THE CHILD

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Marcus

Sei mesi prima avevano portato via Cesca. Non sapevo cosa le stessero facendo, né cosa volessero fare a me. Mi avevano trascinato su una nave, rinchiudendomi in una stanza buia e angusta. Ero lì da ore, forse giorni. Il tempo si confondeva tra le ombre, e le uniche voci che udivo erano quelle delle onde che si infrangevano contro lo scafo della nave.

La fame mi tormentava. Lo stomaco mi bruciava, contrattosi in crampi dolorosi. Ogni tanto sentivo il rumore di passi, ma nessuno veniva a portarmi del cibo. Nessuno parlava con me. Ero solo, perso nel buio.

Che fine ha fatto Cesca? Che cosa le stanno facendo? Non posso lasciarla sola. Devo trovarla, proteggerla. Devo uscire di qui.

Mi alzai a fatica, le gambe deboli per la fame e la mancanza di movimento. Mi avvicinai alla porta della cella, cercando di spiare attraverso le fessure. Ma fuori c'era solo il buio.

Il pensiero di Cesca mi dava la forza di resistere. Non posso arrendermi ora. Devo trovare un modo per uscire di qui.

Poggiando la fronte contro il legno freddo della porta, sentii un lieve scricchiolio. Forse, con abbastanza forza, avrei potuto sfondarla. Ma dovevo conservare le energie.

Sentii i passi avvicinarsi di nuovo. Mi allontanai dalla porta, preparandomi per l'eventuale incontro. Ma quando la porta si aprì, fu solo per far entrare un soldato con una ciotola di cibo.

«Finalmente,» mormorai, la voce roca.

Il soldato mi gettò la ciotola senza dire una parola e richiuse la porta con un tonfo.

Mi gettai sul cibo, nonostante fosse freddo e insipido. Ogni boccone era una lotta contro la nausea, ma dovevo mangiare. Dovevo recuperare le forze.

Devo trovare un modo per uscire da qui. Devo trovare Cesca. Devo proteggerla, qualunque cosa accada. Non posso lasciare che soffra per colpa mia. Non posso perderla.

Quando ebbi finito, mi sdraiai sul pavimento freddo, chiudendo gli occhi. L'immagine di Cesca era impressa nella mia mente, un faro di speranza nel buio che mi circondava. Dovevo resistere, dovevo lottare.

La porta si aprì all'improvviso, rivelando un soldato con un'espressione severa. «Siamo arrivati,» disse bruscamente. «Cammina e non fare domande.»

Mi prese per la spalla, trascinandomi fuori da quella cella buia. Camminavamo lungo il corridoio della nave, salendo le scale che portavano al ponte. Il sole mi accecò per un istante, abituato com'ero all'oscurità.

Sul ponte c'era un uomo robusto, vestito in modo imponente. Indossava una tunica rossa decorata con motivi dorati, una cintura di cuoio e sandali che sembravano scolpiti per la sua mole. I suoi occhi brillavano di una luce fredda e calcolatrice. Dietro di lui, la sua famiglia: una donna alta e austera con una tunica verde scuro, e due ragazzi che mi guardavano con curiosità mista a timore.

Allargò le braccia e disse: «Ti ricordi di me, Marcus? Sono lo zio Armando.»

Il nome risuonò nella mia mente come un eco. Armando, il fratello di mio padre. Non avevano mai avuto un buon rapporto, e quando mio padre era morto, Armando ci aveva lasciati soli, senza offrirci alcun aiuto.

«Che cosa vuoi, zio?» risposi con un tono di sfida.

Che vuole da me questo uomo? Dopo tutto questo tempo, perché ora? Devo rimanere calmo, ma devo anche essere pronto a tutto. Non posso permettermi di mostrare debolezza.

Armando sorrise, un sorriso che non raggiunse i suoi occhi. «Voglio solo parlarti, Marcus. Vedere come stai. E, naturalmente, discutere del futuro.»

Sentii un brivido correre lungo la schiena. Non mi fidavo di lui. Non mi fidavo di niente di ciò che stava succedendo.

CESCA-La Maledizione Dell'imperatrice Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora