Cap 7 - Maschere al chiaro di luna

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"Spesso una maschera ci dice più di un volto"

                                          O. Wilde

Erano passate settimane da quando era stato scoperto e appurato che, a mia totale insaputa, avevo preso il vizio di andarmene in giro a passeggio in piena notte. Non ero ancora certa di sapere come elaborare la cosa. In alcuni momenti, pensavo che in fin dei conti non fosse poi una tragedia insormontabile. Un sacco di gente soffriva di sonnambulismo, il mio non era certo un caso isolato. Altre volte, invece trionfava in me lo sconforto, e anche una buona dose di rabbia. Specialmente da coloro che avevo preso a soprannominare 'i guardiani notturni'. 
"Internet, parla chiaro, tesoro." Esordi Jeanette una sera, mettendosi dentro il sacco a pelo a fianco al mio letto. Dick, come scongiuro momentaneo al mio problema notturno, aveva stabilito dei suddetti turni di guardia, in modo tale che mi fosse venuto un attacco, non sarei stata sola, e sarebbe stato bloccato sul nascere. La cosa serviva anche a tenere sua madre all'oscuro dei fatti. Era stato decisa all'unanimità, questa cosa. Anche Gilbert, messo al corrente in un secondo momento, si era trovato totalmente d'accordo. Turbare sua madre, com'era risaputo, era l'ultima cosa che desiderava. Era inconcepibile che continuasse a incolpare Blake per l'unico evento della porta aperta a lei noto, ma nello stato in cui erano le cose, questo dettaglio risultava sfortunatamente il male minore che si tenesse stretta le sue convinzioni.
Jeanette fu l'unica autorizzata a passare la notte in camera mia, con una scusa o quell'altra, mentre per Gilbert e Dick fu stabilita una sorveglianza notturna a distanza. Zia June, giustamente, avrebbe di sicuro alzato obiezioni se i gemelli avessero voluto dormire in camera con me, specie se a giorni alterni.
"Ho letto che il sonnambulismo, se non è congenito ma improvviso, può essere scaturito da vari fattori, compreso lo stress."
"Anche per l'omicidio è la stessa cosa, sai?" le risposi, avvelenata. "Se uno non nasce con qualche squilibrio piscologico congenito che lo spinge ad avere sete di sangue, gli amici tutt'attorno che non fanno altro che dire che è tutto un fattore di stress, glie la possono far venire! Per la milionesima volta, Jeanette... io non sono stressata! Quantomeno, non lo ero prima di quest'assurda situazione. Ma ora che di notte devo essere sorvegliata a vista da tre grossi cani da guardia devo ammettere che sì, una punta di stress inizio davvero a sentirla. Soprattutto quando pare che ogni sforzo risulti inutile."
Jeanette arricciò il naso. Sapeva che avevo ragione, e non osava controbattere. Dopo la scoperta del sonnambulismo, e l'ideazione del piano di sorveglianza, il fenomeno pareva essersi arrestato ed eclissato, così com'era venuto. Le mie povere estremità erano tornate in forma quasi perfetta, la mia salute migliorava a vista d'occhio, e stavo tornando al mio peso forma ideale. Dick però, rifiutava di abbassare la guardia, definendo la situazione, a suo personale parere, come l'occhio del ciclone, dove tutto pare finito, ma in realtà è al culmine.
Era stato poi ampiamente dimostrato dai suoi appostamenti notturni precedenti, quando aveva tentato di risolvere il mistero della porta aperta, che il mio sonnambulismo era influenzato dalla presenza vigile di altre persone. Ergo, gli attacchi non erano cessati perché stavo meglio, ma solo perché ero tenuta sotto stretta sorveglianza.
"Chissà se quegli esperti su internet hanno mai visto un caso di sonnambulismo come il mio, un sonnambulismo timido."
"Credi che non sia la prima cosa che abbiamo cercato, saputella?" rimbeccò Jeanette, stizzita. "Nessuno di questi esperti del cazzo lo sa, il perché tu fai la sonnambula solo se nessuno ti vede. E comunque, lagna lasagna, non credere di essere l'unica a d averne le palle piene di questa stori! Il mio culo sarà pure imbottito, ma ti assicuro che fa un male cane dopo troppe notti in questo bozzolo di poliestere."
Sospirai, e appoggiai il mento alle ginocchia mortificata.
"Scusa. Scusatemi tutti, anzi..."
Jeanette venne ad abbracciarmi. Io mi lasciai avvolgere dal suo caldo e imbottito abbraccio.
"E' che... tutta questa faccenda mi sta mandando al manicomio. Io non voglio essere una sonnambula, timida o estroversa che sia! Voglio solo liberarmi di questa cosa, mi mette a disagio. Perdere il controllo di me stessa, non sapere cosa faccio in quei momenti, ferirmi e non rendermene conto! Insomma, due o tre taglietti sotto ai piedi sono stati un prezzo basso, da pagare. Ma chi mi assicura, che mi andrà sempre cosi bene? Chi mi dice che la prossima volta che dormirò da sola, io non cada dalle scale finendo per spezzarmi l'osso del collo?"
"È per questo che hai tre guardiani, tesoro, per evitare prezzi troppo alti." Mi fece notare Jeanette.
"Ah sì? E dimmi, contate di sorvegliarmi per il resto dei miei giorni? Manderete in malora le vostre brillanti carriere e le vostre vite, per passare ogni singola notte a impedirmi di andarmene a zonzo? No, per dio, non ve lo permetterò mai."
"Buona, qui nessuno ha mai detto che resterai cosi vita natural durante." Puntualizzò Jeanette. "Questa cosa delle pattuglie notturne è solo momentanea, una pezza sul buco fintanto che non riusciamo a trovare un modo per ripararlo. E lo troveremo, stanne pur certa. Oddio, ovviamente sarebbe tutto più facile, se non fossimo costretti a camminare sui gusci d'uovo per evitare di farci beccare da mia zia. Bisteccone, ringraziando il cielo, è un cane sciolto, nessuno sa o fa caso a cosa combina infilato tutto il santo giorno nella bat-caverna. Ma secco... con lui, mammina è peggio di un condor. Ogni volta che nei soliti orari di lavoro non è al suo posto davanti al pc, piomba su di lui e lo tartassa di domande. Onestamente, non la inquadro, tua zia. Insomma, perché se ha due figli, soffoca di attenzioni solo uno di loro?"
"Non saprei darti una spiegazione precisa, le cose sono sempre andate così per quanto ne sappia." Risposi io facendo spallucce. "Dick non è mai stato dotato di un carattere semplice, da gestire. Rifiutava le regole dell'etichetta, e non si piegava alle convenzioni. Dopo l'incidente, poi, mandò in malora anche ogni forma di convenzione sociale. Sua madre non ebbe altra scelta che gettare la spugna, con lui, non esistevano alternative. Gilbert, al contrario, le ha sempre dato immense soddisfazioni, in ogni cosa che faceva. Lui era... un figlio perfetto."
"Non del tutto, pare."
Gilbert era apparso sulla soglia, un bel vassoio argentato carico di tre tazze fumanti tra le mani. Scivolò furtivo nella stanza, posò il vassoio sulla scrivania, e si chiuse velocemente la porta alle spalle.
"Cazzo, sembra di stare ai tempi del proibizionismo." Commentò Jeanette osservando Gilbert appoggiare l'orecchio alla porta per sentire se c'erano rumori in corridoio. "Beh, piove o no?
"No." Rispose Gilbert, l'aria un po' contrita. "E se tutto va come previsto, non pioverà per almeno un mese."
Jeanette e io lo guardammo, interdette.
"Che vuoi dire?" chiedemmo in coro.
Gilbert sospirò profondamente.
"Navigando su Internet, ho scoperto che una nota casa d'aste britannica ha organizzato una specie di tour delle aste, che copre tutta la Gran Bretagna. Sono diverse tappe in vari posti, hotel e viaggio inclusi. Io...ho regalato questo viaggio alla mamma, partirà dopodomani. In questo modo... potremmo lavorare meglio alla risoluzione del problema di Tabitha."
Jeanette era senza parole, ed io peggio di lei.
"Secco... hai fatto il bambino cattivo, non ci posso credere!" gli disse Jeanette con aria gaudente. Gilbert era visibilmente a disagio.
"Non è una cosa di cui vado esattamente fiero." Borbotto lui sedendosi ai piedi del mio letto. "Ma i tempi si sarebbero dilungati all'infinito, solo con Dick attivo al 100% nelle ricerche e mia madre sempre al mio e al tuo collo a rallentarci. Ci muoveremo meglio, se lei non sarà nei paraggi."
Mi si strinse il cuore in petto. Sapevo perfettamente quanto questo gesto fosse costato a Gilbert. Con tutta probabilità, era la prima volta, in trent'anni suonati che mentiva a sua madre. Gli accarezzai un braccio.
"Non sai quanto ti sia grata per quello che hai fatto, Gilbert."
Lui mi prese la mano.
"Oh Tabitha, la tua salute non ha prezzo! Avrei fatto questo, e altro, se fosse stato necessario. E poi, non è poi una tragedia, no? Mia madre si divertita da matti, in questo viaggio, e sicuramente tornerà a casa con una montagna di ciarpame acchiappa polvere."
A tutti e tre scappò una risata.
"Quindi, signore, vi chiedo di pazientare ancora fino a venerdì." Disse poi Gilbert. "Altri due giorni e finalmente potremmo prendere di petto la situazione come si deve. Vedrai, Tabitha..."
Si rivolse a me in tono rasserenante e molto dolce.
"Risolveremo ogni cosa, ne sono certo!"
Il famoso venerdì arrivò, e con lui la partenza di zia June, che partii salutandoci con affetto e piena di entusiasmo. Noi le augurammo calorosamente un buon viaggio, promettendole di badare alla casa in sua assenza. E in cuor nostro, pregammo dio di riuscire a risolvere tutto prima che tornasse.
Avvertivo forte e pressante in me, la mia solita abitudine di abbandonarmi allo sconforto e al pessimismo. Non riuscivo, onestamente, a capire come, sebbene con un margine di tempo più esteso, a venire a capo del mio problema, visto che nessuno aveva la più pallida idea da dove cominciare.
Tuttavia, mi costrinsi a restare ottimista, e mi convinsi che alla fine tutto sarebbe finito bene. Io, dal canto mio, mi sarei impegnata al cento per cento, per fare la mia parte.
Rivolevo la mia vita, nulla doveva rimanere intentato. E formulando questo pensiero, in cuori mio, feci una promessa ame stessa: avrei reso la mia vita migliore.
Basta miasmi, negativi, basta pessimismo e basta depressione. Meritavo di meglio, e lo stesso valeva per le persone che mi circondavano e mi volevano bene.
Subito dopo la partenza di zia June, i miei guardiani si buttarono a capofitto nel loro compito. I dolorosi sonni di Jeanette nel sacco a pelo furono dimezzati. A turno, infatti, anche i gemelli iniziarono ad utilizzare il sacco a pelo accanto al mio letto.
Nessuno trascurava più il proprio lavoro, ora che c'erano tre teste attive al lavoro per trovare una soluzione al mio problema, e la cosa mi rincuorava non poco.
Brutto da dire, ma il clima in casa era decisamente più disteso, ora che la zia era fuori sede.
"Quando il gatto non c'è, i topi ballano si suol dire, no?" mi disse Jeanette una sera, mentre ci preparavamo per andare a dormire. "e a proposito di topi ballerini... Scommetto che ora, non proprio tutti i turni di guardia, eh?"
La guardai con la coda dell'occhio, cospargendo il mio viso di crema da notte.
"Nessuno mi ha mai dato fastidio, Jeanette. L'unica cosa che posso aver detto, è che sarebbe meglio non fosse necessario essere tenuta sotto sorveglianza ogni notte."
"Oh non preoccuparti, ho la sensazione che per qualcuno non sia affatto una seccatura fare la nanna in questo bozzolo di poliestere, se può farlo accanto alla sua principessa."
Inarcai le sopracciglia.
"Scusa, ma non ti seguo."
Jeanette mi fece un sorrisetto malizioso.
"Tesoro, la mia tetta è scassata, non i miei occhi. E si da il caso che abbia visto perfettamente come il nostro gemellino timidino ti faccia gli occhi dolci."
La guardai con sufficienza.
"Temo che quelle inquietanti lenti celestine ti abbiano bruciato un paio di diottrie, mia cara..." le risposi. "Il suddetto gemellino a malapena mi guarda in faccia, altro che occhi dolci."
