cap. 10 - La voce della strega

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"Il cielo non conosce ira paragonabile all'amore che si trasforma in odio."

                                                                                                                                                   William Congreve


Dicono che siano cinque, le fasi di elaborazione di un lutto.

Per prima, viene la negazione.

Per seconda, la rabbia.

Per terza, il patteggiamento.

La quarta è la depressione.

E per ultima, dulcis in fundo, c'è l'accettazione.

Per descrivere nella maniera più precisa lo stato in cui riversavo dopo la scioccante dichiarazione di Blake, bisognava pensare a me come ad un gigantesco frullatore, dove andavano mescolandosi tra di loro proprio queste cinque fasi emotive.

La negazione era arrivata per prima, come da prassi.

Avevo negato tassativamente, senza ombra di esitazione, di essere posseduta. Non era possibile. Era la mia dolce Mona, quella a cui si potevano rifilare certe terrificanti storielle della buonanotte, non certo a me.

Lei credeva in fandonie come i mercoledì iellati, ai pali santi, ai riti propiziatori. Io no.

Il problema era che le prove erano incontrovertibili, tanto da far crollare anche lo scettico piü ostinato, ovvero io.

Nella mia mente, vorticavano ricordi non miei, momenti di vita vissuta che non mi appartenevano. Senza contare il fatto che per mesi, qualcuno aveva fatto bello e cattivo tempo con il mio corpo, trascinandolo a destra e a manca a proprio piacimento.

Pensando a questo, ecco arrivare subito la rabbia.

Da dove diavolo saltava fuori, questo cosiddetto ospite? E perché tra milioni di persone al mondo, doveva venire a rompere le scatole proprio a me?

I momenti, poi, dedicati alla terza fase, il patteggiamento, risultavano ben pochi.

Il patteggiamenti consisteva nel convivere con il dolore, bilanciandolo con altro.

Lavoro, famiglia, distrazioni varie.

Non funzionava assolutamente, con me.

Non riuscivo a lavorare, non riuscivo a stare in compagnia dei miei cari o a distrarmi in alcun modo. La mia mente era totalmente nel pallone.

La quarta fase, la depressione, era totalmente casa mia.

Vegetavo per giornate intere, sdraiata a letto o sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto.

Zia June era ornata, e con sé aveva portato praticamente un container pieno di nuove e assurde cianfrusaglie.

La cosa mi era completamente scivolata addosso.

I gemelli e Jeanette avevano imbastito una quanto più credibile scusa, per questo mio comportamento: La mia malattia era passata, stavo bene. Tuttavia, mi trascinavo dietro ancora una fastidiosa serie di postumi, e questo mi faceva un po' deprimere.

La storia aveva retto, zia June l'aveva bevuta.

Buon per me, avevo pensato. L'ultima cosa che mi serviva, era un attacco di isteria, e visto lo stato delle cose, era decisamente l'unica cosa da aspettarsi da parte di zia June.

Certo, non che la reazione degli altri tre inquilini di raincourt manor fosse stata migliore.

Jeanette, da sempre l'occhio curioso ricolto al mondo, nemmeno in quest'occasione si era smentita.

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