Cap. 3 - La principessa decaduta

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"Gli amici sono il modo in cui dio chiede scusa per i parenti."

                                   H. Kingsmill

Vedersi atterrare un elicottero in giardino, fa indubbiamente un certo effetto.
Ma vederne uno rosa bubblegum atterrare nel suo curatissimo giardino, a pochi metri dalle sue preziosissime aiuole fiorite, fu un effetto decisamente troppo forte da sopportare per la povera zia June.
Rimaneva aggrappata al braccio di suo figlio, cerea e con l'aria scioccata.
Io, invece, riuscivo a stento a non scoppiare a ridere.
Grazie a dio, il vistoso veicolo non si trattenne molto. Giusto il tempo di far scendere il suo passeggero con relativi bagagli.
Ed era un passeggero a me più che familiare.
Colei che aveva scatenato in meno di un quarto dora l'apocalisse nel piccolo paradiso vegetale di zia June, si presento dinnanzi a lei e al resto dei presenti come un monumento vivente alla sobrietà: Jeans bianchi praticamente dipinti sulla pelle, un top dorato con una scollatura talmente profonda che tanto valeva ci fosse, stivali dai tacchi a spillo vertiginosi, una coda di cavallo biondo platino lunga fino al fondoschiena, finta abbronzatura da lettino solare e un arsenale di gioielli talmente splendenti da rendere difficile guardare la loro proprietaria troppo a lungo.
Jeanette Lacroix era così, la semplicità prima di tutto.
Sfilò dal viso i grandi occhiali da sole bianchi dalle lenti scure, e ci piantò addosso i suoi occhioni azzurro cielo.
Mh... una novità, questi occhi chiari...
Gilbert e zia June la guardarono un po''sul chi vive, ma io le sorrisi affettuosamente.
Lei spostò lo sguardo solo su di me, sbuffò e portò le mani dalle unghie laccate di smalto dorato ai fianchi.
"Porca di quella troia, Tabitha!" sbottò.
Alle mie spalle, zia June emise un verso strozzato, come se avesse ingoiato un'oliva con tutto il nocciolo.
Faticando sempre più per non ridere, mi gettai tra le braccia della mia migliore amica, che per quanto in disappunto fosse, mi abbracciò con calore.
"Non avrei potuto dirlo meglio!" le dissi. "Ma che scherzi fai, piombare qui cosi, senza avvisare! Ma cosa sei venuta a fare?"
"Ah, senti chi parla! La stronza che senza dire un cazzo a nessuno, prende baracca e burattini e parte allo sbaraglio!"
Mi allontanò dal suo abbraccio per parlarmi meglio.
"Cioè, rediamoci conto! Tuo nonno crepa, tu dal giorno alla notte decidi di trascinare le tue grazie in questo paesino sito in culo al mondo... e io, la tua migliore amica, a riguardo non ricevo neanche una fottuta telefonata?! Se Mona non mi avesse chiamato, da parte tua probabilmente, non avrei saputo un c..."
"Ok, basta, ho afferrato in concetto!" le dissi tappandole la bocca con la mano, rimanendo impiastricciata dei sette strati di gloss che la rivestivano.
Avvertivo un pericolosissimo odore di bruciato, in zona zia June. L'elicottero attentatore di piante poteva forse ricevere la grazia, ma se un'altra parolaccia veniva pronunciata, Jeanette si sarebbe sicuramente beccata la definitiva scomunica e l'esilio.
"Jeanette..." le sibilai. "Tesoro, te l'avrò detto almeno un milione di volte... mia zia non tollera le parolacce! Devi metterti i filtri, se non vuoi incorrere alla sua ira!"
Jeanette si accigliò, poi girò gli occhi al cielo.
"Che palle..." borbottò. Poi, fece svolazzare la sua lunga chioma bionda, piazzò in bella vista un sorrisone smagliante e si rivolse a zia June, che presa in contropiede la guardò allarmata.
