Capitolo 5

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Valencia, Spagna
31.03.2018  h 18:22
Enola

«Forza, Enola. Ce la puoi fare», interpreto le sue parole, la musica alta a coprirle.

Annuisco, l'ansia che mi prende in pieno.

Non appena percepisco il tempo, prendo la rincorsa per darmi lo slancio e venir sollevata da Francisco, ma all'ultimo secondo la paura mi assale e mi blocco, ad un centimetro dal suo corpo.

Ci scostiamo l'uno dall'altra, la disperazione nei volti di entrambi.

«Scusa Franci, proprio non ce la faccio», mi vergogno di non riuscire a fare neanche un salto.

E pensare che tra cinque mesi abbiamo quella cazzo di gara.

Problema basilare di matematica: Se Enola si sta esercitando con questo salto da due mesi, e non è riuscita nemmeno a staccare i piedi da terra; riuscirà ad impararlo in cinque mesi?

Risposta: no.

Francisco ferma la musica, facendo cadere nel silenzio la sala dove ci alleniamo tre volte a settimana, con l'eccezione del sabato ogni tanto.

«Basta così. Per oggi va bene» si precipita a prendere il suo zaino nero, abbandonato da qualche parte sul pavimento bianco.

I sensi di colpa mi mangiano viva: possibile che debba sempre metterlo in difficoltà.

«Lola», mi richiama lui, a qualche passo da me, «Non ti preoccupare. Abbiamo ancora tanto tempo prima della gara. Sono certo che riuscirai almeno a farti prendere in braccio».

Un sorriso divertito mi scappa dalle labbra alla sua insinuazione provocatoria. «Ti prometto che riuscirò a fare almeno quello».

Mi sorride, i suoi occhi castani si illuminano. Ora che lo guardo meglio, è parecchio sudato; la pelle chiara è completamente sparsa da goccioline e i capelli castani sono bagnati. I muscoli delle braccia, che risaltano grazie alla canotta nera che indossa, sono tesi al massimo.

Forse, non l'ho annoiato. Dieci punti in più ad Enola.

Il pensiero di avergli fatto sprecare due ore sciama pian piano, assieme al suo sorriso che diventa una smorfia di stanchezza. «Ci vediamo tra un'ora al Cívico. Ho promesso a Camilla che sarei passato da lei prima dello spettacolo», prende la sua bottiglia dallo zaino e ne scola metà in un sorso.

«Salutamela, e chiedile se verrà stasera. Non la vedo da un po'».

Riposa la brocca nello zaino, venendo verso di me e dandomi un dolce buffetto sulla testa, come se fossi una bambina. «Glielo chiederò. Ci vediamo dopo, Lola».

«A dopo Franci».

Si allontana da me, i suoi passi diventano sempre più deboli man mano che si allontana.

Mi sbrigo anch'io a raccogliere la mia roba e tornare a casa almeno mezz'ora prima dell'orario prestabilito.

Esco dalla scuola di danza, un piccolo edificio ad un piano, un po' più distante dalla piazza principale di Valencia. Fuori, un'Audi rs7 grigia è parcheggiata con le quattro frecce al pelo del marciapiede; dentro un uomo mi fa segno con la mano di salire.

Apro lo sportello e velocemente salgo sull'auto, mio padre parte all'improvviso, imbucando la strada vuota.

«Hola papà» gli do un dolce bacio sulla guancia, nel mentre che lui continua a guidare indisturbato.

«Hola tesoro» mi risponde solo, non staccando lo sguardo dalla strada. «Mettiti la cintura e abbassa il finestrino, fa un caldo...»

Faccio come mi chiede, allacciando la cintura e premendo il piccolo tasto sul bracciolo della portiera, che abbassa in automatico il finestrino.

𝐃𝐢𝐫𝐭𝐲 𝐃𝐚𝐧𝐜𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now