Cap. 6 - Passi nella notte

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"La notte può essere il tesoro di chi sogna, o il forziere vuoto di chi fa domande."

                                                                                                                            Fabrizio Caramagna

Nei giorni che seguirono il funera, successe un insieme talmente vasto di cose, tra lavoro e cose varie, che nessuno ebbe il tempo di chiedermi nulla riguardo ciò che era successo alla funzione, né del fatto che io e Jeanette eravamo state ospitate per il te dal famigerato gatto nero di Stautonville. E io ne fui immensamente grata.

Prima di dare spiegazioni in proposito al prossimo, dovevo prima essere in grado di darle a me stessa.

Ebbi molto tempo, per rifletterci su, e alla fine giunsi ad una sola conclusione plausibile: avevo avuto una normalissima reazione al lutto subito. Mio nonno, l'ultimo membro vivente della mia famiglia era morto, lasciandomi sola, e io ci ero rimasta male. Lo odiavo, e una parte di me probabilmente ce l'avrebbe sempre avuta un po' con lui, ma perderlo mi aveva ferita ugualmente.

Stupidamente, avevo dato per scontato che due emozioni tanto contrastanti non avrebbero potuto trovarsi nella stessa stanza. Odiavo mio nonno, quindi davo per scontato che la sua morte non mi avrebbe fatto né caldo né freddo. Quanto mi sbagliavo.

Avevo sputato veleno e riversato il mio disprezzo sulla folla di ipocriti pervenuta alla funzione, quando tra loro il più grosso dei bugiardi, ero proprio io. In parte, mi ero già resa conto che parlare della morte del nonno non mi era prettamente naturale. L'avevo notato quando Gilbert, quel giorno in giardino, mi aveva parlato del come il nonno era passato a miglior vita. Tuttavia, avevo deciso di ignorare la cosa, avevo fatto finta di niente. Ma come disse il mio saggio amico Dick, tutti noi un giorno dobbiamo affrontare la nostra verità.

Ebbene, senza volerlo, avevo affrontato la mia.

Ero ancora arrabbiata con il nonno, ma la sua morte mi aveva provocato un grande dolore. Non avrei voluto che il discorso tra noi si concludesse cosi, non era giusto. Troppe erano le cose che erano rimaste da dire, a mio parere, sia da parte mia che sua.

Ma come mi disse Mona, la morte è l'unica cosa irreversibile della vita, non si poteva tornare indietro. Quindi, alla fine mi decisi e presi una decisione: avrei seppellito per sempre lascia di guerra. Il mio nemico non esisteva più, la guerra era ufficialmente finita.

Problema era, che morto un problema, pareva che ne stesse già crescendo un altro, molto più fastidioso del precedente.

Dopo il funerale, infatti, uno dei tanti casini scoppiati in casa era stato un mio strano e inspiegabile malessere.

All'inizio, a tutti era sembrato solo un potente raffreddore, figlio della mia corsetta scalza sotto il diluvio, niente che una delle leggendarie tisane della zia e un po' di riposo non potesse debellare.

Ma le cose andarono decisamente in modo diverso.

Infatti, il mio comune raffreddore prese a peggiorare a vista d'occhio, riducendomi a letto in maniera permanente e preoccupando tutti quanti.

Una leggera febbre fantasma andava e veniva a suo piacimento, perdevo peso, ero sempre stanca e debole, e per quante ore dormissi, ero sempre stanca e spossata.

A volte dormivo e basta, per tutto il giorno, e non cambiava assolutamente nulla.

Zia june non aveva badato a spese. Aveva fatto venire da ogni angolo della gran bretagna specialisti di ogni genere, e mi aveva fatto fare tutti i tipi di analisi esistenti per scovare le origini di questo mio misterioso malessere. Nessun risultato concreto, nessuno capiva cosa mi affliggesse.

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