"Mia cara signora, mi scuso immensamente per il disagio che le ho creato, e per la mia reazione eccessiva di poco fa. Permettete che mi presenti, io sono la più cara e intima amica di Tabitha, il mio nome è Jeanette, Jeanette Lacroix. Lieta di fare la vostra conoscenza. Tabitha mi ha parlato talmente tanto di voi, che ho la sensazione di conoscervi da una vita!"
Mi si spalancò la bocca. Ok, qualcuno dia un oscar a quella donna!
Zia June, però, parve abboccare alla grande. L'orrore dipinto sul suo volto, mutò in un nano secondo in profondo stupore.
"Lacroix?" chiese, concitata. "Come Andre Lacroix, il diplomatico francese?"
"Esatto, mi fa piacere che lei conosca il nome di mio padre!" commentò giuliva Jeanette.
In quel momento, mi fu chiaro che non appena ci fosse stata l'occasione, la mia amica avrebbe fatto scempio delle mie carni come un puma inferocito.
Jeanette odiava comportarsi in maniera frivola e falsa, come stava facendo proprio in quel mentre. Ma sopra ogni altra cosa... odiava a morte suo padre.
Zia June, alla notizia di avere la figlia di un pezzo grosso in casa, si produsse in un piccolo applauso gioioso. Gilbert, invece, prese stranamente a guardare Jeanette con malcelata aria di sufficienza. Che sapesse qualcosa sulla vera natura di Jeanette o su suo padre?
"Angeli del cielo!" proruppe zia June in preda all'euforia. "Lasciami dire cara che il piacere di conoscerti è tutto mio! E non preoccuparti del giardino. Sono solo fiorellini, ricresceranno!"
Mi prese un coccolone. Avevo beccato punizioni salatissime per danni molto minori, a quei "fiorellini", in passato...
"Bene, capito proprio a fagiolo, mia cara! Ero giusto in procinto di preparare un piccolo buffet freddo, per pranzo!"
"Oh, sono certa che sarà divino!" commentò Jeanette, chioccia.
La mia punizione non avrebbe avuto mai fine...
"Benone! Ci vorrà ancora un po', però. Nel frattempo, Tabitha, tesoro, vuoi fare da cicerone alla nostra graditissima ospite. E tu, Gilbert, caro, vuoi essere così gentiluomo da portare in camera degli ospiti i suoi bagagli?"
"Naturalmente..." rispondemmo all'unisono io e Gilbert. Quest'Ultimo ostentava ancora quella strana espressione. Sapeva qualcosa, non avevo più dubbi...
Zia June però non si accorse di niente, e si diresse allegra come una pasqua verso casa, con Gilbert che trascinava i pesanti bagagli di Jeanette dietro di lei.
Tre secondi dopo, il puma attaccò senza pieta.
"Invocando non so da dove la pazienta, visto che non so nemmeno che cazzo sia, posso transigere sul fatto che mi hai tenuta all'oscuro di tutta la merda che ha travolto la tua vita negli ultimi due giorni. Ma per il fottuto teatrino che dovrò tenere in piedi per colpa della scopa infilata nel culo di tua zia, me la pagherai cara. Odio i leccaculo, figurati quanto mi diverte schierarmi tra le loro fila..."
" Scusami!" le dissi, stringendola forte a me. "Era fondamentalmente per questo, che non ti ho voluto dire nulla. Io sopporto bene questo genere di ambiente, ma per te e pressappoco l'inferno, lo so meglio di chiunque altro."
Jeanette buttò l'aria con il naso come un toro.
"Quanto dobbiamo restare qui?" chiese.
"Io un paio di settimane, forse di più, ma tu non è necessario che resti così tanto a lungo. Anche perché domani, dopo colazione, ci sarà il funerale, e davvero non vorrei coinvolgerti in questa cosa, già sarà penosa per me, visto che come ben sai non potrebbe fregarmene di meno di tutta questa storia..."
Jeanette mi guardo, totalmente interdetta, sbattendo talmente forte le sue portentose ciglia finte da farmi fresco.
"Dico... ma tu con chi cazzo credi di parlare?" disse. "Non so se sei pienamente cosciente in quale buco d'inferno andrai a infilarti domani, ma io lo sono! Una stramaledetta veglia funebre, che poi tirate le somme sarà solo una grossa fottutissima fiera della vanità! Lecchini e avvoltoi come se piovesse, con Norman Bates e la sua dolce mammina come unico pseudo supporto morale! Cristo di un dio, preferirei sedermi con le chiappe nude su un cuscino della suocera..."
"Le tue chiappe sono finte, non sono sicura se sentiresti alcunché..." sdrammatizzai.
"È comunque il pensiero, che conta!" rimbeccò lei. "Il punto e che se pensi davvero che ti manderò in quella giungla di merda da sola, o sei ubriaca o sei pazza! Io incollerò il mio tosto culo finto al tuo, bassetto e moscio, finché sarà necessario, punto!"
Non osai replicare, ero troppo commossa. Jeanette aveva spalato insieme a me tutto il letame che c'era nella mia vita anche in passato, non se l'era mai fatto ripetere due volte. Era stato grazie a lei se ero uscita dal tunnel di depressione dovuto ai miei traumi infantili. Il mio debito con lei non si sarebbe mai estinto.
"Era, in teoria, una cosa che sentivo di poter gestire, ma... se ci sarai tu, sarà tutto molto più semplice. Grazie mille, Jeanette."
"Lo so che potevi farcela, volendo..." rispose lei. "me lo ha detto anche Mona. Però... devo confessarti una cosa, riguardo tutto questo bordello del vecchio morto."
Mi guardò fisso.
"È successa una cosa un po' strana, quando mona mi ha detto che tuo nonno era schiattato, e che tu eri venuta fin qua. Ho avvertito... come una specie di brutta sensazione. Una di quelle che ti fanno dire: ma che cazzo sta succedendo? Onesta? Me la sono fatta sotto! Ho detto a me stessa: i conti non mi tornano, io vado là. Lo sai che in genere ci prendo, con queste stronzate..."
Quelle che Jeanette chiamava stronzate, in realtà non lo erano affatto. Spesso e volentieri, infatti, capitava che la mia amica avesse delle... sì, chiamiamole premonizioni, riguardo certi avvenimenti o determinate persone. Per farla breve, questo suo strano "sesto senso" mi aveva fatto schivare un mare di pallottole, per cui avevo molto rispetto e davo molta affidabilità ad esso.
"Che diavolo pensi possa succedere, è un funerale. Ci saranno un paio di idioti, qualche giornalista, ma niente di insormontabile." Fu ciò che mi sentii di rispondere.
"Io, per sì e per no, sono qui. Qualunque cosa dovesse presentarsi, almeno saremo pronte."
Per buttarla sul ridere, le indicai il seno.
"Non è che sei diventata sensitiva perché al posto di quelle polpette di silicone, ti hanno installato due sfere di cristallo da chiromante?"
"Tutta indivia! Parli così solo perché le mie catene montuose fanno sfigurare le sue striminzite collinette! Ah sì, a proposito di tette..."
Mi prese a braccio collo.
"Il secco che si è portato via il mio essenziale, quel tale, Gilbert ... è lo stesso Gilbert che penso io?"
Io sbuffai.
"Sì... a tal proposito, mi rendo conto di avere un nuovo motivo per essere contenta che tu sia qui. Mentre venivo qua, pensavo a quanto fossi pateticamente stracotta di quel ragazzo, quando eravamo adolescenti..."
"Fottutamente patetica, direi..." puntualizzò Jeanette. "Hai passato gli anni degli ormoni ruggenti a sbavargli dietro senza provarci neanche di striscio! A volte mi chiedo come mai io e te siamo amiche..."
"Hai finito?" ringhiai, dandole una gomitata nel fianco ossuto. "Sono seria, Jeanette! Riponevo serie speranze di aver archiviato l'argomento Gilbert insieme ai miei anni bui in questo posto. E invece oggi, quando me lo sono trovata davanti..."
"Ti ha ceduto la diga, e il paese si è allagato." annuì lei, comprensiva.
"Rozza ma giusta, come definizione. Credo di essere messa molto peggio, di quando ero adolescente..."
"Questo è poco ma sicuro! Da ragazza potevi solo fantasticare, su certe cose, ma di concreto non avevi niente. Ma ora mammina conosce quel dolce brivido, e ne ha una nostalgia fottuta."
"Quanta verità..." commentai, mordendomi un labbro. "E quindi, secondo te, cosa dovrei fare? In passato non ho mai esternato i miei sentimenti perché avevo paura che mi rispondesse picche! Io e Gilbert siamo cresciuti insieme, potrebbe vedermi solo come una sorellina minore o che so io..."
"Fagli vedere una tetta. Se non reagisce, allora ti vede come hai detto tu, e ti dovrai rassegnare. Bene che se vedesse uno di quei mandarini rinsecchiti, potrebbe cambiare idea a priori..." Propose Jeanette.
"Un piano meno pornografico, meno offensivo e che non mi faccia passare per pazza?"
Jeanette rifletté un istante.
"Il classico: buttati. Ci provi, e se ti va male amen. Come disse qualcuno: Se dal cielo piove merda, vai sotto una tenda."
"Se sicura che qualcuno abbia detto una cosa simile?" chiesi, divertita.
"Se non lo ha fatto, allora vuol dire che l'ho detto io!"
Ridemmo entrambe fino alle lacrime.
Il famoso pranzo freddo di mia zia non deluse le aspettative: roastbeef, tartine miste, salmone norvegese e un'insalata mista. E si scusò del fatto che non sapeva di dover ricevere degli ospiti, altrimenti avrebbe servito molta più roba.
Zia June, come sospettavo, non perse l'occasione di avere un personaggio di spicco alla sua tavola, e perciò passo l'intero pranzo a bombardare Jeanette di domande su suo padre e su di lei. Io, invece, non persi mai d'occhio Gilbert, e non certo per il discorso appena fatto con Jeanette.
Quella strana espressione di chi sa più di quanto si creda rimase piantata sulla sua bella faccia per tutto il tempo, innervosendomi non poco. Sembrava un detective che osservava il suo primo sospettato in un caso di omicidio.
"Allora, Jeanette, mia cara... pensi di seguire le orme di tuo padre, per tracciare il tuo futuro?"
Il padre di Jeanette era un facoltoso diplomatico francese, molto amico del nostro primo ministro. Era una persona estremamente influente, ed era molto gradito per i suoi modi cordiali e la sua mentalità aperta sia in patria che all'estero.
Jeanette, le rare volte che mi aveva parlato di lui, l'aveva descritto come un vecchio tiranno.
Forse aveva ragione quella gente che diceva che alcune persone davanti agli occhi del mondo indossano delle maschere.
Osservando Gilbert passare mentalmente Jeanette al microscopio, riconobbi in quel suo modo di fare il giovane lui della mia infanzia. Anche da ragazzi, oserei dire persino da piccoli, Gilbert si era sempre comportato da furetto diffidente sempre a debita distanza ad osservare le persone, senza quasi mai dare confidenza.
Solo con una persona si era davvero aperto, e a distanza di tanti anni, io ancora dovevo capire per quale assurdo motivo i ponti erano stati recisi, tra loro.
Verso le due, servito la meravigliosa torta alla frutta (e non aspettava ospiti, fu sottolineato!) zia June ci chiese cortesemente congedo per dare udienza alla sola passione che aveva capace di far concorrenza a quelle del collezionismo di antiquariato e del giardinaggio: Le telenovelas!
In genere, fin dalla notte dei tempi, zia June spariva verso le due del pomeriggio e riappariva intorno alle cinque, per lora del tè.
Non trascorreva tutto questo arco di tempo cosciente, ovviamente. Dopo due o tre episodi delle varie serie che seguiva, l'abbiocco pomeridiano aveva il sopravvento su di lei. Non ricordavo fosse mai riuscita a vedere una serie per intero.
Noi tre, abbandonata la postazione dal nostro guardiano del faro, ne approfittammo per prendere un caffè in salotto, accompagnato magari da qualcosa di più forte.
Che io ricordassi, Né zia June né Gilbert bevevano. Ma sapevo che qualcuno di mia conoscenza provvedeva accuratamente che il mobile mini bar anni '50 della zia fosse sempre ben fornito.
"Dio, non ho mai avuto tanto bisogno di farmi un goccetto!" esclamò Jeanette, fiondandosi letteralmente proprio verso quel mobile. Prese un bicchiere da uno stipetto, ci lasciò cadere dentro un grosso cubetto di ghiaccio preso dall'apposito cestello, e si versò una generosa quantità di scotch. Che bevve quasi per metà in un sol sorso.
"Un conto è un piacevole botta e risposta, un altro è finire sotto un fottuto interrogatorio! Mancava solo che mi chiedesse il numero esatto dei peli sul culo di mio padre, e avrebbe saputo ogni cosa, di lui! Mi ha fatto scoppiare un mal di testa da Guinness dei primati..."
Io posai il caffè sulla credenza accanto al mobile bar, e ne versai tre tazze, porgendone una a Gilbert. La sua strana espressione indecifrabile era ancor al suo posto.
"Scusami tanto, Jeanette!" le dissi, mortificata, porgendole il caffè, che lei corresse abbondantemente. "Zia June non è una pettegola, ma è piuttosto curiosa..."
"Non ha motivo di scusarti, Tabitha."
Finalmente Gilbert era uscito dal tunnel del suo mutismo. Non ero, però, tanto sicura che convenisse davvero essere entusiasti, della cosa. E infatti, non sbagliavo.
"Credo, e non ritengo di sbagliarmi, che il mal di testa di mademoiselle Lacroix non sia dovuto al numero incalcolabile di domande poste da mia madre... quanto più per la stessa cifra di menzogne che aveva dovuto fabbricare lì per lì per dare una risposta pertinente!
Calò il gelo nella stanza. Jeanette guardò a lungo Gilbert. prima di replicare alla sua insinuazione.
"Cosa cazzo stai insinuando, secco?"
"Il mio nome è Gilbert, mademoiselle, non secco. È ciò che voglio insinuare è che sebbene si viva in mezzo al nulla, in questa casa non tutti siamo estranei ai fatti del mondo esterno. Io, per esempio, con il lavoro che faccio ad Edimburgo, sono costantemente aggiornato a riguardo."
Mise in piazza un'espressione di grande soddisfazione personale, ed estrasse il suo smartphone dalla tasca dei pantaloni.
"Mia madre aborra la tecnologia e ogni sua fonte, come pure quegli orribili giornaletti scandalistici, per cui non corre rischi di essere smascherata da lei medesima..."
Prendendo un sorso di caffè, creo una pausa ad effetto.
"...Tuttavia, ci terrei che mademoiselle sapesse che invece io, sono perfettamente al corrente di quella che è realmente la sua situazione familiare di casa Lacroix."
"Cerchi di spaventarmi, per caso, secco?"
Ecco, lo sapevo. Avrei voluto avere maggior prontezza di riflessi.
Gilbert non era esattamente un mollaccione, ma non aveva neanche abbastanza peli sullo stomaco per decidere di mettere in piedi un ricatto di qualche genere.
E in quell'istante, per quanto mi dispiacesse anche solo pesarlo... il poveretto non aveva neanche lontanamente idea, contro chi si era andato a mettere.
Jeanette era buona e cara, ma... si sa, mai disturbare il can che dorme.
Ed eccola farsi avanti, verso Gilbert, il ghiaccio tintinnante del suo drink come unico suono nella stanza.
"Allora, è questo che vuoi? Vuoi farmi vedere che hai tu, il coltello dalla parte del manico? Beh, caro il mio secco... mamma ha brutte notizie per te."
Prese, e si sedette talmente vicino a Gilbert che tanto sarebbe valso che si fosse accomodata direttamente sulle sue ginocchia.
"Vedi, secco... A me, che tu prenda e vada dalla tua dolce mammina a dirle che il dolce angelo con cui ha dialogato durante il pranzo, in realtà è una ragazza rozza e sboccata, a me non fa né caldo né freddo. A me..."
