Cap. 17 - Il richiamo del sangue

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"I legami più profondi non sono fatti né di corde né di nodi, eppure nessuno li scioglie."

                                                                                                                                                         Lao Tzu



Non ricordavo affatto di essermi addormentata, ma quando mi risvegliai sul sofà di Blake, bella distesa tra i suoi variopinti e morbidi cuscini, e con l'odore degli oli essenziali di gelsomino e vaniglia dell'incensiere lì accanto a solleticarmi il naso, mi parve di aver dormito per un tempo infinito, e mai così bene.

Respirai a fondo quei dolci profumi, e mi passai le mani sul viso. Poi, istintivamente, presi a cercare freneticamente nella stanza la bambina.

"Oh, la mamma si è svegliata, mia piccola fatina di zucchero! Andiamo a vedere come sta?"

Blake venne verso il divano, con mia figlia tra le braccia, dondolandola piano. Gli sorrisi, e tesi le braccia.

Jeanette arrivò un istante dopo, seguita con mio totale sgomento da zia June.

La guardai come se fosse un unicorno che brucava l'erba nel mio giardino.

Presi la bambina dalle mani di Blake, e cercai lo sguardo di Jeanette. Lei mi guardò con sguardo eloquente. Sembrava sul punto di scoppiare a ridere.

"Tabitha deve allattare." Disse zia June, frettolosamente. Si gettava occhiate intorno, con aria agitata. "Credo sia meglio andare."

"No." Disse Blake. "Tabitha ha bisogno di parlare con me."

Al suono di quelle parole, i miei occhi scattarono a quelli di Blake.

Ci guardammo intensamente. E mi fu tutto chiaro all'istante.

Sapeva tutto, ne ero certa. Magari non i dettagli, ma sapeva che dovevo dirgli qualcosa di importante. Sembrava persino che non attendesse altro. Non ne ero affatto stupita. Blake era l'essere umano più misterioso su cui avessi mai posato gli occhi.

"No, prima la bambina." Insistette zia June, visibilmente a disagio e desiderosa di levare le tende. "Deve mangiare, è ora."

"Le tette di Tabitha sono qui, mica a casa vostra." Disse Blake facendo spallucce, e stuzzicando il mento della piccola, che lo guardava fisso con i suoi occhioni verdi. I miei occhi, e gli occhi di mia madre. "La piccina può mangiare anche qui, non disturba assolutamente."

"Non credo sia il caso." Rispose secca zia June, stavolta mal celando il suo disappunto nel trovarsi lì. "Non lo era nemmeno venire qui, a dire il vero. Dovevamo chiamare un medico..."

"Uh, certo, come quelli che voleva chiamare quando credeva che Tabitha fosse uscita di senno..." Rimbeccò Blake, agitando le braccia con enfasi e tradendo anche lui un certo stizzo. "Lasci mangiare la bambina, invece di continuare a snervare. Io e Tabitha dobbiamo assolutamente fare due chiacchiere, e non è che il tempo sia regalato, quindi..."

"Non osare parlarmi in quel modo!" Soffiò irata zia June. "Non avrei nemmeno dovuto permettere che portassi Tabitha qui! Sei entrato in casa come un ladro, probabilmente neanche per la prima volta..."

"Certo, certo, ho i doppioni delle case di tutti, qui in paese, e le tengo tutte appese alla cintola con un grosso cerchio, stile san Pietro!" Rimbeccò Blake, sarcastico.

Zia June emise un verso di sorpresa.

"Lo sapevo!" Esclamò, additandolo. "Ho fatto bene ad allontanarti dai miei figli. Non sei altro che un delinquente! Se avessi un po' di buongusto, te ne andresti dalla città. Qui tutti sanno chi sei, e cosa hai fatto..."

Il dono del destinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora