Cap. 11 - ricordi perduti

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"Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente."

                                                                                                                                                             Marcel Proust


Per deformazione caratteriale, odiavo le cose fatte alla carlona, tanto per fare.

Jeanette, spesso, per ridere, mi chiamava "il chirurgo".

Sul lavoro, potevo stare ricurva su un caso anche per settimane, passandolo al microscopio. Non per nulla, ero una delle migliori nel mio campo.

Tutto quello che facevo, era preciso al dettaglio, meticolosamente.

Se non era tutto perfetto, non mi davo pace.

Lascio immaginare, dunque, quanto fosse opprimente il disagio che mi accompagnava nella situazione in cui mi trovavo.

Ero diventata l'asilo politico dello spirito di una ragazzina brutalmente assassinata un mare di anni prima, e che ora pretendeva di fare i suoi porci comodi usando il mio corpo, non voleva levarsi di torno e respingeva in malo modo ogni forma di aiuto altrui.

E non conoscendo le sue intenzioni, che aveva categoricamente rifiutato di riferirci, non esisteva alcuna possibilità di mandarla via in modo coatto senza incorrere a drammatiche conseguenze.

Morale della favola, quel fantasma esagitato e parassitario ci teneva letteralmente per le palle, e niente e nessuno poteva impedirglielo.

E la cosa mi mandava letteralmente al manicomio.

"Ma fare un esorcismo, no?"

"Non mi pare giusto. Sarebbe come buttarla fuori a calci."

"E dove sarebbe il problema?"

"Non è una bella cosa, da dire..."

"Ok, allora parlale di nuovo!"

"Dubito che mi ascolterebbe."

"Che situazione del cazzo..."

Questo era il genere di discorso che andava di moda nei giorni seguenti al primo contatto con l'entità. Avevamo preso l'abitudine, una o due tre volte a settimana, di sgattaiolare nottetempo a casa di Blake, per discutere su cosa fosse possibile fare. Non che ci fosse molto da dire, ma almeno parlarne ci dava l'illusione di fare qualcosa di utile.

Onestamente, non avevo mai visto tanto tempo sprecato tutto insieme. Su quella ragazza non c'era una sola parola scritta in nessuno dei libri contenuti nella biblioteca di famiglia di Blake, né altrove. La spiegazione era alquanto semplice: Ai tempi in cui era vissuta Emily Desmond, i processi per stregoneria erano di moda quanto i jeans a zampa di elefante negli anni '60. La gran parte di loro erano stati documentati e registrati in regolari archivi, ma una bella fetta era passata in sordina.

Figurarsi se per un paese come Stautonville, un piccolo neo sulle natiche del mondo, poteva esistere una qualsiasi documentazione, specie per un caso isolato.

Ergo, nessuno sapeva nulla del come e del perché, una bella mattina, la gente di Stautonville si fosse svegliata, fosse scesa dal letto col piede sbagliato e avesse deciso di processare e condannare a morte quella ragazza.

Bene che nessuna motivazione poteva giustificare un simile crimine.

La capivo perfettamente, la rabbia dell'anima inquieta che portavo dentro, e sarebbe stato così anche se non mi avesse fatto vivere in prima persona attraverso i suoi ricordi l'orribile esperienza del momento della sua morte.

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