Si protese in avanti, scodellando praticamente le sue prodigiose gemelle in grembo a Gilbert.
"... Che tu salga di sopra, proprio ora, a dirle che mio padre in seguito all'ennesimo scandalo da parte mia, ha deciso di diseredarmi e di bandirmi dal suo albero genealogico, non ruba un solo minuto di sonno. Anzi, se proprio vuoi cantare, uccellino, aggiungi un paio di strofe alla tua canzone: Dì a mamma che quando uso il nome Lacroix, sono solo la figlia di mio padre. Ma quando uso il mio nome, Jeanette, sono davvero io. Jeanette, la regina dei fashion blogger, la più famosa giovane stilista di Parigi. Tutto, senza mettere in mezzo i Lacroix e quello che rappresentano."
Vuotò il suo bicchiere di scotch, e finalmente allontanò le sue vistose grazie da Gilbert.
Si alzò dal suo posto sul divano, fece mulinare la sua fluente coda bionda, e fece per uscire dalla stanza. Ma un istante prima di farlo, ebbe un ripensamento, e tornò indietro. Si appoggio allo schienale del divano, e appoggiò le mani sulle spalle di Gilbert.
"Ah sì... visto che sei uno che a quanto pare piace essere ben informato su tutto, ti do una piccola esclusiva, che poi potrai riferire anche a tua madre, se lo riterrai opportuno. Mio padre non mi ha sradicato dal suo albero genealogico perché era stufo di vedermi finire sui giornali. L'ha fatto... perché gli ho confessato di essere lesbica."
Gilbert si voltò di scatto verso di lei. Jeanette gli sorrise.
"Bene, mi fa molto piacere che ci siamo chiariti, secco. Ora, col vostro permesso, vado a mettere le chiappe a mollo per un paio d'ore. Nell'Arco di questo tempo, il primo che viene a rompere le palle, si beccherà una pulizia del colon con il bagnoschiuma. Baci!"
Usci canticchiando allegramente dal salotto, la bella coda bionda svolazzante nell'aria.
Ridendo, guardai Gilbert. Era una statua di sale.
" Curiosità mia, Gilbert..." gli dissi. "Cercando di ricattare Jeanette, cosa pensavi di ottenere?"
Gilbert mi guardò, ancora un po'rintronato dalla gran batosta incassata. Io scossi la testa.
"In teoria, avrei tutti i diritti di farti una scenata pazzesca per aver cercato vilmente di ricattare la mia migliore amica. Ma visto considerato la botta sui denti che ti ha mollato, direi che posso considerarmi più che soddisfatta di come sono andate le cose. Sono certa che ci penserai due volte, prima di rifarlo di nuovo, vero?"
"Tu lo sapevi?" mi chiese Gilbert, un po' rauco.
"Cosa, il fatto che è stata diseredata o la motivazione?" chiesi.
"Ambedue le cose." mi rispose.
"Ah, ok. Si, ovviamente, sapevo tutto, e da mesi prima che si compisse il fattaccio, aggiungerei. Monsieur Lacroix sventolava questa minaccia al vento da anni, per via delle discutibili scelte di sua figlia in fatto di estetica e di chirurgia. Tuttavia, non ha mai concretizzato niente. Jeanette è l'unica figlia che ha, in fin dei conti. Ma questa cosa del coming out deve essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e il vecchio non ha retto più."
Gilbert scosse la testa, come una mucca che tenta di scacciare le mosche.
" Dio onnipotente... ma come ha fatto un tipo così follemente eccentrico a diventare la tua migliore amica?" mi chiese.
" Storia buffa." fu la mia risposta, mentre riponevo il bicchiere vuoto di Jeanette e ne prendevo uno per me. "Ha certato di rimorchiarmi ad una festa in università."
Gilbert si strozzò con la saliva dallo stupore.
"Ma... ma come, tu...tu non sei..." gracchiò.
"Assolutamente no, ma questo lei non poteva certo saperlo. Ero il suo tipo e ci ha provato, fine. Tuttavia, la sua faccia tosta e il suo ardimento mi hanno sorpresa non poco, così ho deciso di diventare sua amica. E sebbene io non potrò mai essere in grado di ricambiare i suoi sentimenti, il legame che ho instaurato con lei è profondissimo."
Gilbert annuì, e prese uno dei cioccolatini dall'Incarto pomposo ben sistemati in un cestino sul tavolino da caffè.
"Ora mi è tutto chiaro, la solita Tabitha. Ti sei sempre circondata di anticonformisti e, passami il termine, fenomeni da baraccone. Guarda la tua segretaria!" commentò. Io risi.
"Mi circondo di chi può stimolare in me un qualsiasi tipo di cambiamento. Amo nel prossimo l'estro e l'esuberanza che non riesco ad esternare. Ma su Jeanette, devo dire, che tutto questo è solo la punta dell'iceberg. In lei, c'è molto di più. Qualcosa che ti stupirebbe non poco."
"Buon dio, più di poco fa?" chiese Gilbert servendosi di un altro dolcetto al cioccolato.
"Che tu ci creda o no, mio caro, non hai visto praticamente niente, del vero io di Jeanette. Hai visto il suo lato superficiale, quello destinato al pubblico pagante. Jeanette, non si può negare, è un tipetto bello tosto, incassa bene i colpi della vita. Però... ciò non toglie che ne senta comunque il dolore, che non stia male anche lei come tutti, Forse anche di più, di molti altri.
"Vuoi farmi credere che quella tigre del bengala dalla chioma bionda... è in realtà una persona sensibile?" chiese Gilbert, stupito.
"È bravissima a nasconderlo, vero? Non immagineresti mai nulla, vedendola in azione. Eppure... non immagineresti mai quanto lo è. E non solo per sé stessa, ma anche con gli altri, pe persone per lei importanti. Il suo livello di empatia... a volte tocca picchi spaventosi. Sai, a volte mi ricorda..."
" Per carità, non pronunciare il suo nome!" mi apostrofò Gilbert. "Ho capito benissimo di chi parli, ma se la mamma ti sente dire quel nome, non la finisce più..."
"Oh, per l'amor di dio, ancora!" sbottai, esasperata. "Non ci posso credere che si tenga ancora in piedi quel mucchio di idiozie!"
"Io non do il minimo credito a questa storia, lo sai. Ma mia madre..."
"Si, chiaro..." tagliai corto io. "Comunque Jeanette ha molto di lui. Per farti un esempio: Oggi in giardino, mi ha detto che si è precipitata qui oggi perché quando mona le ha detto cosa era successo, le è corsa in corpo una brutta sensazione, ed è corda qui per controllare che stessi bene.
Gilbert sollevò un sopracciglio.
"Mia madre continua a far finta di niente, ma si dà il caso che abbiano inventato una forma di tecnologia molto utile, in certe occasioni: i cellulari. Se era preoccupata, non sarebbe bastato semplicemente farti uno squillo e chiedere se stavi bene, invece di piombare qui con quell'elicottero inguardabile?"
"Cosa che poteva fare anche al posto di chiamare il numero della mia segretaria invece del mio. Non sono stupita per ciò che è successo, Gilbert, dato che non è affatto la prima volta che capita, elicottero incluso. Jeanette sa sempre, anche se ci sono periodi che ci si vede con il contagocce, se sto male o se sono in difficoltà. Lei non ha chiamato Mona per caso, ci metterei tutte e due le mani sul fuoco. Lo ha fatto perché sentiva qualcosa nell'aria, e sapeva che l'avrei tenuta all'oscuro, se avesse chiamato me."
Gilbert era sbalordito.
"Beh, che dire... Si suol dire che alcune persone, agli occhi del mondo preferiscano indossare una maschera che cela il loro vero io. Immagino... che l'esempio calzi bene, alla tua amica Jeanette. Una cosa, per quanto mi riguarda, è certa: non mi metterò mai più contro di lei, fossi matto..."

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