Francesca
Tre mesi erano passati da quando avevo visto Marcus l'ultima volta. La guerra continuava imperterrita, e ogni giorno pregavo gli Dei di far cessare il conflitto.
Mi trovavo inginocchiata davanti alla statua di Atena. El Dorado era piena di statue della dea della saggezza e della guerra, e speravo che la sua benevolenza potesse aiutarci. Al mio fianco, anche Livia era inginocchiata, pregando silenziosamente. Sentivo la mia pancia ingrossarsi sempre di più, e speravo con tutto il cuore che fosse una femmina. Decisi che, se lo fosse stata, l'avrei chiamata come mia madre, per tenerne vivo il ricordo.
Mi alzai, l'ansia mi attanagliava. «Andiamo, Livia,» dissi, «c'è molta strada da fare per tornare a casa.»
Nessuno a El Dorado sapeva chi fossimo realmente, ma dovevamo restare sempre all'erta per evitare che qualche nobile potesse riconoscerci. Livia si alzò e ci incamminammo verso casa. Cleopatra era rimasta a preparare la cena, e sapere che lei era lì mi dava una certa serenità.
Mentre camminavamo, mi toccai la pancia, sentendo il piccolo cuoricino battere dentro di me. Sorrisi, e Livia, notando il mio gesto, disse: «Spero che sia una femmina.»
«Anch'io,» risposi. «La voglio chiamare come mia madre e come te. Due nomi. Ti piace? Prima aveno optato per Afrodite»
Livia sorrise, divertita. «Mi piace,» disse. «Ma meglio Francesca Junior.»
Ridacchiai, apprezzando il tentativo di alleggerire la tensione. «Forse,» risposi, «ma mi piace l'idea di onorare entrambe le donne più forti che conosco.»
Mentre camminavamo, non potevo fare a meno di pensare a Marcus. Non avevamo sue notizie da mesi, e il pensiero che potesse essere in pericolo mi tormentava. Avevo cercato di restare forte per il bene del mio bambino e delle persone che contavano su di me, ma l'ansia era una compagna costante.
El Dorado era diventato il nostro rifugio, ma non potevo fare a meno di sentirmi come una straniera in terra straniera. La bellezza del luogo contrastava con la mia preoccupazione e la mia tristezza. Ogni statua di Atena mi ricordava la saggezza e la forza che dovevo trovare dentro di me.
Tornando verso casa, le strade erano affollate di gente che si occupava delle proprie faccende quotidiane. Mi meravigliavo di come la vita potesse continuare così serenamente mentre il mondo fuori era in guerra. Era come vivere in una bolla di tranquillità, e questo mi faceva sentire ancora più fuori luogo.
Stavamo quasi per arrivare a casa quando notai un uomo davanti alla porta. Era Marcus. Aprì le braccia per un abbraccio e, senza pensarci due volte, corsi verso di lui. «Sei tornato, amore,» dissi con il cuore che batteva all'impazzata.
«Sì, amore,» rispose lui, riempiendomi di baci. Poi mi guardò negli occhi, e dissi: «Il bambino sta bene.»
Mi staccai un attimo da lui, notando che era coperto di sangue. Non dissi niente, ma lui capì. «Abbiamo perso Atlantide,» disse con voce cupa. «Non è più nostra.»
Mi girai, il viso rivolto verso Cleopatra, cercando conforto nei suoi occhi. Lei mi guardò con una tristezza profonda, ma anche con una determinazione incrollabile. Mi avvicinai a Marcus, cercando di trovare le parole giuste.
Guardai Marcus negli occhi, cercando di nascondere la mia preoccupazione. «Ora che Atlantide non è più nostra, dobbiamo andare in Lemuria,» dissi con determinazione. «Voglio che il nostro bambino nasca lì.»
Livia mi guardò con un misto di sorpresa e preoccupazione. «Sei sicura di voler andare lì?» chiese.
«Sì,» risposi con fermezza. «Non mi importa cosa dicono. Vi prego, andiamo. Domani partiamo, va bene?»
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CESCA-La Maledizione Dell'imperatrice
RomanceAnno 168. Cesca, figlia illegittima e disprezzata dal padre, vive in un costante senso di esclusione. Alla morte di quest'ultimo, eredita il trono degli Imperi Perduti, ma il potere porta con sé una maledizione oscura. Le tensioni esplodono quando i...