, forse per cambiarsi o cose del genere. Ma quando torna, lo trovo già vestito e con il suo zaino nero sulle spalle, che qualche anno fa era il mio.

   Lo vedo come si è sistemato: i capelli uguali ai miei non sono più tanto spettinati, e la freschezza che percepisco nel suo viso pulito gli contorna gli occhi scuri, accompagnati da sopracciglia folte. Il corpo esile da ragazzino è coperto da una t-shirt rossa e dei jeans, ai piedi le solite scarpe da ginnastica nere.

   Mi guarda, l'espressione di chi non vede l'ora di uscire.

   Sbuffo. «Va bene, ho capito. Dammi il tempo di prepararmi e usciamo».

   «Sì!» comincia a saltellare, per poi correre di là a fare chissà cosa.

   In tempo da record, e con i mille "Hai finito?" di Daniel, usciamo di casa e ci incamminiamo nella piccola via sterrata. Passiamo per varie abitazioni, che sembrano essere altri condomini del nostro genere, fino a che non arriviamo ad una strada. Una via di cui non conosco il nome. Mi guardo attorno, cercando di scorgere qualche cartello o insegna.

   Nulla da fare.

   Nuova nota: prendere una moto o una macchina.

   Non possiamo vivere di taxi per tutta la vita. Ne va della mia sanità mentale, e del mio portafogli.

   Daniel mi fa segno con la mano verso un'insegna, con su scritto 'Centro' a caratteri cubitali.

   «Beh, mi sa che ci aspetta una lunga camminata» dico a mio fratello, che già sembra sbuffare dinanzi ai chilometri che dobbiamo percorrere.

   Ma non possiamo permetterci di lamentarci. Dobbiamo ricordare che abbiamo attraversato molto di peggio; quindi questi metri non sono nulla di che.

   Vero...?

*

Pochi chilometri un paio di palle.

   I piedi mi fanno talmente male dal non riuscire nemmeno a muovere il mignolo; e Daniel sembra che stia avendo una crisi epilettica per come sta cominciando a procedere.

   Però, fortunatamente, siamo arrivati. Non alla piazza, ma siamo arrivati.

   Prima di trasferirci, come sempre, non ho nemmeno visto il nome della città, quindi non so minimamente dove cazzo andare. Ma, visto che sono intelligente, ho cercato su Google la piazza più importante e frequentata di Valencia: Plaza de la Reina.

𝐃𝐢𝐫𝐭𝐲 𝐃𝐚𝐧𝐜𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now