Jeanette agitò sotto il mio naso il suo dito indice, armato di una vertiginosa unghia color papavero.
"Sei poco accorta, bella mia. Io, personalmente, lo avrò visto almeno quindici volte perdere lo sguardo su di te. Sembrava un merluzzo. Dai retta a me, butta l'esca, abboccherà subito!"
"Io non butto proprio niente." Rimbeccai, iniziando a spazzolare la mia chioma fulva. "Non mi passa neanche per l'anticamera del cervello, guarda. Non è mai uscito neanche per errore, tra me e Gilbert, il discorso del salotto. E i motivi possono essere soltanto due: O mi sono immaginata ogni cosa, oppure se era tutto reale, Lui preferisce far finta che non sia mai successo. In entrambi i casi, il tuo presunto merluzzo non ha la benché minima voglia di abboccare alla mia esca, non ci pensa neanche."
"È timido, Tabitha! In maniera quasi imbarazzante per un maschio adulto, aggiungerei. Sai come la penso io, sul discorso salotto? Io penso che lui sia del tuo stesso avviso: Lei vuole fare come se non fosse mai successo. E al pensiero di chiederti conferma, se la fa letteralmente sotto, e tace. Ah dio, voi due insieme risultate una grandissima rottura di palle."
" Ma come? Hai l'occasione di vivere dal vivo uno degli intrecci dei tuoi romanzi rosa, e ti lamenti?"
"Si, che mi lamento! Nei miei libri, parto già col presupposto che qualcuno risolverà tutto nel corso della storia. Qui, invece, è tutto avvolto nella nebbia. Non si muove nulla, nessuno fa nulla. E' esasperante, cazzo!"
"Senti, non mi prenderò una mazzata allucinante, solo perché tu ti annoi! Se vuoi sollazzarti con delle nuove storie d'amore, vai di là da Dick, e ti fai fare degli spoiler sul suo nuovo capolavoro amoroso."
Jeanette portò una mano al petto, scandalizzata.
"Vade retro! Non oserei mai profanare le divine opere di Dick con dei blasfemi spoiler!"
"Divini scritti mi sembra un po' eccessivo, per definire dei semplici romanzetti all'acqua di rose."
Era arrivato Gilbert, armato di un bel vassoio d'argento con sopra tre belle tazze fumanti e profumate.
"Silenzio, bestia! Tuo fratello è la pietra miliare del romanticismo letterario dei giorni nostri, mostra rispetto!"
"Vi ho portato la tisana della sera di mia madre." Disse Gilbert, girando gli occhi al cielo. "Insiste che tutti e quattro la beviamo, prima di andare a dormire. Il genio letterario ci fa colazione, visto che ha il fuso orario invertito. E comunque..."
Si rivolse a Jeanette, e le porse la tazza.
"Glie ne porto eccome, di rispetto. Una grossa fetta delle entrate della nostra casa editrice è merito suo. E a me, il suo fratellino sfigato, non resta altro da fare che amministrare le sue finanze."
"Non degradarti in questo modo, non è giusto!" lo ripresi io. "Un editore che si rispetti, fiuta i talenti letterari e li mette sotto contratto, permettendo loro di avere successo. Dick non avrebbe avuto successo, se tu non l'avessi scoperto."
"Se non lo pubblicava la Raincourt editor, lo avrebbe fatto qualcun altro. L'unico motivo per cui Dick è sotto contratto da noi, è perché io sono suo fratello. Qualsiasi editore avrebbe capito che il suo era un talento spropositato. Bastava solo si fosse proposto, e l'avrebbe pubblicato chiunque."
"Ah no, fermo lì, secco bello. Non tutti gli editori sanno fare il proprio lavoro. Lo sai quanti idioti hanno chiuso la porta in faccia alla scrittrice di Harry Potter? Fidati, tu hai capito che tuo fratello era bravo, e hai puntato sul cavallo vincente perché sei un grande, nel tuo lavoro."
Gilbert fu preso decisamente in contropiede, da quegli elogi inaspettati, e divenne un po' rosso di imbarazzo in faccia,
"Credo...sia la prima volta, da che sei arrivata, che mi rivolgi parole gentili, Jeanette." Disse.
"Io do a Cerase ciò che è di Cerase, tesoro. Il tuo fratellino dal culo scolpito è il genio letterario, tu sei il genio amministrativo in campo editoriale. Non sei inferiore a lui, fai solo un lavoro diverso."
Gilbert le sorrise, felice.
"Non sai quanto apprezzo ciò che hai detto, Jeanette... Grazie."
Jeanette gli fece un cenno con la testa e un mezzo occhiolino.
"Ah, sì, lupus in fabula...porto un messaggio del nostro Shakespeare." Disse poi Gilbert, ancora un po' imbarazzato ma decisamente compiaciuto. "Domani si darà per malato tutto il giorno. Kyle, sapete di chi parlo, ha erroneamente cancellato alcuni file audio mandati da Dick prima di copiarli, e quindi un sacco di lavoro è andato a farsi benedire, e va rifatto da capo. Dick deve ri – registrare quegli audio, e non ha idea quanto gli ci vorrà."
"Ok, quindi domani saremo solo noi tre." Dissi io, facendo spallucce.
"Beh..." se ne uscì Jeanette. "A dire il vero, anche io domani avrei un paio di telefonate da fare in sartoria. Mi hanno fornito delle stoffe che onestamente parlando, mi convincono ben poco."
"E' buffo che tu non me ne abbia parlato, siamo state insieme tutto il giorno." Le dissi a denti stretti, fulminandola. Stoffe poco convincenti un corno, stava certamente tramando qualcosa per lasciare da soli me e Gilbert. Dannata la sua noia!
"Wow, super lavoro per tutti, domani, pare!" commentò Gilbert, stupito.
"Beh, io e bisteccone lavoriamo, ma voi due no!" cinguettò Jeanette, sorridendo.
Ecco appunto, pensai mentre la incenerivo con lo sguardo e lei mi ignorava deliberatamente.
"Beh, a dire il vero, anch'io domani sarei impegnato." Confessò Gilbert. "si stanno avvicinando diverse scadenze, e quindi ci sarà una montagna di cose da rivedere con gli scrittori prima di mandare i volumi in stampa. Desolato, Tabitha, ma sarò obbligato ad abbandonare la nave..."
"Nessuno ha nulla da farsi perdonare, se si tratta di lavoro." Fu la mia risposta. "Io lavorerei ben volentieri, se potessi. Ma da remoto è un vero e proprio inferno."
"Mi rincuora molto sapere che non sei risentita." Mi disse Gilbert, tranquillizzato. "Ora, se lor signore vogliono scusarmi, ho un meraviglioso letto che mi attende e un mare di sonno arretrato da smaltire. Buonanotte a entrambe."
Salutò entrambe con un sorriso, e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
"Ben, ora spero che sarai pienamente soddisfatta!" sbottai a Jeanette, furiosa. "Ora hai avuto la certezza assoluta e tangibile che a quel ragazzo di me non importa un beato fico secco! Io avrei fatto molto volentieri a meno di saperlo, ma tu non sai mai quando è il momento di dire basta, vero? Ma quando imparerai, dico io, a farti i fattacci tuoi?"
"Allora, punto numero uno: No, non sono neanche lontanamente soddisfatta." Mi sovrasto Jeanette, zittendomi. "Punto numero due: Tu, bella mia, sei nel modo più assoluto affar mio, quindi non devo imparare alcunché. Punto numero tre... se quel secco crede che la partita sia finita, casca male. Mamma gioca per vincere."
"Lo vedi? Non sai mai quando smettere. Ma si può sapere cosa vuoi fare, ancora? Non gli interesso! Cosa vuoi che faccia, che te lo metta per iscritto?"
"Iscritto?" ripeté Jeanette, e vidi brillare nei suoi finti occhi turchesi il barlume di un'idea, probabilmente insensata e folle. "Iscritto...come un invito! Un invito, certo!"
La guardai, alquanto perplessa.
"Dai di matto?" le chiesi.
"No... do un party!" esclamò, allegra. "Come dice il proverbio: Quando il gatto non c'è, i topi ballano! Tua zia resterà fuori ancora per un paio di settimane, giusto? Sarebbe un peccato mortale non approfittare di una così ghiotta opportunità."
"Tu, nel bel mezzo del casino in cui siamo.... vuoi dare un party? Cavolo, sei davvero impazzita, dunque."
"Fidati, so esattamente ciò che faccio! Non ho intenzione di mettere in piedi una baraonda come al solito, ovvio. Non inviterò il mondo, solo pochi intimi, una cosa informale."
"Non capisco cosa speri di ottenere, francamente. Gilbert è timido, Jeanette. Dubito fortemente che si sentirà più a suo agio e quindi incline a confessarmi i suoi presunti sentimenti, se lo butti in mezzo alla bolgia."
"Ciò che rassicura un ragazzo timido, è una schiena dietro la quale potersi nascondere. Ebbene, ho intenzione di fornire la nostro timidone qualcosa di simile... gli darò una maschera!"
Sgranai gli occhi.
"Vuoi dare... un party mascherato? Perché?"
"Per tre semplici ragioni. Una, le feste mascherate sono le mie preferite. Secondo, la maschera e l'anonimato che garantisce crea quell'alone di mistero che rende tutto più eccitante. La gente, quando crede di non essere vista o riconosciuta, dà il meglio di sé, si sfoga e si lascia andare a meraviglia. Conto che accada esattamente questo, al tuo rinsecchito e timido Romeo. Tre... se tutti avranno il viso coperto da una maschera, anche il nostro bisteccone potrà partecipare all'evento. Nessuno lo vedrà in viso, sarà al sicuro. Creerò per lui un atmosfera un po' noir, gotica, così ovvieremo anche al problema della luce diretta troppo forte. Chiamerò l'evento... maschere al chiaro di luna."
Mi venne spontaneamente da ridere.
"Jeanette, nonostante io conosca perfettamente i tuoi incalcolabili talenti, mi viene spontaneo chiedertelo: Ce la farai a mettere in piedi un simile evento in così poco tempo?"
Jeanette inarcò un sopracciglio.
"Bella... ma con chi credi di parlare? "disse.
L'indomani mattina, al ritrovo per la colazione in sala da pranzo, la risposta dei gemelli riguardo l'evento in programmazione di Jeanette non tardò ad arrivare, e fu più che mai prevedibile e scontata: No, all'unisono.
"Oh, ma dai, perché no?" chiese Jeanette a Gilbert, frustrata.
"Non ho mica intenzione di dare un assurdo baccanale da confraternita universitaria a base di sesso selvaggio e alcool a fiumi! Voglio dare un informalissimo party mascherato tra amici. L'Unica clausola è che gli invitati vengano in costume, e con una maschera che copra abbastanza il viso. Ho ideato questa cosa del volto coperto anche per facilitare la vita a quell'altro ingrato di sopra, da cui nonostante i miei sforzi ho ricevuto la stessa tua risposta..."
"Jeanette, io non dubito affatto che se garantisci un evento discreto e formale, manterrai la parola data." Disse Gilbert con diplomazia, versandosi del caffè. "Il problema, difatti, non è affatto quello. I cittadini di questo piccolo borghetto gradiscono oltre ogni cosa il fatto di vivere isolati dal mondo, e ancor più amano il fatto che il mondo ignora la loro presenza. Se tu porti qui della gente da fuori, i paesani sicuramente alzeranno polemica. Per di più, rivelando la locazione di questo posto, annullerai totalmente l'anonimato di cui gode. E credimi, per entrambe le cose nessuno dei nostri vicini ti dirà grazie. Per non parlare della tragedia immane che farebbe mia madre se la cosa le arrivasse all'orecchio! Non voglio neanche pensarci..."
"Ma chi ti ha detto che la festa si terrà qui?" rise Jeanette. "Dio santo, non sono mica scema, secco! Il party avrà luogo nell'attico che papà mi ha regalato per i diciott'anni, a Londra. Quel posto è immenso, mi ci perdo dentro io che sono la padrona di casa."
Gilbert sospirò rumorosamente.
"Ma non ti riesce proprio di star tranquilla? Da dove viene, tutt'a un tratto, questa smania di dare feste?"
"Semplice: Siamo stressati, occorre staccare." gli rispose Jeanette con naturalezza. "Siamo tesi come elastici di gomma, non manca molto che ci si rompa. Tabitha sta passando l'inferno dantesco. Io, tu e tuo fratello lavoriamo con una mano e cerchiamo di aiutarla facendo ricerche online e cartacee con l'altra. Ce la meritiamo tutti, una seratina di svago, secondo me."
Più confuso che persuaso, Gilbert si rivolse a me.
"Tu che ne dici?" mi chiese.
Bene, ai posteri l'ardua sentenza, mi dissi. Se bocciavo l'idea di Jeanette, avrei dovuto subire la sua ira funesta. Se invece l'approvavo, avrei trascinato i gemelli in acque a loro non gradite. Gilbert magari avrebbe fatto poca resistenza dato il suo mite e remissivo carattere. Ma la bestia al piano di Jeanette mi ha garantito una cerchia di ospiti molto ristretta e un clima moderato, niente caos o roba di cui si possa perdere il controllo. A mio parere... a me l'idea piace, Gilbert."
Due contro uno, la resa per Gilbert era ovvia. E infatti, con un altro profondo sospiro, annui.
"Sia, dunque." Disse. "Ma bada che ti prendo in parola Jeanette: Niente bolge o festini scatenati! Ti ricordo che sono a conoscenza della vera natura che alberga in te, miss Lacroix."
"La mia vera natura, come tu la definisci, puoi star certo che non metterà piede, a quel party. So comportarmi anche bene, se ne ho voglia e il caso lo richiede, mio caro."
Gilbert annui di nuovo.
"Bene, mi fiso. Comunicatemi ora e luogo, quando sarà deciso, e salvo imprevisti io ci sarò. Ora vado, ho delle telefonate da fare e altra gente con cui discutere, e non sono neanche le nove."
Prese la sua tazza di caffè nero, e usci dalla sala da pranzo.
Jeanette lo guardò uscire, le sopracciglia inarcate.
"Quel ragazzo non ha una scopa infilata nel culo... ha un intero lampione con tanto di lampadina!"
Mi andò di traverso il te al latte.
"Santo cielo, Jeanette..." tossicchiai.
"Dai, si comporta come un vecchio pensionato, è atroce!"
"Ognuno è fatto a modo proprio." Sentenziai. "Gilbert è sempre stato così, tranquillo e pacato. Far baldoria non è mai stato tra i suoi pensieri."
"Beh, spero per il suo bene che non rovini l'atmosfera del mio party, con quel suo fare da vecchio inamidato. Voglio vedergli tirare fuori l'occhio della tigre!"
Non ebbi cuore di smorzare l'entusiasmo di Jeanette, ma dubitavo seriamente che in Gilbert albergasse qualcosa come l' occhio della tigre o quello di un qualsiasi altro felino. La natura di Gilbert non era sfaccettata come quella di Jeanette, che a volte sfiorava il bipolarismo. Lui era fatto in un modo soltanto, era inutile aspettarsi qualcosa di diverso.
A metà pomeriggio, Sfidando ogni legge della fisica e anche le soglie del miracolo, Jeanette aveva praticamente organizzato tutto l'evento: Catering, musica.
Persino i costumi da indossare per me e per lei.
Portando, come sua consuetudine, ben alto il blasone della sobrietà, il tema scelto per il nostro outfit sarebbe stato a tema vittoriano, con tanto di trucco e parrucco abbinato.
Che il cielo mi protegga, pensai.
Verso sera, poi, poco dopo cena, in casa ebbe luogo un piccolo conflitto. Le urla di Jeanette echeggiarono contro ogni muro della casa, facendo tintinnare le ceramiche di mia zia come dei campanellini a vento. Si presentò in camera mia per il suo turno di guardia livida di rabbia. Non mi sarei stupita di vederle uscire il fumo dalle orecchie. Si scaraventò sul mio letto, aprii malamente un cassetto, e ne pescò una scatola di cioccolatini ripieni, che prese praticamente a sbranare.
"Dannata bistecca avariata, lo mangiassero i vermi!" ringhiò, la bocca piena di cioccolato e crema di valigia bourbon. Mi avvicinai con circospezione.
"Allora... visto che a cena abbiamo mangiato pesce fritto, direi che posso affermare tranquillamente di aver capito di cosa parli, e aggiungerò questo: Non te lo volevo dire per non romperti le uova nel paniere, ma ero più che certa che nonostante avessi avuto successo con Gilbert, persuadere Dick a snidare dal suo rifugio per venire alla festa sarebbe stato oltremodo impossibile. Lui odia il genere umano, specialmente se si raduna in gruppo."
"E io cretina che ho organizzato l'evento basandolo su uno dei suoi romanzi, appunto maschere al chiaro di luna. Pensa, quando lo ha saputo, invece di lusingarsi, mi ha detto che gli stavo dando un motivo in più per starsene a casa! Stronzo di un manzo che non è altro..."
Nel tentativo di placare la sua ira e di salvare il suo punto vita dall'ondata di calorie che stava fagocitando, le andai alle spalle armata della sua spazzola preferita, e presi a pettinare la sua lunga coda bionda.
"Accidenti, sembrano capelli veri." Dissi, osservandola da vicino.
"Ovvio, perché lo sono." Borbottò lei. "E 'una cosa posticcia di capelli veri, viene dall'India..."
Mi venne un brivido.
"Non so se me la sentirei di mettermi sulla testa i capelli di un'altra persona." Dissi, e posai la spazzola.
"Guarda che non vengono mica dalla testa di un cadavere." rimbeccò lei, e mi rimise la spazzola in mano. "Continua, piuttosto, eri quasi riuscita a placare la mia sete di sangue bovina..."
"Ma lascia perdere quell'asociale." Le dissi. "Non ne abbiamo certo bisogno per divertirci, no? Io, personalmente, non vedo l'ora di vedere il mio costume!"
La tensione sulle spalle della mia migliore amica scivolò via come il sapone dalla pelle, e la lasciai accoccolarsi contro la mia spalla.
"Oh, vedrai, diventerai matta." Mi disse, e mi fece un meraviglioso sorriso al cioccolato belga.
Il sabato mattina successivo, quello della sera della festa, iniziarono i grandi preparativi.
Per evitare di attirare l'attenzione di paesani ficcanaso, Jeanette ridusse il suo entourage all'osso, provvedendo lei stessa alla nostra vestizione, al make-up e alle acconciature. L'unico forestiero in zona, dunque, sarebbe stato il suo autista personale, che poi era lo stesso tizio che mesi prima aveva guidato l'elicottero rosa che l'aveva portata a casa mia.
Si fece sera solo per preparare le acconciature e il trucci di entrambe.
"Secco ha chiamato circa venti minuti fa, ha annunciato ritardo." Mi disse Jeanette mentre tirava con forza i lacci del mio corsetto piantandomi un piede contro l'osso sacro. "È saltata fuori una noiosa teleconferenza con dei tizi, non ho capito bene chi fossero. Lo manderò a prendere appena sparerà un razzo di segnalazione."
"Dura ancora tanto, questa tortura?" chiesi, guardando il mio povero seno miniaturizzato sbucare fuori dal corsetto, come se fosse slime. Jeanette aveva coperto tutti gli specchi della stanza, non avevo la benché minima idea di cosa stesse facendo e quale fosse il mio aspetto. Lei stessa si era vestita e in seguito coperta da una specie di mantello con il cappuccio, per non fare spoiler. La cosa mi spaventava non poco.
"Chi bella vuole apparire, deve soffrire." Disse Jeanette, circumnavigandomi e sistemando sa dio cosa qui e là.
"Un po'! Un po', deve soffrire, dice il proverbio. Io sto agonizzando da ore!" brontolai.
"E credimi..." mi disse Jeanette, spennellandomi qualcosa di un rosso molto carico sulle labbra con un pennellino dalla punta piatta. "...Neanche tu ti riconoscerai. Su, dai un occhiata. Sei il mio capolavoro, me lo dico da sola!"
Mi mise bella dritta in piedi davanti allo specchio grande, e tolse il lenzuolo che lo copriva.
Per un secondo, il mio primo istinto fu quello di indietreggiare, spaventata. Poi, invece, capii che colei che non avevo riconosciuto nel riflesso di quello specchio, ero davvero io.
Ed ero a dir poco meravigliosa.
Per me, Jeanette aveva pensato ad un incantevole vestito di un bel rosso scuro, il colore delle mie rose preferite. La gonna era lunga fino ai piedi, tante balze voluminose nella parte posteriore, e sul fondoschiena avevo un bel fiocco con al centro un grosso rubino scuro. La stessa pietra era appuntata al centro della mia scollatura, e pendeva in versione ridotta dal collarino di perline che Jeanette mi aveva messo al collo.
Avevo le spalle scoperte, cosa che adoravo, e guanti scuri lunghi fino ai gomiti. Come calzatura, indossavo degli adorabili ma complicatissimi stivaletti scuri dal tacco medio-alto pieni di bottoncini. Tra i capelli raccolti e pieni di boccoli, Jeanette mi aveva incastrato un cerchietto con una piuma scura.
Il trucco era impalpabile, sembravo finta. Non avevo mai avuto una pelle tanto liscia e luminosa, e i miei occhi non erano mai stati così belli, e il loro colore mai così ben risaltato.
Mi innamorai di me stessa, come Narciso.
"Se Secco non va in terza base stasera stessa, mandiamo lui in manicomio, altro che te." Commentò Jeanette posando il mento sulla mia spalla. "A tal proposito, rinnovo la mia offerta, se può interessarti..."
Le diedi un buffetto sulla fronte, e lei mi fece una boccaccia.
"Ora puoi toglierti quel tabarro. Voglio vedere il tuo vestito."
Jeanette sorrise sorniona, e lasciò cadere per terra il mantello. Che dire, Jeanette era davvero la donna dai mille volti. Per l'occasione, scelse di indossare un elegantissimo vestito blu notte molto simile al mio, solo molto più appariscente per via del suo prosperoso davanzale e con la gonna meno svasata.
"Le bionde in blu rendono sempre." Disse, atteggiandosi un po'. Si guardo per intero allo specchio. "do l'idea di una prostituta da saloon?"
"Già, come se la cosa ti dispiacesse." La schernì.
"Non mi dispiace, infatti, ci speravo." Rispose lei con nonchalance. "Solo non vorrei che fosse troppo esplicito che l'ho fatto apposta."
Ci abbandonammo a una bella risata, e indossate due elegantissime mascherine di pizzo nero molto velato. Eravamo bellissime, entrambe.
"Dai, scendiamo, l'autista dovrebbe essere qui a momenti." Mi disse Jeanette, e insieme ci dirigemmo nel piazzale ad aspettare la macchina.
Contrariamente all'usuale sensazione di noia e disappunto che provavo all'idea di partecipare ad eventi mondani, quella sera l'idea di andare ad una festa in maschera a divertirmi con la mia amica del cuore, mi mandava in fibrillazione. Non vedevo davvero lora, ed era probabilmente la prima volta che mi capitava. Volevo davvero svagarmi, rilassarmi, darmi alla pazza gioia. Ne sentivo quasi un bisogno fisico, dopo il tremendo uragano che si era abbattuto sulla mia giovane vita.
E soprattutto, sebbene non fossi ottimista ai livelli di Jeanette, non vedevo l'ora che il mio Gilbert mi vedesse. Non ero più la bambina acerba e impacciata che conosceva, era arrivato il momento di farglielo capire chiaramente.
Niente riserve o penose scene imbarazzanti, promisi a me stessa. Avrei tirato fuori l'artiglieria pesante. Magari ci sarebbe voluto ancora un po' di tempo, ma almeno si sarebbero state gettate delle solide basi.
Salendo in macchina, con la coda dell'occhio guardai la finestra buia della camera di Dick.
Testone che non sei altro, pensai. Quando la smetterai di privarti della tua stessa vita?
L'autista non si fece attendere, e con il sole che tramontava lento dietro la brughiera, ci avviammo verso Londra.
L'attico di Jeanette era il tetto di un meraviglioso palazzo sito proprio nel cuore di Londra, nel suo quartiere più romantico, Notting Hill. Cosa potevo volere di più?
Semplice, quello che vidi quando si aprirono le porte dell'ascensore, naturalmente.
Ero stata spesso, ovviamente, a casa di Jeanette, ma mai nel suo castello delle fiabe a Notting Hill. E ne rimasi letteralmente estasiata.
La location era incredibilmente dettagliata.
L'enorme openspace, dai cuscini sul divano alle tende, per finire con la tappezzeria, era stato finemente decorato suo toni del blu, nero e argento, dando all'insieme un tocco gothic noir incantevole. Le luci fioche e riposanti delle lampadine ad effetto candela site nei lampadari, applique e piantane illuminavano delicatamente un ambiente, creando un effetto di un'eleganza assoluta. La moquette scura sul pavimento attutiva i passi dei presenti, dando la sensazione di essere dei fantasmi che scivolavano silenziosi nella stanza.
La musica era un leggero borbottio in sottofondo, che non disturbava in alcun modo il chiacchiericcio ma creava comunque l'atmosfera giusta per un party.
Non avevo parole, per descrivere il genio indiscusso di Jeanette. Era tutto così perfetto da farmi paura.
"Tu guarda quanto ho dovuto farmi il culo, e tutto per niente." Sbottò lei proprio in quel momento, gettandosi occhiate analitiche tutt'intorno alla ricerca di errori o difetti, assolutamente assenti. "Millecinquecento accortezze solo per lui, e quell'ingrato controfiletto non si è nemmeno degnato di trascinare qua il suo tornito posteriore, Mi vengono certi nervi che spaccherei tutto, guarda. Ci tenevo davvero tanto, che quello stupido potesse uscire una volta per tutte dal suo carapace..."
La tirai a me e la strinsi forte tra le braccia.
"Io sono estasiata e al settimo cielo, per tutto questo, Jean. Se Dick ha voluto perderselo, buon pro gli faccia. Godiamocelo noi, alla faccia sua!"
Jeanette mi sorrise, e io di rimando. Eravamo troppo belle e allegre, per demoralizzarci, non lo potevo permettere. Mi sentivo bene dopo non sapevo dire quanto tempo, e avevo sinceramente voglia di divertirmi, come non mai. La negatività e il mio consueto miasma nero, per una sera, avrebbero aspettato fuori dalla porta.
Il trucco delle maschere funzionò alla perfezione, anche per chi non era contemplato nel piano originale, come me. Chiacchierai amabilmente con un sacco di persone, e con una disinvoltura solitamente non mia, e apprezzai ogni momento. Il buffet e l'open bar servirono cibi e bevande deliziose, e mi feci diverse belle risate.
"Dio solo, sa, se mi ci voleva una serata così!" dissi a Jeanette, pescando dal mio bicchiere di squisita sangria un bel pezzo polposo di ananas.
"Si, ma occhio al trucco, tesoro." Mi disse Jeanette, sorridendomi. "Il tuo rossetto sta svanendo, lo devi ritoccare. Secco sarà qui a momenti, non vorrai che ti veda con il trucco sbavato."
Mi prese il panico.
"Non ho portato i trucchi con me! E ora che faccio?" chiesi, agitandomi.
Jeanette mi fece l'occhiolino.
"Ultima stanza in fondo al corridoio, il mio boudoir. Là troverai ciò che ti serve."
Rincuorata, mi diressi con discrezione nella stanza a me indicata da Jeanette. Ci scivolai silenziosamente dentro, e mi chiusi la porta alle spalle.
Più che in un boudoir, mi sembro di essere finita nel camerino di Rita Hayworth.
C'era un grande letto rotondo con sopra un copriletto rosa acceso e tanto cuscini pelosi, specchi su ogni parete di varie dimensioni illuminati da fasci di luci a led, due o tre cassettiere e una cabina armadio da infarto.
C'era persino un lettino abbronzante.
Se l'avesse vista, Mona avrebbe sicuramente voluto che le sue ceneri mortuarie venissero sparse in quella stanza, altro che bianche scogliere di Dover.
Mi sedetti alla sfavillante postazione del trucco, e frugando tra i mille prodotti per il make-up di Jeanette, trovai il gemello del mio rossetto, e mi sistemai.
Ma mentre lo passavo lentamente sulle labbra facendo attenzione a non sbavarlo, alle mie spalle la porta del boudoir si aprì, ed entrò qualcuno.
Era un ragazzo, uno che avevo visto aggirarsi nella sala diverse volte, nell'arco della serata.
L'avevo notato, perché gli donava particolarmente, il suo bel costume scuro in stile Giacomo casanova, nonostante la camicia con i voulant sul petto e le calze bianche fino al ginocchio.
Mi dava l'idea di essere molto affascinante, sebbene la sua maschera nera gli coprisse gran parte del viso. Praticamente, gli si vedeva solo la bocca.
"Suppongo voi cercaste qualcosa di diverso, da questa stanza." Scherzai io. "Il bagno è la porta a fianco, mi pare."
Lui non rispose, e scosse il capo.
"No?" dissi io, e mi alzai dalla postazione trucco. "E allora che cosa andate cercando, milord?"
Lui continuò a tacere, e venne verso di me, ma non prima di essersi chiuso accuratamente la porta alle spalle, a chiave.
A rigor di logica, un gesto del genere avrebbe come minimo dovuto mettermi in allarme, spingermi a cercare qualcosa per difendermi, o una qualsiasi via di fuga alternativa.
Invece, non accadde nulla di tutto ciò.
Osservai lo straniero misterioso avanzare nella mia direzione con voluta lentezza senza il minimo timore. Lasciai che i suoi occhi celati dalla maschera scrutassero ogni centimetro della mia persona. Mi parve persino di sentire il suo sguardo graffiare la mia pelle.
E nulla di tutto questo mi spaventò minimamente. Mi sentivo irrazionalmente... tranquilla.
Qualcosa, dentro di me, mi diceva che non ero affatto in pericolo, anche se la situazione lo urlava a gran voce.
L'uomo mascherato giunse infine da me, tanto vicino che la gonna del mio vestito urtò le sue gambe. E io ero più serena che mai.
Lo lasciai prendere la mia mano, e gli permisi persino di sfilarmi il guanto.
Guardai la mia mano mentre veniva accompagnata dalla sua verso le sue labbra, che la sfiorarono appena, indugiando qualche istante.
Il tocco di quelle labbra tiepide e morbide sulla mia pelle mi diede un brivido lungo la schiena. E pensai... che fosse una sensazione vagamente familiare.
Ed improvvisamente, tutto mi fu chiaro.
Ovvio che non temessi di essere stata chiusa a chiave in una stanza con un ardito sconosciuto. Quello, infatti, era ben lungi dall'essere uno sconosciuto, per me.
Quello, era sicuramente Gilbert!
Divertita, decisi di reggergli il gioco.
"Ditemi, cosa volete?" Gli chiesi, sorridendo.
Lui si avvicinò ancora, e posò le mani sopra i miei fianchi e mi tiró delicatamente a sé. Poi, posò le labbra contro il mio orecchio. Il suo respiro sul mio collo mi fece piegare le ginocchia.
"Tutto ciò che voglio, in questa vita, milady..." sussurrò piano. "...Siete solo voi. Voi, e nessun'altra."
Non ci fu più storia, ero sua.
Mi lasciai prendere dolcemente tra le braccia, e mi feci trasportare sul letto rosa di Jeanette. Dopo avermi fatta sdraiare comodamente, si distese sopra di me, e premette con languore le sue labbra sulle mie.
Quel bacio mi fece scorrere in tutto il corpo una scarica pazzesca di elettricità, e mi mando letteralmente in tilt.
Fu un bacio lungo, delicato ma allo stesso tempo passionale. Nessuno mi aveva mai baciata così, mi sentivo andare a fuoco.
"Vi prego..." mi disse poi, privandomi con mio profondo disappunto di quelle labbra meravigliose. "Non fermatemi..."
Io lo afferrai, e lo bacia a mia volta, mordicchiandogli un labbro.
"Fossi matta." Fu la mia risposta, e mi concessi totalmente a lui come non avevo mai fatto prima. Lasciai liberi i miei istinti più primordiali, tacitando la mente e la sua razionalità. Mi godetti ogni stante a pieno. Ero creta tra le sue mani, e fu la notte più bella della mia vita.
Mi sveglia trafitta dai raggi del sole che filtravano dalla finestra. Era giunta l'alba, e non me ne ero neanche resa conto. Tesi la mano al mio fianco, ma trovai solamente il vuoto. Il mio dolce e passionale amore non era al mio fianco.
Scesi dal letto, scavalcai il mio vestito abbandonato sul pavimento, e mi diressi alla postazione make-up per darmi una sistemata, meditabonda.
Incredibile, il piano di Jeanette era stato un successo colossale, oltre ogni previsione. Da non crederci, una semplice festa in maschera aveva fatto il miracolo. Ad averlo saputo prima, mi sarei risparmiata anni di tortura emotiva inutile, accidenti!
Qualcuno bussò alla porta, ed io andai ad aprire. Era Jeanette, un po'sfatta ma ancora abbastanza presentabile.
"Maledetta sangria, sono andata k.o." disse con voce arrochita dal sonno. "Fammi uscire da questa meringa blu, inforchiamo una tuta e leviamo le tende prima che sia giorno fatto. Non voglio sorbirmi il bagno di occhiate dei tuoi bigotti compaesani senza avere in corpo almeno un doppio espresso nero..."
Non appena in macchina, avvolte in comodissime tute griffate, non ci volle molto prima che Jeanette partisse con il suo solito terzo grado del dopo serata.
E finalmente, dopo tanto, potei raccontarle davvero qualcosa di bello.
"Jeanette, amore mio, sappi che godrai della mia eterna e incrollabile gratitudine, per aver organizzato questa splendida festa!" dissi, scoppiando di felicità. "L'idea dele maschere è stata un colpo da maestro, è andata anche meglio di quanto avessi previsto!
Jeanette si mandò di traverso il doppio caffè lungo al latte che aveva preso al volo da Starbucks.
"Che cazzo stai aspettando? mamma vuole i dettagli!" disse tossendo e sputazzando.
"Ah no, non stavolta." Le dissi, gaudente. "Questa volta, il mio dolce segreto mi seguirà nella tomba, mi dispiace. Ti dirò solo questo, perché te lo devo: Gilbert ha in sé un lato passionale e romantico di cui non ho mai neanche sospettato l'esistenza. Dopo stanotte, sento di amarlo più che mai, ed è solo e unicamente merito tuo. Ti voglio bene, jen!"
Jeanette, invece di protestare animatamente come pensavo facesse, restò qualche secondo a fissarmi, inebetita.
"Non ti seguo, scusa." Disse. Io ridacchiai.
"Non pensarci neanche, di usare subdoli trucchetti per estorcermi qualche dettaglio in più, ho la bocca cucita." Dissi, e presi un sorso del suo caffè. "Oddio, ma dové finito lo zucchero?"
"No, scusa un attimo, frena." Mi disse Jeanette sempre più confusa, e si riprese il caffè prima che potessi zuccherarlo. "Stai dicendo che stanotte sei stata con un tale che diceva di essere secco?"
"No, sto dicendo che stanotte sono stata con sec... con Gilbert, voglio dire. Dovresti smetterla di chiamarlo secco, non gli rende affatto giustizia. Fidato, ora lo so con certezza!"
"Sì ma te l'ha detto lui, che era il secco?" insistette Jeanette. Sembrava allarmata, e non ne capivo davvero il motivo.
"Non serviva lo dicesse, l'ho capito da sola, che era lui. L'ho... percepito, ecco. La mia anima ha vibrato tutta, come quel pomeriggio in salotto, quando sono stata male."
Jeanette mi fissava, sempre più sconvolta. La cosa mi fece spazientire.
"Ma perché ti stai agitando tanto, adesso, si può sapere?" protestai. "era esattamente quello che volevamo accadesse, se non meglio. Perché, allora, fai quella faccia stralunata?"
Jeanette prese un profondo respiro, trangugiò il suo orrendo caffelatte amaro, e si rivolse a me.
"Tesoro..." esordì. "hai presente quando ti sfotto perché nella vita non hai mai fatto esperienze? Ecco... non lo farò più. Non faro più, perché temo che stanotte tu ti sia messa pienamente in pari con i tuoi arretrati, e con tutti gli interessi, aggiungerei."
Cosa? Ma di che diavolo parli? Io stanotte sono stata con l'uomo che amo, non ho fatto certo una stupidaggine!"
Jeanette arricciò le labbra, e prese il telefono. Cercò tra le conversazioni, e trovandone una in particolare, me la mise sotto il naso.
"Una stupidaggine magari no..." disse. "Ma un enorme cazzata, decisamente sì."
Indispettita, le presi il telefono dalle mani, e lessi cosa mi stava mostrando.
Mi si bloccò la circolazione sanguinea, e divenni un ghiacciolo.
Avevo davanti una mail, indirizzata a Jeanette, e risalente alla sera prima.

Cara Jeanette
Per stasera temo di non farcela a raggiungervi alla festa, ho troppo lavoro da fare qui a Edimburgo.
Divertitevi anche per me, e scusatemi tanto.
Bada a Tabitha.

Gilbert.

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