Cap.21 - Luce e ombra

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"C'è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce."

                                                                                                                                  Leonard Cohen



I cattivi si fregano sempre con i monologhi. È un dato di fatto, è più forte di loro.

Del resto, di sa, i sociopatici sono per una buona parte dei gran narcisisti.

Una volta che partono a parlare di sé stessi, il tempo vola. E attorno a loro può succedere qualsiasi cosa, non lo notano.

Blake, grazie alle informazioni custodite nei ricordi ereditati da Olubunmi, doveva certamente sapere che a Christina Stauton piaceva parlare di sé, per cui l'aveva stuzzicata per bene affinché lo facesse.

Per il vero, quello di Christina più che un monologo elogiativo a sé stessa, era stata una lamentela verso chi per più di 400 anni l'aveva fatta tribolare e tenuta lontana da Luna d'aprile, il diamante da lei sempre bramato.

Ma tutto fa brodo, dicono, e infatti anche la lunga lagnanza di Christina alla fine era servita allo scopo.

Presa infatti dal suo sproloquio, non aveva notato nulla di ciò che accadeva alle sue spalle.

Non aveva notato che l'inspiegabile vibrazione sollevatasi al suono del mio grido, pareva aver

svegliato Dick dal suo "sonno".

Lui però, saggiamente, non aveva manifestato alcun sintomo di ciò, e aveva fatto finta di nulla, era stato al gioco.

Ma dopo che Violet l'aveva ferito al viso, approfittando del suo momento di distrazione, aveva fatto, sa dio come e perché, un cenno a Jeanette affinché gli tirasse il diamante.

Jeanette, sebbene riluttante, aveva obbedito.

In seguito, probabilmente provato dal dolore, Dick era scivolato non visto e silenzioso vicino a un tavolo, e aveva preso uno dei tovaglioli dei fuggiti commensali per pulirsi dal sangue e per coprire il suo occhio fotosensibile.

Il tutto, davanti si miei occhi.

Come io sia stata capace di restare calma, perfettamente immobile e impassibile davanti a tutto ciò, è un autentico mistero. Temevo mi sarebbe venuto un infarto.

Ed ora eccoli lì, Dick con il diamante in mano e Christina, mai così vicina all'oggetto del suo desiderio.

"Ma guarda..." disse Violet, o meglio Christina, guardando Dick. "A quanto pare sei più forte di quanto immaginassi, mio caro. Ti sei liberato dalla mia presa, eh? E senza polverine magiche, per giunta! Bravo, mi congratulo. Ora, però, fai il bravo bambino, e dammi il mio diamante."

Tese a Dick la mano, quella ancora sporca del suo sangue. Blake andò in allarme.

"Per l'amor di Dio, non permettere che quella mano tocchi il diamante, bambolone! Userà il diamante e il tuo sangue per un rito, e questo ti ucciderebbe! Moriresti per accrescere il suo potere!"

"Silenzio, inutile fattucchiere da strapazzo!" Sbraitò Violet.

"Perché, non è a questo che miri? Con il sacrificio di sangue innocente e il diamante, vuoi compiere qualche immonda maledizione."

Violet si voltò a guardarlo, ed emise un verso di frustrazione.

"Quando ti deciderai a smettere di entrare nelle teste altrui? Non ne sei capace, fai solo figuracce, Olubunmi. No, non è affatto quello, che voglio fare! Non ho bisogno di accrescere il mio potere, ma di renderlo perpetuo, eterno! Questi inutili corpi umani sono fragili, delicati, e si consumano nel giro di qualche decennio. Guarda quell'inutile carcassa là in fondo..."

Il dono del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora